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Quello start un po' reticente

di Roberto Zavaglia - 11/04/2010

Al contrario di quanto i presidenti di Stati Uniti e Russia hanno dichiarato dopo averlo firmato, il trattato Start 2 è tutto tranne che un accordo di valore storico. Secondo molti esperti di armamenti nucleari, si poteva fare di più in termini di riduzione degli arsenali. Il numero di bombe atomiche in possesso di ognuna delle due potenze scenderà, nel giro di sette anni, dalle attuali 2.200 a 1.550, mentre i vettori fissi o mobili verranno ridotti da da 1.400 a 700. Il Nobel per la pace Obama ha osato molto meno del “guerrafondaio” Reagan che, nel vertice di Reykiavik del 1986, propose a Gorbaciov l’opzione zero: un pianeta totalmente privo di armi nucleari.
  Al di là dei discorsi celebrativi, ognuno capisce facilmente che il mondo non si è affatto liberato della estrema deriva nichilista minacciata dal dominio della Tecnica. Le atomiche restanti sono  abbondantemente in grado di cancellare ogni forma di vita dal pianeta. Occorre lasciar perdere le presunte svolte epocali per concentrarsi sull’essenza concreta dell’accordo firmato giovedì scorso a Praga. Innanzitutto, va detto che le cifre fissate non dicono per intera la verità. Si riferiscono, infatti, solo alle testate nucleari operative, ovvero quelle sempre pronte ad essere usate. La Russia e gli Usa possiedono anche, nei propri arsenali, oltre dodicimila testate non operative, il cui numero non viene limitato dallo Start 2, che possono essere poste in condizioni di impiego abbastanza rapidamente.  
  Non è stato comunque facile giungere a questo accordo. Mosca chiedeva che il trattato includesse anche la definitiva rinuncia statunitense al cosiddetto scudo antimissilistico che Bush aveva intenzione di collocare nella Repubblica Ceca e in Polonia. Questo sistema di intercettazione di eventuali missili provenienti dal territorio russo avrebbe squilibrato la situazione, rendendo una mera finzione la parità nel possesso di testate nucleari. All’inizio del suo mandato, Obama, nel tentativo di allentare la tensione con Mosca, aveva congelato il progetto, ma recentemente alcuni esponenti dell’Amministrazione hanno parlato di una semplice “riforma” del piano iniziale, con il possibile coinvolgimento di Bulgaria e Romania come basi per lo “scudo” modificato. Come ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Lavrov, un’eventualità del genere cambierebbe le carte in tavola: “saremo noi a determinare il livello di questa influenza e questo sarà precisato in una dichiarazione russa, che farà parte del pacchetto di documenti annesso al nuovo Start, e in un’analoga dichiarazione americana”.
  Il trattato appena firmato potrebbe, dunque, essere a rischio se Obama, che non dispone dei numeri sufficienti al Senato per farlo approvare, accettasse l’appoggio di quella frazione di repubblicani disposti a concedere il proprio voto solo in cambio dell’installazione dello “scudo” nei paesi dell’Europa dell’Est. Se invece l’intesa dovesse funzionare, entrambi i Paesi, in particolare la Russia, ne ricaverebbero un consistente risparmio di denaro, particolarmente gradito in questi tempi di difficoltà finanziarie, dismettendo una parte dei vettori e riducendo i costi della manutenzione delle testate. Lo Start 2, comunque, non si pronuncia sull’innovazione delle armi nucleari, il cui eventuale miglioramento nella resa conta quanto il numero che se ne possiede. Qui entra in causa la nuova dottrina nucleare Usa (Nuclear Posture Review), esposta martedì scorso al Pentagono dal ministro della Difesa Gates, dal segretario di Stato Clinton e dal capo di Stato Maggiore Mullen.
  Nell’intervista al “New York Times” con cui Obama ha presentato il nuovo concetto strategico sulle armi atomiche, che gli Usa periodicamente aggiornano, non appare chiaro se continueranno oppure no le ricerche per rendere ancora più micidiali gli ordigni nucleari. In ogni caso, nella nuova dottrina vi sono novità di un certo rilievo. Anche se non rinunciano al “first strike”, il primo colpo, come chiedeva l’ala liberal del Partito Democratico, gli Stati Uniti si impegnano a non fare mai uso della rappresaglia atomica perfino se subissero un attacco con armi biologiche e chimiche. In sostanza, Washington annuncia che nessun Paese al mondo che rispetti il “Trattato di non proliferazione nucleare” deve temere, in caso di conflitto, un bombardamento nucleare. Del terribile castigo, sono potenzialmente passibili –viene detto chiaramente- solo la Corea del Nord e l’Iran che, con i loro piani per costruire la “bomba, si sarebbero autoesclusi dalla comunità internazionale.
  Quella che suona chiaramente come una minaccia, sia pure da attuare solo nel caso più estremo, ha immediatamente provocato la veemente risposta del presidente iraniano Ahmadinejad il quale ha ammonito gli Usa di smettere di provocare il suo Paese se non vogliono subire devastanti  conseguenze. Al di la dei toni, va detto Washington continua a non disporre della autorevolezza necessaria per imporre a Teheran la cessazione del suo programma atomico, sia o meno di natura militare, perché anche nella loro nuova dottrina nucleare finge di ignorare il problema delle centinaia di testate possedute illegalmente da Israele che, oggettivamente, costituiscono una potenziale minaccia per l’Iran.
  L’accordo sullo Start 2, nelle intenzioni di Obama, dovrebbe anche servire per convincere Mosca ad appoggiare all’Onu un nuovo pacchetto di dure sanzioni nei confronti dell’Iran. E’ difficile dire se ciò avverrà, ma è certo che la Russia, con la firma del trattato, ha riacquistato, almeno simbolicamente, quel prestigio di grande potenza che la dissoluzione dell’Urss le aveva tolto. Non si dice però che l’intesa riguarda solo i missili balistici intercontinentali, quelli con gittata oltre i  5.500 chilometri, ma non si occupa delle bombe nucleari tattiche in grado di percorrere distanze inferiori, le quali possiedono comunque una potenza 900 volte superiore all’atomica di Hiroshima. Sulla base di accordi tuttora segreti, gli Usa detengono un certo numero di queste armi anche nelle  basi in Italia. Livio Caputo ha chiarito la questione in un articolo molto puntuale su “il Giornale”, nel quale si è chiesto se tali ordigni potrebbero essere usati pure per un eventuale attacco contro l’Iran.
  Secondo uno studio di fonte Usa, ci sarebbero in Italia circa novanta di queste bombe, con dispositivi di sicurezza piuttosto carenti. Mentre altri Paesi europei che ospitano tali testate hanno chiesto alla Nato di riconsiderare la questione alla luce degli scenari mutati rispetto alla Guerra fredda, il nostro governo non si è espresso, anche se il sottosegretario alla Difesa Corsetto ha inopinatamente dichiarato che “in Italia non ci sono testate nucleari”. E’ troppo, nella grande   discussione di questi giorni sulle armi atomiche, chiedere al suo superiore La Russa di chiarire la questione e di farci sapere se rischiamo un incidente devastante o di essere coinvolti in un attacco atomico contro un altro Paese?