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Gli eredi della (umana) solitudine

di Riccardo Ianniciello - 22/10/2009


   A leggere “Gli eredi della solitudine” di Aldo Gorfer, il mondo dei contadini dei masi del Tirolo del sud, fino agli anni ’70 appare  soffertissimo. Piccole, isolate comunità, sperdute tra le montagne dell’Alto Adige, quasi al limite della vegetazione arborea, dove l’inverno arriva presto e dura a lungo, con temperature polari e tempeste che “alzano la neve e sradicano gli alberi”. La vita dei masi era scandita dalle attività legate al ciclo naturale delle stagioni: dai lavori agricoli, all’allevamento del bestiame, dalla produzione di latte e formaggi, al taglio del bosco. I masi e i paesi, tra loro spesso molto distanti, erano collegati con sentieri impervi che costeggiavano gole precipiti, resi ancor più pericolosi in inverno dal ghiaccio e dalle valanghe. Le condizioni di vita di quelle genti erano assai dure: i contadini dovevano lottare con una natura ostile e selvaggia, provvedendo con la sola forza del proprio lavoro ad ogni cosa. L’autosufficienza aveva un costo assai elevato in termini di fatica e di sacrifici. Solo spostarsi in inverno per andare alla legnaia o alla stalla, a pochi metri dalla casa era rischioso e occorreva mettersi i ramponi. Il rischio di incidenti era all’ordine del giorno: molti contadini perdevano la vita scivolando nei burroni o travolti dalle slavine. I bambini dei masi per raggiungere la scuola nel paese più vicino, dovevano percorrere ore a piedi, lungo pericolose e innevate piste.
   Aldo Gorfer ha avuto il merito di far conoscere le reali condizioni dei contadini della montagna altoatesina, sgombrando il campo a visioni troppo disinvolte e infarcite di sentimentalismo. Un libro amaro e scomodo come è stato scritto, che ha gettato una luce nuova su un mondo sofferto e colpevolmente dimenticato.
   Gorfer sembra però aver voluto di quel mondo descrivere “l’inverno dell’umano scontento”, il suo lato oscuro. Egli infatti, come scrive Hartmann Gallmetzer nella prefazione agli Eredi della solitudine, “ha intrapreso i suoi viaggi durante i mesi invernali (cioè nelle condizioni climatiche peggiori) per raggiungere a piedi i masi più isolati delle montagne dell’Alto Adige, intenzionalmente nella stagione delle ombre, dell’oscurità, del freddo, dell’isolamento, (perché) rappresentavano l’esplorazione di un mondo emarginato da parte di un uomo in perenne ricerca dell’anima di questa terra, una terra senza colori, eccetto il bianco e il nero, una terra quindi di contrasti stridenti, mai mitigati”.
   Una visione quella di Gorfer volutamente in bianco e nero, rispetto a una terra che, per l’appunto, è arida, gelida, senza colori.
    Eppure anche nei masi immersi nella sconfinata solitudine delle montagne del Tirolo giunge infine  la primavera: e proprio perché più attesa e invocata sacramentalmente che essa, quando arriva, è straordinariamente bella, più bella che altrove. Lo stesso inverno non ha forse dei “colori” e una bellezza particolarmente suggestiva e misteriosa? Dal quadro sofferto degli emarginati, dei vinti, non emergono forse dei tratti, degli aspetti che ci parlano di un’unità e di un calore nascosti nelle pieghe dell’esistenza che, noi uomini appartenenti all’epoca del benessere, abbiamo perduto? E che portano Gorfer stesso a scrivere queste parole bellissime: “…Eppure esse (le famiglie) al pari di tutte quelle che abbiamo visitato nei masi di montagna del Tirolo del sud, hanno una civiltà, una serenità e una umanità che difficilmente si ritrovano altrove, se non tra gli umili e i poveri”.
   Emerge dal libro di Gorfer il ritratto di un mondo duro e oscuro eppure vero, umano, dove la solitudine che pure esiste non è mai disperata, disumana come quella dell’uomo moderno, ma è una condizione naturale come lo può essere la sofferenza, dunque affrontabile, superabile.  
   In una foto del libro (a pag.212) si vede il “bizzarro minibiciclo del piccolo Lorenz di Laseid”, come recita la didascalia. E’ un giocattolo costruito con vari pezzi di bicicletta, di ferro e di legno assemblati tra loro con grande abilità e fantasia. Il suo piccolo proprietario è seduto lì accanto, sorridente. Ha gli occhi sereni. Questa immagine ora l’accosto ai tanti bambini di oggi, malati di solitudine, incollati ore ed ore ai videogame o a fissare nel tubo catodico di un televisore oppure a giocare in un irreale e improbabile parco giochi di un centro commerciale.
   La vita che nei masi di montagna si svolgeva era estremamente difficile, i contadini dovevano affrontare una natura implacabile che non regalava niente a nessuno e, lontano dal mondo, contare quasi esclusivamente sulle proprie forze e capacità di sopravvivenza, ma quella esistenza li lasciava liberi di vivere nella natura, liberi di vivere secondo regole e valori umani.