Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Bullismo:e se fosse la mancanza della figura paterna?

Bullismo:e se fosse la mancanza della figura paterna?

di Vincenzo Spavone - Elvia Ficarra - 25/01/2010

  
 

PREMESSA: La scomparsa di figure maschili a cui i giovani possano fare riferimento, e di ritualità che scandiscano le diverse fasi della loro evoluzione, va di pari passo con la globalizzazione dei costumi, dei mercati, dei prodotti e dei servizi anche terapeutici. La centralità del valore materno per la soddisfazione dei bisogni, che marginalizza nella zona del politicamente scorretto il principio maschile e paterno dell’azione costruttiva, è funzionale ad una società organizzata intorno al circuito passivo del consumo/dipendenza. Un orientamento regressivo che, abolito il principio di autorità, genera insicurezza e senso di vuoto poi colmato con l’assunzione di droghe e reazioni distruttive. Occorre riaffermare il valore sociale del paterno/maschile, e riattivare nell’immaginario collettivo l’archetipo del padre, quale elemento di iniziazione e trasmissione all’identità di genere. (vedi Analisi del Contesto Sociale allegata)

FINALITA’: Valorizzare e ripristinare, sul piano culturale e concreto, il ruolo attivo del padre e delle figure educative coadiuvanti nella trasmissione dell’identità di genere, nell’indirizzo delle energie aggressive verso scopi costruttivi, nell’assunzione di responsabilità individuali e collettive.

RISULTATI ATTESI: Favorire la conoscenza delle normative che garantiscono il diritto dei minori a mantenere relazioni significative con entrambi i genitori. Riattivare nell’opinione pubblica la consapevolezza del valore sociale della Paternità. Reintrodurre nei percorsi educativi figure maschili di riferimento coadiuvanti del ruolo paterno. Confronto costruttivo con altre istituzioni implicate nella problematica bullismo.

ANALISI DEL CONTESTO SOCIALE
in cui si manifestano episodi di bullismo e violenza tra i giovani e gli adolescenti

Gli episodi di bullismo e violenza nelle scuole – e non solo – pongono la necessità di fornire alle istituzioni scolastiche nuovi strumenti di prevenzione e contrasto
La scuola è comunemente indicata come la seconda agenzia educativa. Il valore della sua esperienza non si esaurisce nella mera acquisizione di conoscenze e competenze, ma altresì nell’assunzione di comportamenti consapevoli e responsabili, bagaglio essenziale che consente all’individuo in formazione di accedere alla comunità sociale stabilendo relazioni costruttive.
Gli interventi sinora posti in essere a carattere essenzialmente cognitivo-educativo svolgono una importante funzione sul versante della prevenzione primaria, ma, fondandosi solitamente sulla promozione di comportamenti positivi, rischiano di non incidere a livello profondo sugli atteggiamenti. Ancor più fallimentari potrebbero risultare gli interventi di carattere sanzionatorio che incrementano reazioni di rabbia, prevaricazione, ostilità.
Riversare sulle famiglie l’incapacità a trasmettere modalità socializzanti positive appare anacronistico.
Il bullismo – ed altre variegate forme di violenza - non è riconducibile alla condotta “deviata” di singoli individui determinata da un unico ambito. E’ invece il prodotto di logiche culturali di cui le istituzioni tutte sono propagatrici. E’, in sintesi, il fallimento della nostra società nel processo di trasmissione alle nuove generazioni. Una sconfitta.
L’educazione delle nuove generazioni si pone ormai come una emergenza nazionale.
Un’azione efficace deve passare in primis attraverso il riconoscimento e l’assunzione di responsabilità collettive sulle cause che hanno determinato tale fenomeno, analizzando a ritroso i mutamenti della struttura familiare e sociale intervenuti negli ultimi decenni. Le cui conseguenze nefaste sono ampiamente documentate da importanti studi effettuati nei Paesi che ci hanno preceduto in questo percorso.

Il principio di autorità
Come sostiene lo psicoterapeuta Claudio Risé il principio di autorità è costitutivo della personalità e condizione per il suo sviluppo. (1)
Ben sanno educatori e pedagogisti come l’assoluta libertà di comportamento – sperimentata come metodo “antiautoritario” - provochi anche nei soggetti più piccoli una regressione verso la disorganizzazione psicotica, ipereccitabilità, depressione. Sindromi oggi curate con droghe chimiche simili a quelle che gli adolescenti cercano poi nei divertimenti notturni..
Nella tradizionale accezione positiva la paternità ha un carattere di tipo normativo: il padre stabilisce le regole e le direttive per la loro ottemperanza, aiuta il figlio a diventare un adulto responsabile indirizzandolo verso la vita sociale.
Nella fase secondaria dell’educazione, quando la funzione materna di costruzione e mantenimento di uno spazio affettivo, di soddisfacimento dei bisogni e dei desideri, non è sufficiente a consentire l’ingresso del bambino in società, il padre interviene ponendo dei limiti ed insegnandogli a perseguire gli obiettivi in una visione prospettica della esistenza.
La rottura anche simbolica del legame fusionale che il bambino ha con la madre è un evento di iniziazione presente in tutte le culture “….Un momento decisivo – scrive Claudio Risé - che contemporaneamente fonda la nuova personalità adulta dell’individuo che esce dall’infanzia e rifonda la stessa società cui è chiamato a partecipare, grazie alle nuove forze che porta nel gruppo……Il padre insegna, testimonia che la vita non è solo appagamento, conferma, rassicurazione, ma anche perdita, mancanza, fatica”. (2)
La sua funzione primaria è pertanto quella di interrompere la simbiosi con la madre, dal suo avvolgimento protettivo e di appagamento dei bisogni, proponendo allo sviluppo del figlio una direzione, una progettualità.
A sua volta il figlio che entra in relazione con l’uomo adulto portatore della norma sperimenta di non essere onnipotente: l’accettazione anche dolorosa di regole e limiti da rispettare lo libera dall’ansia, poiché a livelli profondi ricerca istintivamente un contenimento alle proprie pulsioni indifferenziate.
La figura paterna e le sue funzioni sono largamente trascurati nelle ricerche sull’evoluzione infantile; ed ancor più nelle istituzioni di cura e diagnosi del bambino problematico. Totale è l’assenza di studi comparati sui diversi percorsi di sviluppo di bambini che crescono accompagnati, o al contrario privati, da una figura paterna strutturante.


La società senza padri

In tutte le epoche storiche il principio di autorità è affidato al padre ed altre figure maschili che lo coadiuvano, e talora sostituiscono.
Dalla seconda metà del secolo scorso, la nostra società occidentale è caratterizzata dall’affievolirsi di figure paterne reali che abbiano un rapporto continuativo con i bambini, rapporto generalmente assicurato e riconosciuto alla donna/madre.
Le funzioni maschili appaiono sempre più periferiche. I padri di oggi non possono contare sui riferimenti certi ed accettati, sembrano essere poco consapevoli dell’importanza del loro ruolo, spesso non sono in grado di esercitare sui figli una mansione prescrittiva, espropriati della loro autorità dai messaggi martellanti della cultura dominante.
A far da maestri ai futuri padri oggi non sono più i loro padri, o delle figure maschili che li rappresentano simbolicamente.
La trasmissione identitaria maschile è scomparsa insieme ai riti di iniziazione, segnando per la prima volta una rottura antropologica tra generazioni. L’individuo si inserisce nella società accompagnato dalla madre e da una serie di figure di aiuto e direzione femminili, genere prevalente in tutto il sistema educativo e socio-psicologico infantile/adolescenziale.
L’irresponsabilità o lo scarso impegno oggi rimproverati all’uomo nello svolgimento delle sue residue funzioni paterne - sottolinea Claudio Risé - hanno proprio questa origine: la privazione della trasmissione del sapere istintuale.(3)
Spesso già figlio maternizzato, il giovane padre odierno è costretto ad adattarsi alla latitanza richiesta dalla società-Stato che ha preso il suo posto. Tale privazione identitaria provoca depressione e tendenza a regredire a livelli affettivi e comportamentale di tipo infantile. Carente sulla specifica posizione maschile-paterna tende a restare in eterno un adolescente, in perenne ricerca di rassicurazioni narcisistiche alla propria esistenza, incapace di trasmettere valori.
“La società secolarizzata del divorzio facile e dell’aborto praticabile senza neppure interpellare il padre, non gli lascia grandi spazi per esprimersi. Anzi in genere questo padre, già insicuro, poiché nessuno gli ha insegnato come si fa ad esserlo, viene caldamente pregato, dalla cultura sociale dominante, di tacere sui sentimenti e sulle decisioni che contano per i figli. Parli pure di soldi, organizzi senz’altro un buon livello di vita per la famiglia, ma quanto al resto, per cortesia, taccia. Il padre è oggi emotivamente assente, respinto in una grigia terra di nessuno da cui non può comunicare con i figli, né loro con lui.” (4)
Questo padre, impossibilitato a sciogliere il figlio dallo spazio psichico materno, finisce per adottare atteggiamenti amicali nei suoi confronti, azzerando le differenze di ruolo. Scivolando così in una forma di sottomissione ai desideri del figlio che, rimanendo sempre più a lungo invischiato nella relazione fondata sulla dipendenza, continua a richiedere attenzioni e soddisfazioni che ricalcano il modello materno.
La donna che a sua volta sperimenta un deficit paterno mostra poi profonda insicurezza, bassa autostima e fragilità psicologica, che si manifestano con comportamenti lesionisti (anoressia, bulimia) o sessualmente provocatorii. L. Leonard Schiere afferma “…la crescita emotiva e spirituale di una figlia è fortemente influenzata dal rapporto col padre, se il padre è distante…..ne esce una ferita per il suo spirito femminile”. (5)
Come descrive lucidamente Robert Bly, venuta meno la competenza paterna, che ha trascinato con sé anche quella materna, il modello da interiorizzare non è più costituito dai valori genitoriali per eventualmente superarli, ma da quello dei pari. Un modello che, privo di riferimento alla dimensione verticale – tra generazioni – delle esperienze, risponde piuttosto alle regole del mercato e della società dei consumi. L’autostima non si struttura sull’apprezzamento degli adulti di riferimento, ma sul consumo di mode e prodotti legati ad immagini e marchi di successo sollecitato dai media. (6)
La nostra società, per la prima volta nella storia, ha abolito le tappe psicologiche di iniziazione.
Si impone una crescita senza perdite, senza lacerazioni, quindi senza la ricchezza trasformativa e di sviluppo che queste comportano. Ogni differenza (di genere, di culture, di luoghi e di ruoli) viene annullata a favore di uno stile di vita uniforme e omologato, che sta progressivamente cancellando ogni riferimento spaziale e temporale. Una società “orizzontale”, in cui tutti sono eternamente giovani, fratelli e sorelle in costante rivalità, senza più padri e figli. (7)
Gli enti istituzionali preposti per legge alla consulenza e supporto genitoriale/familiare hanno riproposto la medesima eliminazione della parte maschile, trasformandosi in dispensari per la contraccezione femminile (consultori) e servizi materno/infantili. Quando si interviene su psicopatologie infantili, il Paterno viene totalmente ignorato o criminalizzato in base agli orientamenti ideologici vigenti.
A fronte di una profonda modificazione della famiglia, dei ruoli e delle modalità di relazione dei suoi componenti, ha corrisposto una politica ed una prassi dei servizi improntata a tali orientamenti ideologici che certo non ha favorito l’assunzione di responsabilità ed il maggior coinvolgimento da parte dei padri. Anzi. Prevale ovunque il linguaggio materno-femminile che non lascia spazio né visibilità alla responsabilità maschile, alle risorse e creatività del padre, enfatizzato in chiave negativa per quello che non è piuttosto che per quello che chiede di essere.
La soluzione ai problemi continua ad essere indicata dalla parte materno-femminile, mentre quella paterno-maschile resta perlopiù passiva, incompetente o sottoutilizzata .
Tutto ciò è speculare a quanto avviene nelle scelte professionale: l’ambito dello sviluppo infantile continua ad attrarre prevalentemente operatori di sesso femminile, che ne determina quindi la competenza e sensibilità, mentre il maschile è ampiamente sottorappresentato.
Non c'é consapevolezza della necessità per il figlio maschio del contatto formativo col mondo dei maschi più grandi, o adulti. E, purtroppo, manca anche la riflessione circa i guasti che tale carenza produce.
Si crea così una situazione nella quale il figlio rimane ostaggio di un mondo di donne: che lo amano, ma non appartengono al suo "genere", cui non possono ovviamente iniziarlo.
L’assenza del padre, cioè della norma anche morale progressivamente sostituita da dispositivi giudiziari e regolamenti burocratici, rende i figli prigionieri di una infanzia continua: incapaci di autonomia, inadeguati a reggere il peso di rinunce e sconfitte, alla ricerca sterile e narcisistica di approvazione, appiattiti sulla “massa” che assume in modo totalitario il ruolo di guida lasciato vacante dal padre. Il soddisfacimento istantaneo dei propri desideri, spesso facilitato dalla lunga permanenza in famiglia, prevale sulle responsabilità verso se stessi e di fronte al mondo.
“Senza i limiti che l’autorevole presenza del padre è in grado di dare alle pulsioni istintuali dei figli, l’aggressività dilaga. Per millenni i padri hanno insegnato ai figli a contenere e trasformare gli istinti aggressivi attraverso riti di iniziazione, sacrifici, simboli religiosi “ (Cool
Secondo Mendel “Se manca questo confronto (con il padre) aggressivo ma temperato dall’amore, non c’è altro scampo….che la cieca violenza….o la psicosi”. (9)
Indeboliti e fragili, tesi ad esternare la propria aggressività solo in senso distruttivo, i nostri figli vengono fatalmente consegnati alle variegate forme di disagio. Per essere presi in carico – ovvero continuare a dipendere - dalle mille terapie e tecniche consolatorie, a loro volta funzionali alla società consumistica.
La scomparsa di figure maschili a cui i giovani possano fare riferimento, e di ritualità che scandiscano le diverse fasi della vita di ogni individuo, nel rispetto dell’identità di genere di ciascuno, va di pari passo con la globalizzazione dei costumi, dei mercati, dei prodotti e dei servizi.
“La centralità del valore materno per la soddisfazione dei bisogni è funzionale ad una società organizzata intorno al circuito produzione-consumo. L’intera società è diventata una Grande Madre, guidata dal principio femminile-materno della soddisfazione del bisogno che marginalizza nella zona del politicamente scorretto il principio maschile e paterno dell’azione. Un orientamento regressivo che rimanda ad una esigenza psicofisiologica della prima infanzia”(10). Il cui perdurare genera provvisorietà e senso di vuoto, poi riempito con l’assunzione di droghe e reazioni distruttive.
Si comprende quindi l’ostilità delle varie psicologie verso la figura paterna, e la predilezione della figura materna come centro della vita psichica dell’individuo. L’amorevole ruolo sanzionatorio paterno è stato svilito, per diventare meticolosa prerogativa degli Stati, al solo fine di accrescere il potere degli apparati burocratici che lo esercitano.

La fabbrica dei divorzi

Nel tempo è inoltre cambiato il mandato sociale: dal “bene dei figli” come valore assoluto si è passati al “benessere individuale” come priorità irrinunciabile. Questo mito individualista – fondato su principi falsamente egalitari - ha un peso enorme nella costruzione stessa della famiglia e nelle sue variazioni di stato. L’affermarsi di relazioni affettive “usa e getta” – ovvero liberarsi del partner non più “tollerato” o che limita il desiderio di autorealizzazione – si coniuga alla nuova ipocrisia sociale per cui “è meglio separarsi piuttosto che far crescere i figli in mezzo a litigi continui”
La cellula familiare così indebolita è il terreno in cui ha posto le fondamenta la “fabbrica dei divorzi”, come definita da Claudio Risé (11).
Un organismo multiforme costituito da avvocati, magistrati, psicologi, assistenti sociali, periti con varie specializzazioni, operatori di enti pubblici e privati, parlamentari. Dove sono confluite le leve del femminismo antagonista e la retroguardia del ’68, che dopo aver operato il parricidio culturale all’interno della propria generazione la perpetuano in quelle successive, proiettando su vittime innocenti il proprio sfacelo come figli e come genitori.
Dotata di enorme potere ed influenza, è questa “Una delle più potenti lobby contemporanee…Esperta nell’utilizzare gli apparati dello Stato - legislativo, giudiziario, mediatico – per distruggere la cellula base della società: la famiglia”. Che muove ed assorbe una buona fetta del reddito nazionale e fa leva sull’apettativa femminile di indiscussa preminenza del materno e di un presunto diritto risarcitorio. Infatti, continua Risé, “..Ad aprire la porta di casa perché il padre ne esca è generalmente la donna”(12).
La burocrazia divorzista alimenta il conflitto familiare, la guerra tra i sessi e le generazioni, per perpetuare la deriva socio-culturale in cui siamo immersi e moltiplicare così i problemi cui sono legati i suoi profitti ed il suo potere.
L’espulsione del padre dal processo educativo e dalla relazione con i figli, cui si accompagna la criminalizzazione in toto della sessualità maschile, sono condizioni essenziali. Lo strumento giuridico principe è l’affido dei figli. La madre “vincente” prende tutto: figli, casa, assegno di mantenimento.
Il che determina nei soggetti più deboli, meno attrezzati psichicamente ad affrontarla, esplosioni di rabbia esasperata e violenta che scaturiscono le tragedie della follia. Le cronache quotidiane non ci risparmiano i particolari. E’ infatti la disparità di trattamento tra i coniugi, come pubblicato nel rapporto Eurispes (2002) che utilizza tra gli altri i dati forniti dalla scrivente GESEF, “una delle cause principali dell’estremizzazione di un conflitto e della successiva comparsa di psicopatologie che purtroppo, sempre più spesso, conducono a gesti estremi di violenza che vedono coinvolti interi nuclei familiari” (13).
L'istituto del "genitore affidatario/collocatario esclusivo ", che ha di fatto pieni poteri nel pianificare il vissuto quotidiano dei figli, comporta concezioni totalitarie e assolutistiche: mira ad annullare la volontà e i diritti dell'altro genitore, sollecitando il conflitto esplicito attraverso strategie giudiziarie.
“Molto spesso la separazione, nella prassi, risulta fondata su una logica che tende a premiare un "vincitore" e a penalizzare un "perdente". Questa logica non giova a favorire l’assunzione di responsabilità educative da parte di entrambi i genitori. Inoltre non tende a incentivare, tra i coniugi separati, forme di collaborazione che permettano la tutela dell’interesse del figlio minore, e la garanzia di continuità nella sua vita affettiva e sociale. I figli restano quasi sempre un oggetto di contesa, poiché la condizione di genitore non affidatario è associata ad un vissuto di perdita della genitorialità. La condizione di genitore affidatario è spesso associata, invece, ad un vissuto di successo dopo il fallimento del matrimonio, almeno sul piano del rapporto privilegiato con i figli. Sono quindi possibili strumentalizzazioni da parte dei genitori affinché i figli dichiarino, in sede giudiziaria, di voler vivere con l’uno o con l’altro genitore”. (14)
I danni per i figli sono irreversibili.
Il neuropschiatra infantile Francesco Montecchi asserisce: “I bambini sono oggettivamente a rischio di danno evolutivo perché sono strumentalizzati ai fini della separazione dei genitori e della richiesta di risarcimento, economico e psicologico, che ne deriva. Il meccanismo legale pone la questione in termini di vittoria o di sconfitta, senza altre possibilità. Tutto ciò a cui si può fare ricorso per vincere la causa è messo in atto e utilizzato….È esperienza clinica diffusa che l’esclusione del genitore, la svalutazione del genitore allontanato e la continua messa in dubbio della fedeltà del bambino siano situazioni che, alla lunga, portano allo sviluppo di una serie di psicopatologie. Quando un bambino è costretto a negare e a rinunciare ad uno dei due genitori non rinuncia solo alla persona fisicamente percepibile, ma anche alla attivazione della immagine interna corrispondente a quella persona. (15)
Lo psicologo Ira Daniel Turkat ha definito Sindrome della Madre Malevola “…la manipolazione dei figli utilizzati come arma contro il padre: la vessazione attraverso accuse gravi e infondate, per lo più di presunte violenze spesso di carattere sessuale”. (16)
Il messaggio che stiamo passando ai figli del divorzio, è - paradossalmente - del tutto antitetico alle premesse di civiltà e democrazia che hanno permesso la sua introduzione nell'Italia clericale e democristiana degli anni '70.
La generazione dei figli di separati cresce non solo senza un padre, ma anche con l'evidenza che è il conflitto a decidere chi comanda; che un genitore può estromettere l’altro da ogni contatto e decisione eludendo impunemente l’esercizio degli altrui diritti. Non in base alla legge del più forte, ma con la forza della legge male “interpretata” ed ancor peggio applicata.
E’ testimone di come l’uso distorto del Diritto e la politica lobbystico-clientelare abbiano demolito, nell'habitat di crescita e di preparazione al convivere sociale, l'idea che maturità vuole dire dialogo, confronto, condivisione delle responsabilità e dei poteri nella differenza dei ruoli.
I nostri figli, nella famiglia disgregata, apprendono precocemente la delegittimazione della giustizia e il disvalore della legalità.
Consapevoli di essere usati come strumenti nel conflitto ad oltranza, quale logica di soluzione delle controversie, agiscono poi lo stesso modello di comportamento vessatorio estorsivo e manipolante di cui sono stati vittime e spettatori. Nei confronti di chiunque, a cominciare dal genitore che ha fornito l’esempio.
L’industria del divorzio contribuisce ad implementare i nuclei famigliari composti da un solo genitore (per lo più la madre). Decenni di politiche della “paternità usa e getta”, hanno lasciato milioni di donne e bambini più poveri ed a rischio di violenze, abusi, devianze e psicopatologie in tutto l’Occidente.
Nei Paesi anglosassoni numerose ricerche hanno evidenziato i disastri sociali provocati: nelle giovani puerpere l’assenza del padre è tra i più comuni indicatori di futuri abusi verso i bambini (17); il 69% dei minori vittime di abusi sessuali viene da nuclei in cui il padre biologico era assente (18. Autorevoli proto femministe denunciano oggi la distruttività dell’ideologia anti-padre, e l’attuale dirigenza politica ha avviato politiche per invertire la tendenza.


La scuola femminilizzata

“La società affida all’istituzione scolastica il delicato compito di accogliere il nuovo che ogni generazione porta sempre con sé per integrarlo con il passato….(..) Si ratta di un compito eminentemente paterno, e fino a quando questa funzione viene impersonata da insegnanti maschi è più facile per gli studenti coglierne l’aspetto paterno”. (20)
Oggi, però, la rottura di un utile confronto con la tradizione e con il passato anche nella loro dimensione trascendente e di un energico esempio di rigore ha indebolito l’autorità degli insegnanti, cui si supplisce con procedure di tipo burocratico.
Paolo Ferliga sottolinea come “Al rapporto anche emotivo tra maestro ed allievo modellato sulla relazione verticale padre/figlio è subentrata la spersonalizzazione delle funzioni.”. Che si limitano ad attribuire crediti e debiti, a valutare competenze e conoscenze.
Scarseggiando il dialogo, l’aspetto formativo diviene residuale a favore di un modello aziendalistico di ottimizzazione delle risorse. (21)
“Al predominio materno in famiglia - dove la figura del padre privata di ogni autorità e prestigio è diventata ancillare e subalterna, ed all’esilio paterno nelle separazione, si somma l’espulsione maschile dal sistema scolastico” (22).
Aboliti gli spazi, i luoghi, i riti e gli svaghi eminentemente maschili, l’adolescente di oggi – in tutto l’Occidente - è cresciuto in una promiscuità castrante e continua ad evolversi in ambienti governati perlopiù da donne (baby-sitter, educatrice, maestra, insegnante, pediatra, catechista ecc.), subordinato alla cultura totalizzante che impone una visione femminile della vita. Il risultato di questa morsa lo rende vieppiù effeminato, tendente al consumo narcisistico di abbigliamento griffato e cosmesi, e sempre meno responsabilizzato.
Il massiccio turn over di genere del corpo insegnante ha operato l’uniformarsi del percorso educativo e didattico alle attitudini e polarità femminili. La scuola si presenta così come una zona grigia, omologante, dove non è importante crescere come individui nella ricchezza delle differenze, ma solo come studenti che si distinguono in base a valutazioni di ordine prevalentemente adattativo.
Vige infatti la cooperazione egualitaria spesso confusa con equità, a scapito della disciplina, della sana competizione, dell’acquisizione di autostima attraverso prove iniziatiche e confronti impegnativi.
Il femminismo antagonista, che ha permeato tutto l’occidente di astio anti-maschile, non ha ovviamente risparmiato la scuola. Anzi. La suo opera di indottrinamento inizia proprio dalla formazione universitaria per irrorarsi a cascata in tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Nelle scuole primarie il maggiore adeguamento delle bambine ha declassato la vitalità ed esuberanza dei maschietti a livello di “difficoltà”, così descritta da Rino della Vecchia: “Dove i ricatti emotivi non sono sufficienti a tenere a posto questa presunta vitalità e sedicente esuberanza che non può trovare né comprensione né valorizzazione in un universo tinto di rosa, si ricorre alla chimica. Ritalin e Prozac sono due tra i più famosi strumenti di questa castrazione di massa.” (23)
Questa nuova patologia denominata Adhd, disordine di attenzione da iperattività, che sembra aver contaminato sei milioni di bambini americani è ritenuta totalmente inventata, senza alcun fondamento scientifico, da parte di studiosi e movimenti internazionali.
Lo psicologo statunitense Leonard Sax suggerisce che la soluzione alle carenze di concentrazione tipiche dei maschi non stia nella somministrazione di farmaci, ma eventualmente nel tenere lezioni separate per utilizzare i metodi di insegnamento più adeguati a ciascun sesso.(24)
In Italia, tra gli altri, è attivo un gruppo di controinformazione che ha lanciato la campagna “Perché non accada”, per contrastare e prevenire quanto già successo negli USA.(25)
La Regione Piemonte ha recentemente varato una legge che vieta l’introduzione di questionari nelle scuole per rilevare i comportamenti dei bambini riconducibili a quella presunta patologia. Ci adoperiamo perché altre regioni seguano l’esempio.
L’ossessione sessuale – al limite dell’isteria - che attanaglia molte educatrici ed insegnanti formate alla dottrina femminista le induce a scorgere, e denunciare, nei comportamenti più spontanei dei maschietti intenzioni ben definite. Nei Paesi anglosassoni bambini della scuola materna ed elementare sono stati criminalizzati per molestie sessuali nei confronti delle compagne o dell’educatrice stessa, come racconta Alessandra Nucci. (26).
In Svezia si è arrivati ad obbligare i bambini a fare pipì seduti sul water, come le femminucce, onde evitare loro il contatto e la manipolazione dell’organo genitale, oltreché una postura ritenuta “antigienica volgare ed evidentemente maschilista”. (27)
In Italia non siamo ancora arrivati a questo stadio: ci si limita a sforbiciare la lingua, a sigillare la bocca col nastro adesivo, ad umiliazioni e disparità di genere di fronte alla scolaresca, alla rieducazione fin dalla più tenera età.
A Bologna, nel 2001, un gruppetto di donne ha avuto l’idea di “….estendere ai bambini delle scuole materne ed elementari un progetto intitolato Prima che sia violenza. Finanziato dalla Regione Emilia Romagna il progetto mirava ad insegnare ….la consapevolezza della violenza associata all’attrazione fisica/sessuale attraverso la lettura della fiabe Barbablù, Il brutto anatroccolo, Pelle di foca…..per rendere consapevoli che questa cultura che provoca guai e violenze di tutti i generi è una cultura di sopraffazione maschile e di sottomissione femminile e che sono le madri che la insegnano ai bambini” (28.
L’aperta ostilità anti-maschile, per ora, si proietta principalmente sugli adolescenti e sugli adulti: i padri separati, già ostacolati nell’esercizio del proprio ruolo, trovano altrettanta discriminazione da parte di presidi e direttrici didattiche, previamente condizionati dalla minacciosa prepotenza delle genitrici affidarie.
Il movimento dei padri separati ottenne nella precedente legislatura dal Ministro Letizia Moratti l’invio di una circolare a tutte le scuole, con la quale si imponeva di fornire ogni informazione circa l’andamento ed i risultati didattici degli studenti anche al genitore non affidatario, sulla base delle leggi vigenti.
Il fatto che sia stata necessaria una circolare ministeriale, e che questo abbia costituito una “vittoria” per i padri separati, fa riflettere molto.
Nelle scuole secondarie il più elevato profitto delle ragazze - favorito, sostenuto, incoraggiato ed enfatizzato nel quadro delle cosiddette “pari opportunità” - si coniuga con uno strisciante biasimo nei confronti dei ragazzi, cui non viene perdonato alcunché.
Il biasimo scivola di frequente verso la criminalizzazione aprioristica di comportamenti ed atteggiamenti di genere, e verso l’umiliazione di una identità maschile già confusa e poco strutturata. Il risultato è una disaffezione verso l’apprendimento e talora l’abbandono, con conseguente perdita di potenziali risorse.
In Gran Bretagna, la scrittrice Doris Lessing si è dichiarata scandalizzata dal modo in cui i giovani maschi vengono sistematicamente denigrati dalle insegnanti ed attaccati sulla loro identità. (29).
L’evidente livello di ignoranza ed alienazione determinati da siffatte politiche omologanti al ribasso, ha indotto molte famiglie inglesi a correre ai ripari. Iscrivono i propri figli a scuole con classi ed insegnanti esclusivamente maschili, i cui programmi e stili didattici sono modulati sulle inclinazioni e capacità di genere: il profitto e l’educazione registrano un miglioramento immediato, ed il bullismo sembra non trovare più spazio.
Molti adolescenti si sentono traditi da un sistema scolastico - e culturale - che tende a livellare le differenze fondamentali in favore di un genere e pretende di “rieducare” l’altro attraverso una sudditanza psicologica e soffocando gli aspetti positivi della mascolinità. Che si ostina ottusamente a reprimere l’aggressività poiché non l’accetta quale parte del bagaglio istintuale dell’uomo.
Le culture tradizionali ne erano consapevoli, ed anziché demonizzarla o tentare di estirparla, molto saggiamente la incanalavano - e quindi controllavano - verso intenti utili e costruttivi.
Lo svuotamento dei significati profondi del maschile e la confusione di valore nei generi porta serie difficoltà anche al femminile e a tutto l'equilibrio sociale.
Tentare di rimuovere l’aggressività è pericoloso: le esperienze psichiche fondamentali non sono sostituibili con affermazioni ideologiche. Lasciata a se stessa diventa distruttiva e trova altri terreni su cui manifestarsi.
Quando non si ha consapevolezza dell’aggressività ed essa non è stata incanalata non ci si rende neppure conto della gravità delle proprie azioni. E’ proprio questa l’inconscietà della violenza di oggi.
Si finisce per esercitare il coraggio ed affermare se stessi attraverso le tragiche prove da branco: dal bullismo dentro e fuori la scuola ai sassi sull’autostrada, dalle drammatiche gare di velocità notturne che falciano i passanti all’uso di alcool e droghe. Prove segnate da una rabbia inconscia contro una società che non offre loro confronto e senso dell’esistenza (a partire da una figura paterna positiva e responsabile), espressioni di negazione e trasgressione che li allontanano dalla comunità allargata anziché inserirli.
L’esperienza della prova e della competizione, che si sviluppa nell’affrontarla e superarla, è decisiva per formare l’autostima dell’individuo e responsabilizzarlo.
Oggi tutto ciò è rimpiazzato da irrisorie lezioncine sulla “cultura della legalità”.
Per questo abbondano le professoresse e mancano i Maestri.


Come affrontare il problema: un progetto

La trasmissione di “genere” è elemento costitutivo e fondante dell’identità dell’individuo e della sua autostima. L’interruzione avvenuta nelle ultime generazioni, legata all’assenza del padre e di altre figure coadiuvanti, è all’origine di problemi e disagi che hanno assunto una dimensione insostenibile e profondamente intaccato la vita della comunità.
Occorre riaffermare il valore sociale del paterno/maschile - quale antidoto al caos regressivo - modificando radicalmente la dialettica con la componente materna/femminile. Riappropriarsi del proprio ruolo da parte del padre implica ottimizzare anche il ruolo della madre, a beneficio dei figli che saranno gli uomini e le donne i padri e le madri di domani, della comunità intera.
E’ necessario un ripensamento dei paradigmi culturali: debellando in primis quegli stereotipi che oscillano tra il vecchio modello di autoritarismo paterno senza anima ed il nuovo prototipo di “mammo”, che per accedere ai figli deve trapiantarsi una sensibilità materna senza poter mantenere una sua specificità.
Bisogna poi far agire figure simboliche, riattivare nell’immaginario collettivo l’archetipo del padre, nel doppio senso di trasmettere ai giovani ciò che di specifico è la cultura identitaria maschile - compreso fare i conti con l’aggressività - e di essere un tramite verso la vita sociale.
E’ una sfida ambiziosa che l’istituzione scolastica, con le sue enormi potenzialità, può ardire.


Note Bibliografiche
(1) Claudio Risé, Il padre l’assente inaccettabile, 2003
(2) ibidem
(3) ibidem
(4) ibidem
(5) L.Leonard Schiere, La donna ferita
(6) Robert Bly, La società degli eterni adolescenti
(7) Alexander Mitscherlich, Verso una società senza padri
(8 Paolo Ferliga, Nel segno del padre, Moretti e Vitali 2005
(9) Gerard Mendel, La rivolta contro il padre
(10) Claudio Risé, op. cit.
(11) ibidem
(12) ibidem
(13) Eurispes, 3° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza, scheda 36, 2002
(14) Eurispes, 3° Rapporto Nazionale sulla Condizione dell’Infanzia e dell’Adolescenza scheda 35, 2002
(15) F. Montecchi, relazione convegno Bambini a metà La tutela dei figli nelle separazioni e nei divorzi, 1999 – organizzato dalla Regione Lazio in collaborazione con Ass. GESEF
(16) Ira Daniel Turkat, Malicious Mother Sindrome, Sindrome della madre malevola, descritta in un articolo on line pubblicato sul sito Fathers’ Rights Newsline
(17) Smith Hanson e Noble, Child Abuse: Commission and Omission, 1980
(18 Gomes-Schwartz, Horowitz and Cardarelli, Child Sexual Abuse Victim and their treatment, 1988
(19) Paolo Ferliga, op .cit.
(20) ibidem
(21) ibidem
(22) Rino della Vecchia, Questa Metà della Terra- Parole degli uomini del XXI secolo, 2004-2005
(23) Ibidem
(24) Leonard Sax, Why Gender Matters, New York 2005
(25) Vedi sito internet www.perchenonaccada.org
(26) Alessandra Nucci, La donna a una dimensione Femminismo antagonista ed egemonia culturale, 2006
(27) Elisabeth Badinter, La strada degli errori, 2004
(2 8 Alessandra Nucci, op. cit.
(29) ibidem