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L’urbanizzazione è fuori controllo

di Bruno Picozzi - 01/04/2010


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Ogni mese in tutto il pianeta sono 500mila i contadini che abbandonano le campagne in cerca di migliori condizioni di vita. Le Nazioni unite lanciano l’allarme sui rischi della costante crescita delle città.
Metà della popolazione mondiale vive nei centri urbani e nei prossimi cinquant’anni potrebbero accalcarsi nelle città i due terzi di tutta l’umanità. È quanto emerge dalla Campagna urbana mondiale, ultimo atto del quinto Forum organizzato a Rio de Janeiro da Onu-Habitat sul tema «Diritto alla città, rinforzare la coesione urbana». Quattordicimila tra funzionari, ministri, sindaci, urbanisti, ricercatori e militanti hanno discusso per giorni su come «ridurre la frattura urbana», ossia su come fare in modo che le città crescano in maniera coerente e pianificata, senza che l’anarchia del mercato crei quelle frontiere di separazione tra agio e malessere che trasformano in incubo le megalopoli di oggi.
 
L’urbanizzazione del pianeta è un fenomeno a dir poco allarmante. In particolar modo nei Paesi in via di sviluppo, visto che è proprio nelle zone povere che si concentra il 95 per cento della crescita urbana, secondo il Rapporto sullo stato delle città del mondo pubblicato proprio da Onu-Habitat. Un miliardo di diseredati languono ai margini dei grandi centri, in quartieri dormitorio di periferia. E ogni mese altri 500mila contadini poveri abbandonano le campagne in cerca di migliori condizioni di vita, per ritrovarsi poi stipati in baraccopoli insalubri, preda di malattie, delinquenza e precarietà alimentare.
 
Una situazione che la direttrice di Onu-Habitat, la tanzaniana Anna Tibaijuka, giudica vergognosa, sottolineando che alle masse provenienti dalla povertà contadina bisognerebbe garantire acqua, cibo, servizi ospedalieri, smaltimento dei rifiuti, trasporti, lavoro, creando condizioni di rispetto dei diritti dell’uomo attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio. Purtroppo l’approccio intriso di liberalismo del Forum lascia la ricerca delle soluzioni ai soliti colossi industriali, perché «solo i governi e i gruppi privati hanno il potere di agire su larga scala».
 
La Campagna urbana mira a sostenere la formazione di partenariati forti tra politica e finanza e «a riunire tutti gli attori interessati dalla crescita delle politiche pubbliche e degli investimenti privati» in materia urbanistica. Si vorrebbe creare un punto di incontro tra gli abitanti delle bidonville e i grandi gruppi industriali, ma il fatto che soggetti non esattamente a vocazione sociale quali Siemens e Veolia siano tra i primi firmatari del documento fa sorgere per lo meno dei dubbi sul tipo di “diritto alla città” progettato da questa conferenza. 
 
Altre soluzioni e altri percorsi quelli discussi durante il parallelo Forum urbano sociale, tenutosi negli stessi giorni sempre a Rio tra i militanti dell’associazionismo altermondialista. Obiettivo, lo scambio di esperienze e buone pratiche e la costruzione di una rete forte e solidale tra attori provenienti dalla società civile. Laboratori autogestiti, dibattiti, esposizioni, proiezioni ed eventi vari per denunciare le distorsioni della crescita urbana a modello di mercato, dalla criminalizzazione dei migranti alla militarizzazione delle periferie, dai conflitti ambientali all’espulsione delle popolazioni autoctone da parte di imprese e capitale.
 
All’Onu invece vorrebbero rifondare le città attraverso gli stessi strumenti che le hanno devastate. Nella Dichiarazione di Rio approvata dal Forum sociale, il diritto alla città è un obiettivo da perseguire attraverso i valori della partecipazione democratica e della giustizia sociale. «Per concretizzare il diritto alla città dobbiamo cambiare la logica stessa dei centri urbani», ha sottolineato Guilherme Marques, organizzatore del Forum.
 
«Il modello neoliberale dei governi e delle istituzioni internazionali, che considerano la città come un’impresa, è distruttivo per il tessuto urbano». Servono quindi soluzioni partecipative e non repressive. Invece, proprio a Rio de Janeiro, l’estendersi delle favelas è stato bloccato attraverso un muro di recinzione, una gabbia di cemento per rinchiudere la povertà.
 
E proprio durante i giorni del Forum, 335 membri della polizia militare hanno occupato Morro da Providencia, una delle favelas storiche della città, in attesa della costituzione di una speciale Unidad de policia pacificadora per riportare i quartieri del narcotraffico sotto il controllo dello Stato