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USA-IRAN: Le possibili opzioni di Washington

di Federico Dal Cortivo - 05/04/2010

Fonte: irib.ir

 
 

“ Brookings Institution e Saban Center i potenti think tank che dettano le regole a Obama ”

 

Chi ingenuamente credeva, che con l’avvento di Obama l’amministrazione statunitense potesse cambiare il suo atteggiamento verso il mondo e l’Iran in particolare , si è sbagliato, ripetendo lo stesso sbaglio già fatto nel recente passato, in cui tutte le anime belle videro in Bill Clinton il “nuovo messia”. Quest’ultimo come ben ricordiamo si macchiò del proditorio attacco contro la Serbia, cui fecero seguito gli indiscriminati bombardamenti su Belgrado. Ma tant’è c’è ancora chi ingenuamente crede che gli Stati Uniti siano portatori di pace e di libertà, pronti a sacrificare le proprie Forze Armate per il ben comune…

I fatti :ogni giorno abbiamo conferma che nulla è cambiato nella politica estera Usa negli ultimi 200 anni, caratterizzati da incessanti guerre predatorie per accaparrarsi le materie prime di cui ha estremo bisogno l’insaziabile macchina dello sviluppo capitalista, che proprio perché basata sul profitto, necessita di un’ espansione continua, illimitata, senza un fine, senza un traguardo, un moto perpetuo che inghiotte tutto e tutti al suo passaggio.

Per fare questo gli Stati Uniti hanno costituito dalla fine della Seconda Guerra Mondiale una potente macchina militare basata su forze strategiche, che possono proiettarsi in ogni parte del globo , dotate di componenti aereo-navali presenti in ogni oceano e appoggiate da una fitta rete di basi terrestri.

Prima l’Europa , poi l’Indocina e l’America Latina hanno conosciuto come la “volontà di Washington” sia potentemente sostenuta dal potere armato, che assicura all’economia a stelle e strisce un ruolo da protagonista nello scenario mondiale.

Ma le cose stanno cambiando anche per la superpotenza Usa perché nuove Nazioni si stanno facendo largo, sia in America Latina sia in Eurasia, che non vogliono più subire i diktat di Washington e la rapina delle loro materie prime. Si sta andando verso un mondo multipolare, con nuovi e vecchi soggetti in movimento.

La Repubblica Islamica dell’Iran, che a partire dalla rivoluzione Khomeinista ha imboccato la strada dell’indipendenza dall’Occidente e dagli Usa, fa parte dei nuovi protagonisti che si stanno affacciando nella storia del XXI Secolo. Ricca d’idrocarburi e gas naturale e posizionata strategicamente nel Golfo Persico si pone come diretta antagonista alle monarchie assolute arabe fedeli suddite degli Sati Uniti, forte di una propria concezione rivoluzionaria della politica, volta non solo a soddisfare i bisogni primari della propria popolazione, ma anche di supporto a tutti quei popoli che mal sopportano la presenza statunitense nel vicino oriente o sono sotto il giogo sionista.

LE OPZIONI DI WASHINGTON-Brookings Institution e Saban Center

Per conoscere il reale pensiero dell’amministrazione Obama è necessario leggere quello che i principali “think tanks”statunitensi scrivono e dicono,perché sono loro che muovono più o meno nascostamente la politica estera degli Usa. Uno di questi è il famoso Brookings Institution, con sede a Washington. Fondato nel 1916, si occupa di politica estera, economia, scienza, globalizzazione ed è stata nominata “ miglior think tank” del 2009 dal Foreing Policy Think Tank Index.

Al suo interno spicca il “ Saban Center for Middle east Policy” che a sua volta s’interessa di ricerca e programmazione per il governo per quanto concerne il Medio Oriente.

Il Saban Center è di proprietà del miliardario ebreo Haim Saban, non a caso proprio da questo centro di ricerca è stato reso pubblico di recente un lungo documento che analizza la situazione iraniana dal punto di vista degli interessi geopolitici degli Sati Uniti e anche se non esplicitamente indicato, anche quelli del suo alleato più fidato, Israele, e tutte le possibili opzioni,diplomatiche, militari ed economiche. Autori dello studio tutte persone che hanno fatto parte d’importanti enti governativi, Martin Indyk Direttore del Saban Center, già ambasciatore in Israele, vicesegretario per il Medio Oriente, assistente personale di Clinton e membro del Consiglio Nazionale per la Sicurezza-Kenneth Pollack ha ricoperto il ruolo di Direttore del Persian Gulf Affair e analista della CIA-Daniel Byman Direttore del Center for Peace and Security Studies-Suzanne Maloney, prima di entrare nel governo Obama ha ricoperto l’incarico di Direttrice della task torce sui rapporti Usa –Iran presso il noto Council of Foreign Relations-Bruce Riedel ha fatto parte del gruppo di revisione strategica della politica statunitense in Afghanistan e Pakistan del presidente Obama ed è stato per trent’anni nella CIA.

Come si può vedere tutte persone di primo piano, il che non lascia dubbi sull’attendibilità delle ipotesi che riporteremo.

Partendo dal presupposto che l’Iran è un nemico per gli Stati Uniti al di la delle parole di circostanza pronunciate da Obama, e pur riconoscendo che non sarà tutto facile come per l’Iraq di Saddam, le opzioni per ricondurre alla ragione il riottoso Stato persiano vanno dalla “persuasione”, al

“ dialogo”, per passare poi a un’escalation militare che prevede attacchi aerei mirati ai siti nucleari, fino ad arrivare ad un’invasione in grande stile. Non è neppure disdegnata la possibilità di rovesciare il legittimo governo iraniano, sostenendo dei golpisti( così come fatto tante altre volte in America Latina) e l’inasprimento delle sempre onnipresenti sanzioni economiche.

Il presidente Obama ha lasciato chiaramente intendere per chi vuol sentire, che l’uso del “ classico bastone e carota” è la chiave di volta della sua politica, l’Iran rappresenta una minaccia troppo grande agli interessi Nord Americani.

Per “persuadere l’Iran” a cessare la sua politica energetica, che ha nell’atomo la chiave di volta e perché no, in futuro il diritto sacrosanto di dotarsi di armi nucleari come già da tempo ha l’identità sionista,Washington sarebbe pronta a revocare le sanzioni economiche in atto, internazionali e unilaterali. Il solito sostegno usuraio della Banca Mondiale, la risoluzione delle questioni aperte tra Usa e Iran come il congelamento dei beni iraniani, aiuti all’agricoltura, al commercio ecc.

Sul versante politico gli Stati Uniti potrebbero decidere di non schierare più portaerei nel Golfo Persico , anche se è facile intuire che un loro rischiaramento sarebbe questione di poco tempo. Tra i punti fermi in questa opzione vi è quello di non dare la possibilità a Teheran di divenire una potenza regionale.

Se l’approccio “persuasivo” o sarebbe meglio definire “coercitivo”dovesse fallire, il gruppo di studio non ha dubbi: si passerebbe subito a un inasprimento delle sanzioni economiche che colpirebbero i settori più sensibili dell’economia iraniana, il petrolio ed il gas, con gravi danni per il Paese e la popolazione civile, questo anche se il privare il mercato mondiale di circa 2,5 milioni di barili di petrolio potrebbe causare un innalzamento dei prezzi con ripercussioni a carattere globale.

Il “dialogo”potrebbe essere un’altra carta da giocare e parte dal presupposto che una volta, che il”regime”, questa è la visione che ha Washington del governo iraniano attuale, non dovesse più sentirsi minacciato, potrebbe capire, sempre nell’ottica Usa, il suo vantaggio, ovvero avere buone relazioni con la cosiddetta”comunità internazionale”, magari ravvedendosi politicamente. Gli incentivi sarebbero anche in questo caso economici purché Teheran si ravveda sul programma nucleare e rinunci a sostenere i gruppi nazionali di resistenza armata in Palestina e Libano. In pratica una resa incondizionata su tutti i fronti e l’abbraccio all’American Life.

ATTACCO MILITARE-INVASIONE

Pur non essendoci nella popolazione statunitense una gran voglia di imbarcarsi in un’altra guerra, che in considerazione della vastità del territorio iraniano e della densità di popolazione si preannuncia più sanguinosa delle precedenti campagne mediorientali, quest’ opzione è sempre tenuta in massima considerazione dall’amministrazione Obama e dai suoi stretti collaboratori.

Essa permetterebbe agli Stati Uniti di risolvere definitivamente il “problema iraniano”, che dura da trent’anni, porre fine al programma nucleare di Teheran e distruggere definitivamente l’attuale governo e la Rivoluzione Islamica. Questo avverrebbe con o senza l’aiuto Israeliano(la cui aviazione si distinse nel 1981 con gli attacchi a Tuwaitha e Dayr az-Awar in Siria nel 2007).

Sulla carta le attuali forze armate statunitensi possono pianificare, organizzare e mettere in pratica un attacco su larga scala all’Iran, certamente ci vorrà del tempo per ammassare uomini e mezzi, predisporre la logistica necessaria e mettere in preventivo che non si potrà fare affidamento sulla collaborazione delle monarchie del Golfo, le cui popolazioni sono sempre più antiamericane.

Il Pentagono dovrà raschiare a fondo il barile, impiegando anche la Guardia Nazionale e ricorrere forse a una coscrizione obbligatoria,per quella che si presenterebbe come la campagna più difficile dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Nel rapporto citato, si parla di dover affrontare forze regolari iraniane che possono variare dai 700 mila a 1 milione di uomini, senza contare la resistenza che si formerebbe a mano a mano che Marines e Us Army penetrerebbero nel territorio. Questo comporterebbe l’impiego di circa 250 mila uomini, un notevole sostegno aereo e navale, dove l’Us Navy sarebbe tenuta a garantire l’accesso ai porti iraniani per assicurare il supporto logistico all’invasione e la copertura aerea con almeno quattro portaerei, prima che vengano conquistati e utilizzati gli aeroporti a terra. Ammesso che le cose vadano come gli strateghi del Pentagono vorrebbero, si calcola che per consolidare l’invasione occorrerebbe una forza d’invasione di almeno 1 milione 400 mila soldati! L’Iran non è l’Iraq e il suo territorio aspro e montuoso darebbe sicuramente filo da torcere a ogni invasore, senza contare la fierezza nazionalista della sua popolazione.

I vantaggi di questa estrema scelta, come già scritto, sarebbe l’eliminazione totale del governo iraniano, cancellazione del programma nucleare, fine degli aiuti a Hamas , Hezbollah e Jihad islamica palestinese, controllo Usa sull’intera regione e di conseguenza sul petrolio , che sommato a quello iracheno permetterebbe alle grandi Corporation angloamericane di gestire il loro potere economico ancora per molti anni.

Per mettere in pratica l’attacco militare è però necessario il “casus belli”, di cui gli Stati Uniti sono maestri e che sono la costante della loro politica aggressiva negli ultimi due secoli. Una sorta di giustificazione di fronte a Dio, come a dire che “loro,i buoni, sono stati costretti a scendere sul sentiero di guerra per contrastare gli altri,i cattivi”.

ATTACCO AEREO

Seguendo il modello israeliano, Obama potrebbe convincersi che una serie di attacchi mirati ai siti nucleari potrebbe risolvere il problema atomico con l’Iran, senza ricorrere da subito a una invasione.

Facendosi forti delle risoluzioni che l’Onu ha emesso contro Teheran, con la proibizione di arricchire l’Uranio( ma nulla di simile è stato fatto per Israele), l’Us Air Force dovrebbe sferrare attacchi contro gli impianti nuclari, allargandoli anche a siti militari, basi missilistiche e infrastrutture. Il reattore di Bushehr e l’impianto di separazione del plutonio di Arak fanno parte della lista probabile, assieme a Natanz dove si arricchisce l’Uranio, Isfahan, principale fabbrica di combustibile di uranio e il centro di ricerca nucleare di Karaj e Teheran.

Israele potrebbe appoggiare questa breve campagna, la sua aviazione con l’appoggio aereo delle cisterne dell’Us AF avrebbe modo di operare anche a distanza dai propri confini.

Caccia F16-F15, bombardieri B1 e B2 colpirebbero gli obiettivi, incuranti delle perdite umane e delle gravi conseguenze per tutto l’ambiente a causa delle emissioni radioattive che si sprigionerebbero, ma questi sono dettagli che non hanno mai impensierito gli Stati Uniti e i suoi alleati.

La Repubblica Islamica dell’Iran non ha mai manifestato alcun disegno minaccioso verso gi Usa, né tantomeno si prepara a invadere il suo fedele alleato Sionista. Un nuovo 11 settembre, creato e voluto da settori in seno all’amministrazione Bush, è impensabile, ma Washington è maestra nel creare provocazioni e far tendere la corda della sopportazione ai propri avversari. Quindi c’è da aspettarsi nei prossimi mesi anche un incidente stile Tonchino 1964, che diede inizio alla guerra del Vietnam e la successiva escalation militare in 10 anni di guerra.

* Federico Dal Cortivo, direttore di Italiasociale