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Abituati a pensare in modo manicheo, ci sfugge la complessità del reale

di Francesco Lamendola - 20/01/2010

Il nostro modo di pensare e di considerare il reale risente profondamente di una serie di pregiudizi razionalisti e materialisti che abbiamo ricevuto quasi senza rendercene conto, come parte integrante del paradigma moderno, meccanicistico e pragmatistico, e nella cui atmosfera siamo cresciuti e vissuti, sino a considerarli come cose assolutamente ovvie e naturali.
Ma naturali non sono: sono una ideologia come un’altra, più evoluta di tutte sul piano tecnologico, ma terribilmente rozza ed angusta a livello spirituale.  Di conseguenza, noi vediamo le cose come le filtra il paradigma oggi dominante: il nostro sguardo non è limpido, il nostro giudizio non è equanime, come ci piacerebbe credere.
Da Aristotele, siamo abituati a ragionare in maniera univoca: A è A e non è B; B è B e non è C; e così via. Da Cartesio in poi, siamo abituati a pensare in termini dualistici: A è corpo, B è spirito; una cosa o è corpo, o è spirito; tertium non datur. E via di questo passo: pensiero rigido; pensiero oppositivo; pensiero strumentale; pensiero calcolante; pensiero aggressivo. «Sapere è potere», dice Francis Bacon: il sapere è la chiave del dominio sulle cose e sugli uomini. «La filosofia non deve spiegare il mondo, deve cambiarlo», aggiunge Marx. Singolare convergenza del campione dell’imperialismo borghese e del profeta della rivoluzione comunista: molto più simili di quel che non sembri, a ben guardare.
Ma la realtà non è descrivibile in termini di bianco e nero; non può essere compresa con le categorie mentali del manicheismo: giusto/sbagliato; vero/falso; reale/irreale; e così via. No, il mondo in cui viviamo è infinitamente più ricco, più complesso, più sfumato. Marx aveva l’animo di un fascista e Mussolini, quello di un socialista; Freud, il nemico di tutte le religioni, aveva l’animo del fondatore di una nuova fede; peggio, di una nuova chiesa: la Chiesa della psicanalisi. E così è stato. Non basta odiare i padri per essere diversi da loro: al contrario, odiarli è il modo più sicuro per diventare come loro. Generazioni e generazioni di uomini che ne hanno fatto la prova provata, sono lì a testimoniarlo. Parlano i fatti, per loro.
E soprattutto non basta uno slogan, non basta una bandiera, per essere quello che si dice di essere: no  davvero; ci vuol altro.
Così, senza nemmeno rendercene conto, la maggior parte di noi non pensa con la propria testa e non vede con i propri occhi, né ode con i propri orecchi, ma secondo il giudizio di qualcun altro: poveri burattini eterodiretti, bassa manovalanza per qualunque operazione politica, sociale o culturale; ma, per carità, nel pieno rispetto delle forme democratiche!
In un precedente articolo di parecchio tempo fa,  «Che cos’è la realtà?» (sempre sul sito di Arianna Editrice), ci eravamo già posti il problema di saper leggere e decifrare la realtà. Paradossalmente, si può dire che mentre il «buio» Medioevo aveva ben chiaro che la realtà è costituita da una serie di segni che devono essere decodificati, la nostra magnifica età moderna è perfettamente (e ingenuamente) persuasa che basti vedere una cosa, o, meglio, poterla misurare e catalogare, per averla compresa; dopo di che si può passare alla successiva.
In quel lavoro, avevamo sostenuto che le cose possiedono un diverso grado di realtà, mano a mano che ci si allontana dalla loro sorgente, vale a dire dall’Essere, che le ha originate; per cui le cose ideali sono più reali di quelle materiali, e quelle spirituali lo sono più di quelle ideali. Ricapitoliamo brevemente il senso di quel ragionamento.
Il mondo materiale, che - nel linguaggio ordinario - si suole definire «la realtà» per antonomasia, è il più remoto dalle fonti dell'Essere, perché il più accessorio e contingente. Posto che esso esista davvero e non sia, semplicemente, un pensiero della Mente infinita dell'Essere all'interno delle menti finite - certi fisici contemporanei amano fare la similitudine con il concetto di «ologramma», ovvero parlano di «realtà virtuale»; così come i mistici indiani parlano dell'universo fisico come di «lila», ossia «gioco divino», «sogno cosmico» di Dio - la cosiddetta realtà materiale è la meno reale fra i diversi gradi di realtà dell'esistente.
Essa, infatti, più di ogni altra, ha l'attributo della contingenza: può esservi, come non esservi. Non c'è alcuna ragione necessaria per cui questo albero debba esistere, o questo uomo, o questa galassia; anche se, naturalmente, l'esistenza degli enti è strettamente intrecciata, e la loro storia complessiva è la somma delle loro relazioni reciproche.
Il mondo concettuale possiede un più alto grado di realtà, perché gli enti di cui risulta composto sono bensì contingenti e non necessari, e tuttavia, poste determinate premesse e messa in moto, per così dire, la ruota della loro esistenza, divengono assolutamente necessari. Noi possiamo anche non pensare alcun triangolo; ma, una volta che pensiamo un triangolo rettangolo, il teorema di Pitagora ne scaturisce come una conseguenza assolutamente necessaria, perché si deduce dalla sua essenza. Non esiste e non è pensabile alcun triangolo rettangolo in cui la somma dei quadrati costruiti sui cateti non sia equivalente al quadrato costruito sull'ipotenusa.
Questo rigore logico, questa assoluta consequenzialità non appartengono al mondo degli enti materiali, ma solo a quello degli enti ideali. Una montagna può esserci o non esserci; se c'è, può avere le caratteristiche più varie, senza con ciò violare alcuna categoria della logica.
Il mondo spirituale possiede un grado di realtà ancora più alto. Ciò deriva dal fatto che esso è ancora più vicino, o - per meglio dire - ancora meno lontano dalle sorgenti dell'Essere. La bellezza, la bontà, la verità, la giustizia, l'amore, sono più reali degli enti puramente concettuali, perché non solo possiedono un grado di necessità ancora maggiore di quelli, ma la loro esistenza tende a coincidere con la loro stessa essenza. Infatti, la loro essenza consiste nell'essere così come sono, né potrebbero essere altrimenti, in quanto emanazione diretta dell'Essere.
Non sono gli enti che creano la bellezza, la bontà, la verità, la giustizia e l'amore: gli enti non fanno altro che assentire alla chiamata dell'Essere per farsene tramite rispetto ad altri enti; a distribuirne la presenza, per così dire, nel mondo. Il teorema di Pitagora, in quanto tale - ossia come operazione logica e non come dato di fatto - è un atto del pensiero; ma la bellezza, la bontà e la verità, non sono operazioni del pensiero: sono modalità dell'essere. Non dipende dai singoli enti, dalle singole menti, il fatto di pensarli oppure no; a loro compete solo di rispondere positivamente, oppure no, al loro appello, facendosene trasmettitori.
Questo, a grandi linee, il ragionamento che avevamo sviluppato in quel precedente lavoro. Possiamo ulteriormente allargare la nostra prospettiva, ammettendo - quanto meno come verosimile ipotesi di lavoro - che, a queste tre grandi categorie di enti, se ne debbano aggiungere delle altre, aventi caratteristiche intermedie (e in diversa misura) fra esse. Proprio perché bisogna evitare il pensiero rigido e manicheo, appare possibile, se non addirittura probabile, che gli enti non appartengano, in maniera netta e definita, solo alle tre grandi categorie di cui sopra; ma che si muovano fra un estremo di realtà (e quindi, nella nostra prospettiva, di spiritualità) ed un estremo di irrealtà (vale a dire di materialità).
In fondo, una cosa soltanto è assolutamente reale: l’Essere. Tutte le altre non sono che riflessi o emanazioni di quella; che noi, per comodità, ci sforziamo di collocare nella loro brava casella di appartenenza, dopo averle opportunamente etichettate.
Questo tipo di impostazione del problema gnoseologico ci sembra che possa rendere ragione anche di tutta una serie di eventi «di frontiera», attinenti la sfera del supernormale, fino alle soglie del mistero per eccellenza, vale a dire il soprannaturale. Dalle apparizioni di Oggetti volanti non identificati e dai rapimenti di esseri umani da parte di creature aliene, fino ai miracoli dei santi o alle possessioni demoniache, vi è tutta una vastissima gamma di fenomeni altrimenti inspiegabili.
Scriveva Charles Fort nel suo memorabile «Il libro dei dannati» (titolo originale: «The Book of the Damned», Boni & Liveright, 1919;  traduzione italiana di Antonio Bellomi, Milano, Gruppo Editoriale Armenia,  pp. 18-19):

«Tutte le scienze cominciano con dei tentativi di definizione.
Nulla è mai stato definito.
Perché non c’è nulla da definire.
Darwin scrisse “L’origine delle specie”.
Ma non fu mai in grado di dirci che cosa intendeva chiamare “specie”.
Non è possibile dare una definizione.
Nulla è mai stato alla fine scoperto.
Perciò non c’è nulla da scoprire alla fine.
È come cercare un ago che nessuno ha mai perso in un pagliaio che non è mai esistito.
Ma tutti i tentativi di scoprire in realtà qualcosa, dove in realtà non c’è nulla da scoprire, sono in realtà tentativi essi stessi per essere qualcosa.
Un cercatore della Verità. Non la scoprirà mai. Ma c’è una remotissima possibilità che egli stesso diventi la Verità.
O che la scienza sia più di una ricerca:
Che sia una pseudo-costruzione, o una quasi-organizzazione : che sia cioè un tentativo di evasione per stabilire localmente l’armonia, la stabilità, l’equilibrio, la consistenza, l’entità…
C’è la più remota delle possibilità… che possa riuscirci.
La nostra è una pseudo-esistenza e tutto ciò che è visibile in essa fa parte della sua essenza fittizia…
Alcune apparenze si approssimano maggiormente di altre allo stato positivo.
Noi concepiamo tutte le “cose” come occupanti una gradazione, o stadi tra la positività e la negatività, la realtà e l’irrealtà: alcune cose apparenti sono più-quasi consistenti, giuste, nelle, unificate, individuali, armoniose e stabili… di altre.
Noi non siamo realisti. Non siamo idealisti.  Siamo degli intermediaristi… perché nulla è reale ma quel nulla è irreale: tutti i fenomeni sono un’approssimazione in un senso o nell’altro tra la realtà e l’irrealtà.»

In breve, si tratta di uscire dall’alternativa secca relativa agli Oggetti volanti non identificati e alle creature aliene: se, cioè, si tratti di oggetti e individui provenienti da un altro mondo fisico, oppure da un’altra dimensione, nella quale essi non esistono allo stato fisico, o a noi non appaiono nello stato fisico, o, ancora, dalla quale possono «scivolare» attraverso la dimensione fisica, come un’onda acustica può passare attraverso degli ostacoli solidi.
Ad esempio, è noto che, in molti casi di «abduction» (rapimento), i rapiti sostengono di essersi trovati in presenza di creature aliene materializzatesi all’interno della loro abitazione e della loro stanza, e di essere stati prelevati e trasportati, magari direttamente dal letto in cui dormivano, a bordo di astronavi, per subire vari generi di esprimenti.
Tutto questo è molto simile alla casistica relativa alle esperienze dei vivi con gli spiriti: passare attraverso i muri, materializzarsi e smaterializzarsi a piacere, sembrano essere caratteristiche degli spiriti, o fantasmi, o spettri, o in qualunque altro modo li vogliamo chiamare; e lo stesso dicasi per le tradizioni del folklore relative a folletti, gnomi, fate; per non parlare, infine, dei poteri delle streghe e dei negromanti.
Forse, dopotutto, i fenomeni ufologici non differiscono, nella sostanza, da alcuni di quelli cosiddetti parapsicologici; forse ci troviamo, in entrambi i casi, in presenza dello stesso ordine di manifestazioni di una realtà «altra», che ci appaiono in forme esteriori differenti, solo perché non li sappiamo interpretare correttamente, o forse a causa delle differenze dei contesti culturali nei quali si verificano. Vogliamo dire che ciò che nel mondo antico o nel Medioevo veniva interpretato come opera di magia o come apparizioni di fantasmi, ai nostri giorni viene interpretato come opera di creature extraterrestri.
Ma, tornando alle teorie di Fort, non dovremmo limitarci a rivolgere il concetto di intermediarità al solo mondo esterno, bensì anche all’occhio che guarda, vale a dire a noi stessi. Dovremmo cominciare a pensare noi stessi in termini di enti che si trovano in una situazione intermedia fra la realtà e l’irrealtà: precisamente, reali nel nostro legame con l’Essere, dunque con la nostra parte perenne; irreali nei riguardi della dimensione fisica.
Qualcuno potrebbe obiettare che anche questa è una forma di dualismo e perciò, almeno potenzialmente, di manicheismo. Rispondiamo che non si tratta di dualismo, perché il piano del reale e il piano dell’irreale non giacciono sulla stessa dimensione, ma su due dimensioni radicalmente diverse; il fatto che esistano situazioni intermedie che sfumano dall’una nell’altra, non abolisce questa radicale differenza ontologica.
È sempre una questione di limiti percettivi, dunque un problema gnoseologico, non ontologico. Il fatto che noi possiamo percepire come contigui degli enti e delle situazioni che sono separati da una frattura ontologica dipende dall’imperfezione dei nostri sensi e della nostra intelligenza, non dalla realtà in sé.
Del resto, lo ripetiamo: solo l’Essere è reale in modo assoluto; tutto il resto è irreale o semi reale, sia pure in misura diversificata.
Dovremmo smettere, pertanto, di fare le più grandi meraviglie davanti al verificarsi di situazioni che sfidano le leggi della fisica e che, tuttavia, molti indizi suggeriscono appartenere ad un ordine di realtà non troppo diverso dal nostro; noi stessi possiamo oltrepassare i nostri limiti fisici, a determinate condizioni. Persone naturalmente dotate, o persone che hanno condotto studi ed esperimenti specifici, sono in grado di abolire i confini dello spazio e del tempo e di operare a distanza nei contesti più diversi, come suor Maria de Agreda, una religiosa spagnola del Seicento che fu in grado di convertire migliaia di pellerossa del Texas, pur non essendosi mai mossa dal suo convento nella Penisola Iberica. E potremmo citare una infinità di casi del genere. Evidentemente, noi stessi siamo delle creature interdimensionali, magari a nostra insaputa; e come tali possiamo manifestarci ad altri esseri umani.
Il reale è infinitamente più complesso di come lo descrive la fisica classica; per fortuna, molti scienziati delle ultime generazioni si sono avvicinati a questa comprensione, e i loro punti di vista sulla natura della materia, dello spazio e del tempo convergono in modo impressionante con quelli elaborati da migliaia d’anni dalla sapienza dell’India, del Tibet, della Cina, per non parlare del Pitagorismo, del Platonismo e dello stesso Cristianesimo.
È davvero tempo che noi facciamo uno sforzo per superare il nostro modo di pensare tradizionale, angusto e manicheo, facendo così un passo in avanti verso una più esatta e significativa comprensione del reale, intorno a noi e dentro di noi.