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Gli architetti russi contro le Archistar

di Stefano Serafini - 19/11/2009

 Contro il grattacielo della Rmjm, gli architetti russi si appellano al modello della Capitale: «Così si difendono la storia e la bellezza»

Il grande urbanista Nikos A. Salingaros è l’autorevole capofila della critica alle archistar e ai loro non-luoghi 

La splendida San Pietroburgo di Pietro il Grande e di Gogol, costruita dagli architetti italiani del ’700, sta per essere uccisa da un grattacielo supermoderno di 403 metri piantato dritto nel suo cuore. Da lì sovrasterà, torvo ed alieno, ogni guglia, ogni cipolla, ogni palazzo, visibile da qualsiasi prospettiva, come una bestemmia. I cittadini sono in rivolta, non vogliono vivere sotto l’occhieggiare di una Torre Oscura. L’UNESCO ha reagito annunciando il depennamento della “Venezia del Nord” dalla lista delle città patrimonio dell’umanità. Ma per contrastare il progetto miliardario della RMJM, multinazionale delle costruzioni alla moda, alcuni importanti architetti russi, come Boris Pasternak e Evgenij Ass, si sono appellati al “modello Roma” come ad un esempio di civiltà: la capitale d’Italia infatti difende la propria bellezza e la propria storia fino a rifiutare ogni nuova costruzione nel centro.Da Roma ha risposto il grande urbanista Nikos A. Salingaros, giunto dagli USA (dove insegna Matematica presso l’Università di San Antonio, Texas) per una intensa settimana di conferenze e presentazioni del suo ultimo libro, appena edito dalla Libreria Editrice Fiorentina (editrice@lef.firenze.it): No alle Archistar. Il manifesto contro le Avanguardie.Salingaros argomenta: gran parte dell’architettura contemporanea internazionale è pensata per soddisfare la sete di originalità e di guadagno dell’architetto-star, non il benessere dell’uomo e della comunità che ne fruirà. Riconoscerla, questa architettura dell’innovazione invecchiata e danarosa, dello spettacolo necessario ad attirare finanziamenti, è facile anche dalle litanie, sempre le stesse, e sempre dagli stessi pulpiti: così ad es. a confronto del MAXXI di Zaha Hadid i monumenti di Roma possono definirsi «un catalogo di reliquie per turisti e studenti» (Nicolai Ouroussof sul New York Times). Spinta da un sistema affaristico e di pubbliche relazioni dalle dimensioni planetarie, afferma Salingaros, l’architettura-star cavalca volutamente un’ideologia relativistica per giustificare come “creativi” autentici mostri contro natura, ostili al contesto; costruzioni che si rivelano dannose in senso economico, sociale e addirittura psico-fisico, secondo «un’osservazione scientifica, che si basa su essenziali proprietà geometriche di forme e superfici architettoniche». E giù a spiegare, ad es. agli studenti della Libera Università Maria SS. Assunta che lo seguono attenti durante un seminario sulla bio-architettura, la funzione dei frattali e i valori delle proporzioni per il sistema neuro-cognitivo umano.Dagli incontri che la scorsa settimana hanno visto il professore protagonista, tra gli altri, alla Facoltà di Architettura de La Sapienza, alla Camera dei Deputati, alla Fondazione CESAR, con articoli apparsi su Il Sole24ore, Libero, Il Corriere della Sera, l’Occidentale, esce una lezione di speranza, buon senso e metodo (non senza una piccola polemica, per aver osato dir bene del progetto dell’Arco di Libera al quartiere EUR).A differenza dell’architettura modernista internazionale che s’impone ai luoghi con le sue forme astratte, sempre le stesse da sessant’anni nonostante i proclami di “innovazione”, a Dubai come a Pechino, a Foligno, o New York, la buona architettura si dispiega localmente, parlando il linguaggio delle forme usato dalla natura. Vernacolare, tradizionale, moderna o futuribile, essa si riconosce non da uno stile o dall’appartenenza a un’ideologia accademica, ma dall’essere biofilica, cioè amica della vita intrinseca a ogni spazio, e dunque rispettosa dell’ambiente e della cultura in cui viene a inserirsi. L’architettura biofilica vige così in ogni tempo e luogo, anche se nel passato ante guerra, specialmente in Italia, se ne trova molta di più. 

 

Secolo d’Italia, 17.11.2009, pp. 8-9