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Nero

di Riccardo Ianniciello - 05/11/2009

   “Nero è un cane. Lo hanno chiamato così, prima di abbandonarlo, perché quello era il colore del suo pelo. Ma nero è anche il colore della pelle di Ayele, un bambino che sta per arrivare da una terra lontana per far parte di una nuova famiglia. Due storie parallele che hanno qualcosa in comune e che alla fine, fatalmente, sono destinate a incontrarsi”. Recita così il sunto posto sul retro del libro “Nero” di Renzo Di Renzo, racconto per ragazzi edito da Einaudi. La cosa in comune dei due protagonisti è, non solo il colore della pelle, ma il fatto che sia il cane, sia Ayele, sono due esseri da addomesticare, termine che ricorre frequentemente nel testo, e non a caso lo troviamo nel passo anteposto, tratto dal Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry: - Che cosa vuol dire addomesticare?    Ma andiamo per ordine: il cane Nero viene adottato da una famiglia che poi l’abbandona, finisce randagio insieme ad altri cani della strada e, in seguito, preso e portato in un canile. Ayele, un bambino nero, viene anch’egli adottato da una coppia: alla fine Nero e Ayele s’incontrano, appunto, fatalmente, quando quest’ultimo manifesterà il suo desiderio ai neo genitori di prendere un cane in adozione.    Sin dalle prime battute, dall’incipit del libro si coglie, tra le righe, un razzismo strisciante, quando, per esempio, la nonna (del padre putativo di Ayele) pone delle domande al nipote sulla loro (della coppia) intenzione di adottare un bambino: “E come lo chiamerete? E lui di rimando:“…ne abbiamo pensati molti, e diversi: Lupo, Dafina, Kakà…”La nonna: “Ma almeno un nome vostro glielo vorrete dare, no? Il nipote: “…non ti sembrerebbe strano un bambino tutto nero che si chiama Mario, o Pierluca, e se è una bambina magari Virginia o Bianca? E’ da notare l’arguto, sottile accostamento tra il colore nero della pelle e il nome Bianca... perché è certo strano che un bambino “tutto nero” si possa chiamare Mario o Fabrizio! Il bambino nero deve poter portare il suo nome esotico, come un marchio che lo identifichi subito, che possa essere subito riconosciuto.  Ancora la nonna: “Ma sarà proprio nero nero nero?” E il dialogo continua su questi toni, sollevando simili, alte, democratiche, edificanti, questioni.         Quando la coppia (che non ha un nome) spiegherà ad Ayele, la complessa e tortuosa strada per ottenere un’adozione – immaginando quale bambino avrebbe potuto avere – quel razzismo, che pure sin qui abbiamo ravvisato, sarà reso sulla carta più compiutamente:    “Un giorno eri brasiliano, avevi voglia di ridere e di ballare. Ma poi, all’improvviso, diventavi triste e pigro. Se ti proponevo di andare a fare un giro mi rispondevi di no. Allora ti lasciavo stare. Giocavo un po’ con il pallone, ti facevo vedere che anch’io ci sapevo fare, e dopo un po’ ti tornava il buonumore. Ti avevamo chiamato Kakà per questo. Un altro giorno arrivavi dalla Repubblica ceca ed eri una bambina. Non eri affatto bionda, ma scura di etnia Rom. Avevi un piccolo difetto al piede, niente di particolare. Avremmo aspettato qualche tempo e poi ti avrebbero fatto un intervento. Da quel giorno in poi non avresti voluto altro che un paio di scarpe nuove. Ogni volta che si usciva volevi comprare delle scarpe, ormai ne avevamo un armadio pieno. Le tue preferite erano un paio di ballerine rosse. Dicevi: - Eh, io vengo da un popolo nomade, ho bisogno di camminare. Poi eri una bambina bionda…Costruivamo e smontavamo immagini…tu saresti stato diverso, anche se non sapevamo come.”          E’ un campionario tristissimo di luoghi comuni, di stereotipi più diffusi e pregiudizievoli sugli extracomunitari che riflette, ahimè, una mentalità piuttosto diffusa, piccolo borghese e classista:… un bambino brasiliano (perché brasiliano) avrà voglia di ridere e naturalmente di ballare e di giocare a calcio come Kakà, ma sarà anche pigro e triste (naturalmente, come tutti quelli del terzo mondo: una visione fortemente eurocentrica e discriminante); la bambina Rom, proveniente da un popolo nomade, avrà (naturalmente) bisogno di camminare molto: ecco la ragione della continua richiesta di scarpe…tali da riempire un armadio!   Se l’intenzione dell’autore era quella di farci ridere ci riesce malissimo, essendo pateticamente palese l’intento denigratorio, la volontà di infierire sarcasticamente sui bambini provenienti da altri paesi e adottati in Italia.      E ancora, continuando in questo viaggio di preoccupante china valoriale e democratica: quando arriva il nero Ayele, troverà normale nascondere, come un tesoro, sotto il letto, un sacchetto di briciole di pane, retaggio della sua vita precedente fatta di accattonaggio. L’assistente sociale dirà alla coppia che ciò aveva a che fare con la sua paura di restare il giorno dopo senza mangiare. Poi Ayele andrà migliorando, anche grazie alla lettura (e alla lezione) de Il Piccolo Principe che gli viene fornita costantemente dal padre, fino a quando il bambino dirà loro (ai genitori adottivi): “Anch’io sono stato addomesticato”.  Proprio come un animale, come il cane Nero: sono i due estremi di una catena che non è priva di anelli.      E’ sorprendente che un simile testo sia rivolto ai bambini e ai ragazzi e possa tranquillamente entrare nelle scuole, attraverso iniziative che vedono la compartecipazione di biblioteche e di enti culturali: quale lezione di intercultura ci viene impartita, alla luce di un processo – quello multirazziale – ormai pienamente, giustamente accolto e vorticosamente in atto?     Pensiamo alle classi con una presenza sempre più alta di extracomunitari dove possa essere letto Nero, con i suoi contenuti e dialoghi inequivocabilmente a sfondo razzista e il conseguente imbarazzo, sentimento di offesa e di umiliazione dei soggetti sopracitati.    Le forme di razzismo possono essere di diversa natura ed essere più o meno criptiche, possono manifestarsi nei campi più disparati e percorrere e precorrere le strade meno impensabili, come, appunto, nel caso della letteratura infantile: un terreno di coltura particolarmente fertile e adatto, proprio perché il più vulnerabile e il meno vigilato.