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I morti per i pesticidi usati dalle multinazionali

di Giorgio Trucchi - 29/04/2006

I morti per i pesticidi usati dalle multinazionali della frutta si moltiplicano.

La storia di Will e José

 
 
 
Manifestanti bananeros"Dammi un passaggio fino a Chichigalpa. Dormo lì questa notte, perché domani mi tocca partire all'alba".  Era appena finita la marcia dei bananeros ammalati per il Nemagón a Chinandega. Era una marcia per celebrare il ritorno di migliaia di persone alle loro case, dopo più di otto mesi accampati a Managua, e la firma degli accordi con il Governo e il Parlamento.
Wilfredo Martínez, "Will" per gli amici, era salito sulla camionetta che ci riportava nella capitale. Come sempre, aveva partecipato alla marcia in qualità di leader di uno dei tanti gruppi di ammalati a causa degli agrotossici. Non stava bene. Era magro, pallido e più debole del solito, ma continuava imperterrito nella sua attività minuziosa, come una formica operaia dalla gran tenacia.
 
Il passato. Era stato cañero (coltivatore di canna da zucchero ndr.) e si era ammalato a causa dell'uso irrazionale dei pesticidi nelle piantagioni. Aveva anche iniziato a sostenere la lotta dei bananeros ammalati per il Nemagón, mettendoci l'anima. Insieme a Doña Coquito era stato delegato a mantenere i contatti con i parlamentari, affinché cominciassero seriamente a dare delle risposte alle richieste presentate dai settori in lotta. Sempre in prima fila nelle marce, parlava di questa lotta che, presto o tardi, avrebbero vinto.
Non aveva dubbi, nonostante le malattie che lo colpivano severamente e sono sicuro che abbia lottato fino agli ultimi momenti della sua vita.
 
Il presente. Quando ho saputo che era morto, a soli 42 anni, per una serie di complicazioni che avevano bloccato la funzione renale, mi è rimasta l'amarezza di non averlo potuto salutare. Era già da un paio di mesi che non lo vedevo. Ho cominciato a pensarlo, a ricordarlo e a cercare una sua foto. Alla fine ne ho trovata una, la più significativa, in testa al corteo mentre entra a Managua. Era la "Marcia senza Ritorno" del 2005. È bello ricordarlo così, alla testa, marciando, con lo sguardo in alto, aprendo una breccia per le future generazioni. 
  
Altra storia. Con José Luis Suarez, invece, ho parlato a casa sua, a Chichigalpa. L’Asociación Nicaraguense de Afectados por la Insuficiencia Renal Crónica (Anairc) mi avevano invitato per scrivere un reportage sulla drammatica situazione dei cañeros. La Unión Internacional de Trabajadores de la Alimentación (Uita) era interessata al progetto e io passai due giorni con loro, ascoltando le loro esperienze, guardandoci negli occhi, raccogliendo ogni dettaglio di queste dolorose storie e ogni particella di quell'orgoglio che fluiva dalle quelle parole.
 
Stesso copione. José Luis era steso in una branda nel cortile di casa sua. Aveva 59 anni, 38 dei quali  passati lavorando come bracciante nei cañaverales del Ingenio San Antonio
Avvicinandomi, mi afferrò la mano con le sue dita cotte dal sole e dal lavoro e mi salutò con poche deboli parole. Aveva voglia di parlare, nonostante la difficoltà a respirare e a proferire parola. 
Aveva voglia di denunciare al mondo intero non solo quello che era successo a lui, ma quello che avevano dovuto soffrire le migliaia di compagni ammalati per i pesticidi. Mi nominò a memoria  i 33 posti all'interno del Ingenio San Antonio dove si trovavano le acque inquinate. 
Ricordo che con estrema difficoltà si alzò e volle accompagnarci nei cañaverales, affinché potessi vedere con i miei occhi lo stato di inquinamento della zona, le acque putrefatte con le quali irrigano la caña e la vicinanza delle case ai campi, innaffiati costantemente di pesticida per via aerea. 
Ci obbligò a fermarci nella clinica del Ingenio, affinché vedessi la ridicola assistenza che danno agli ammalati di Insufficienza Renale Cronica (Irc). Sette anni fa gli avevano diagnosticato Irc ed è morto dopo due mesi dall'intervista.
 
Ammalato per il pesticida, accanto a un morto per il pesticidaParole velenose. Le sue parole e il suo corpo erano una denuncia. "I padroni dell'impresa hanno portato la morte in questo paese - raccontò - Da tre mesi sono steso in questo letto e faccio fatica ad alzarmi. Quando nel 1999 mi presentai per lavorare nel raccolto della caña, mi fecero degli esami medici e risultai ammalato di Irc. Mi rifiutarono il lavoro e mi buttarono in strada a morire.Mi diedero una pensione di 1.500 córdobas mensili (85 dollari) che non bastano nemmeno per una settimana. Abbiamo bisogno che si denunci tutto quello che ci sta accadendo, perché spargere tutti questi pesticidi e infettare l'acqua è stata una manovra criminale. Non sono solo i lavoratori a essere stati avvelenati, ma tutto il paese, perché le falde acquifere percorrono centinaia di chilometri e i pozzi da cui la gente della regione attinge l'acqua sono inquinate. Questi signori proprietari dell'impresa sono ricchi e potenti, godono dell'appoggio del Governo e dei politici e anche i mezzi di comunicazione li coprono".
 
Logica inumana. Wilfredo e José Luis li ho avuti vicino e ho potuto condividere con loro, come con tanti altri e anche se per poco tempo, il sentimento di disperazione di una malattia terminale e contemporaneamente la capacità di andare oltre la quotidianità e di vedere un orizzonte di giustizia, pur nella consapevolezza di non poterlo assaporare. Sono due vittime in più della vergogna che ha inondato questo paese e della logica inumana di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici.