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Il tracollo della ricca, fantasmagorica Dubai

di Loretta Napoleoni - 01/12/2009

Fonte: caffe

  
 
A Dubai si racconta che Palm Jumeirah - l’isola a forma di palma che la sussidiaria della Dubai World, Nakheel, ha difficoltà a completare per scarsità di fondi - è costruita sull’immondizia della città. Non ci sono incineratori a Dubai, i rifiuti invece di essere seppelliti nel deserto vengono compattati e utilizzati come giganteschi mattoni per costruire le colonne di cemento che sostengono le nuove isole. Anche l’economia di questa città-stato, la più fantasmagorica del Medio Oriente, sembra poggiare su una pila di rifiuti.

Questa settimana, alla vigilia dell’Haji, il pellegrinaggio alla Mecca, il governo chiede una moratoria di ben 6 mesi su tutti i debiti, inclusi i 4 miliardi di dollari in sukuk, le obbligazioni islamiche, che la Nakheel deve ripagare entro il 14 dicembre. Basta questa notizia a mandare in panico i mercati mondiali. Le borse europee perdono 3 punti percentuali e mezzo mentre New York si salva grazie alle festività del giorno del Ringraziamento. Ma venerdì anche Wall Street assorbe il colpo. Le società di rating si precipitano ad abbassare ulteriormente le valutazioni riguardo al futuro dell’economia del paese e i prezzi delle coperture assicurative per gli investimenti a Dubai schizzano verso l’alto, il costo dei Cds (Credit Defaults Swaps) con la durata di 5 anni si raddoppiano. La situazione è talmente seria che il governo è costretto a fermare la costruzione del grattacielo più alto al mondo, simbolo delle ambizioni illimitate di questa città-stato. Naturalmente tutti si chiedono se Dubai farà la fine dell’Islanda, andata in bancarotta a causa delle chimere finanziarie della sua classe dirigente Naturalmente tutti si chiedono se Dubai farà la fine dell’Islanda, andata in bancarotta a causa delle chimere finanziarie della sua classe dirigente.

Eppure appena un anno fà Dubai World, uno dei tre gioielli imprenditoriali dell’emirato, si vantava di usare lo stesso motto di Luigi XIV: “il sole non tramonta mai sui miei domini”. Adesso quegli investimenti intorno al mondo sono alla radice dei problemi dell’impresa e rischiano di mandare in crisi tutto il paese. Tra gli acquisti bizzarri di questa società il cui presidente è il Sultano Bin Sulayem, l’uomo che ha orchestrato il boom economico e finanziario del paese, c’è il 50% del CityCentre del MGM Mirage, una sorta di casinò multiuso costruito a Las Vegas, avvenuto nell’agosto del 2007. A quel tempo il valore di mercato del CityCentre era di 5.4 miliardi di dollari, poco più di due anni dopo la Mgm Mirage lo ha abbassato di 2.4 miliardi di dollari.

A ottobre in un rapporto della la Standard & Poor si leggeva che Dubai World potrebbe essere responsabile per il 50% del debito societario totale del governo, pari a un valore che oscilla tra gli 80 ed i 90 miliardi di dollari. E dove li troveranno gli sceicchi questi soldi? Dubai, bisogna ricordarlo, non possiede petrolio, la produzione nazionale è irrilevante, non basta neppure a soddisfare l’alto consumo energetico di questo emirato, che vanta un Mall artico, con una pista da sci su neve artificiale. La ricchezza dell’emirato deriva dal turismo, dal settore immobiliare e dalla finanza. Settori duramente colpiti dalla recessione. Il sogno dello sceicco al Maktoum e dei suoi sudditi era di trasformare Dubai nella Svizzera del Medio Oriente, un’isola felice dove i super ricchi si sentivano protetti e dove il fondamentalismo islamico era tenuto a debita distanza.

Peccato che non bastino i miliardi del petrolio o quelli degli oligarchi russi a trasformare banche e finanziarie in un sistema finanziario solido, basato sulla fiducia reciproca tra banchieri e clientela. Come tutti i paesi medio-orientali, la gestione della finanza e dell’economia è nelle mani di una classe di privilegiati, un’elite che per nascita si è trovata alla guida del paese. Manca a Dubai l’esperienza centenaria delle banche svizzere ma anche la professionalità politica della democratica Svizzera. Basta ricordare come il governo elvetico lo scorso anno abbia risolto i problemi di liquidità delle banche svizzere: aprendo i forzieri dello stato.

A Dubai questo non è possibile, tra emiro ed emirato non c’è differenza, non si capisce bene dove finisce la ricchezza del primo ed iniziano i profitti o le perdite della Dubai World. Così lo stato non può soccorrere nessuno e deve rivolgersi al più parsimonioso e più ricco vicino, Abu Dhabi. Capitale dell’Unione degli Emirati Arabi, questo emirato agisce come la sua banca centrale. Naturalmente, Abu Dhabi produce petrolio. Durante questo fine settimana di festa non si è ancora pronunciato sulla possibilità di estendere altri crediti alla vicina Dubai - già nell’ottobre del 2008 la salvò con una serie di linee di credito. I mercati internazionali sono certi che se l’alternativa è la bancarotta lo farà di nuovo. L’idea che un paese del golfo dichiari bancarotta fa paura a tutti anche e soprattutto agli arabi.

Difficile prevedere cosa succederà lunedì, ma l’esperienza della Lehman Brothers ci dice che è possibile che Abu Dhabi non intervenga. Se così fosse la Dubai World diventerebbe la Lehman islamica, un evento abbastanza drammatico da far precipitare i mercati in un nuovo abisso. Una cosa comunque è certa: nessuno correrà in aiuto delle centinaia di migliaia di persone che hanno acquistato sulla carta una villetta o un appartamento a Palm Jumeirah e che si ritrovano in mano una pila di rifiuti.