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Palestina: "Serve un’alternativa all'industria della pace”

di Eva Brugnettini* - 25/05/2010




Omar Barghouti è un palestinese, nato in Qatar, cresciuto in Egitto. Ha una laurea in Ingegneria conseguita presso la Columbia University (negli Stati Uniti) e attualmente frequenta un dottorato in Filosofia all’università di Tel Aviv. Ma soprattutto è il fondatore della Campagna palestinese di Boicottaggio Accademico e Culturale di Israele (Pacbi). Lanciata nel 2004, la Pacbi fa parte della più vasta campagna di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni (Bds).


Lo abbiamo incontrato a Bologna, alla facoltà di Psicologia, dove Barghouti ha presentato la sua campagna e il libro “Pianificare l’oppressione. La complicità dell’accademia israeliana” (edizioni Seb 27, a cura di Bartolomei, Perugini, Tagliacozzo).

Massacro culturale

Per descrivere quello che da decenni avviene in Palestina, Barghouti  parla di “massacro culturale “Dei ricercatori hanno rivelato che Israele subito dopo il 1948 ha rubato e distrutto decine di migliaia di libri palestinesi. Un modo per giudaizzare il paese e tagliare la nostra cultura. Si è trattato di un vero e proprio massacro culturale”, dice.

Poi va avanti raccontando come l’istruzione palestinese sia stata annullata nel corso degli ultimi 62 anni: “Nel 1988 dopo l’inizio della Prima Intifada [1987] Israele ha chiuso tutte le sei università, le 13 scuole tecniche superiori e le 1194 scuole della Cisgiordania. Nel 1989 ha chiuso anche tutti gli asili. L’università di Birzeit [vicino a Ramallah, la più prestigiosa della Cisgiordania] è stata chiusa per quattro anni consecutivi. E non c’è stata nessuna protesta da parte delle accademie occidentali. La reazione palestinese, invece, è stata quella di rendere la propria istruzione un affare clandestino, da coltivare “nelle case, chiese e moschee, al riparo dagli sguardi”.

Università israeliane

Se in qualche modo la cultura e le università palestinesi in primis sono state “criminalizzate”, quelle israeliane secondo Omar Barghouti sono diventate in qualche modo complici e “criminali”. Non soltanto “formando la mente collettiva di Israele nel considerare i palestinesi ‘subumani’ o ‘relativamente umani’”, ma anche prendendo parte attiva nella politica dello Stato ebraico.

Secondo il leader del Pacbi sono spesso i professori a far passare messaggi razzisti, che poi si diffondono. Cita a questo proposito una delle frasi con cui è diventato noto un professore israeliano, Dan Schueftan, pronunciate durante delle lezioni universitarie a Tel Aviv: “Gli arabi sono il più grande fallimento nella storia della razza umana. Non c’è niente sotto il sole di più aberrante dei palestinesi”.

Affermazione molto simile, come portata, a quelle scritte sulle magliette di alcuni soldati dell’Idf. È dell’anno scorso la notizia riportata dal quotidiano israeliano Haaretz secondo cui alcuni ufficiali avevano fatto stampare delle t-shirt con una serie di slogan aberranti. “Scritte come ‘1 colpo, 2 morti’ sullo sfondo di una donna palestinese incinta con un bersaglio sulla pancia, oppure l’immagine di un ufficiale dell’esercito che violenta una bambina palestinese con lo slogan ‘Nessuna vergine, nessun attacco terrorista’ ricordano da vicino le vignette naziste degli anni ‘30” dice Barghouti.

L’esponente palestinese cita il giornalista Gideon Levy: “’Abbiamo preparato i nostri soldati a commettere crimini senza resistenze morali, come se le vite e le proprietà dei palestinesi non avessero valore, in un processo di disumanizzazione’ e con quel ‘noi’ si intende le istituzioni universitarie, che hanno un ruolo fondamentale nel creare l’ideologia. Dalla quale derivano i crimini di Gaza”.

Oltre l’insegnamento

“Il coinvolgimento accademico – dice ancora Barghouti - è più profondo del semplice insegnamento. Dallo sviluppo di armi e dottrine fino a essere partner nei crimini. Alcune università stesse commettono crimini. Come quella di Ariel, costruita nei Territori Palestinesi Occupati, quindi in violazione della Quarta convenzione di Ginevra. O la Hebrew University che ha uno dei due campus a Gerusalemme Est”.

Le università israeliane possono favorire nascita e crescita di un certo umore razzista, alcune sono costruite illegalmente, ma non bisogna dimenticare la più quotidiana discriminazione di studenti non ebrei. Barghouti prende il caso dell’università di Haifa, dove c’è tuttora una politica che nell’assegnazione dei posti nei dormitori favorisce chi ha fatto il servizio militare: “È una discriminazione perché i palestinesi non possono entrare nell’esercito israeliano”.

Industria della pace

Durate il dibattito, una rappresentante ufficiale dell’università di Bologna ha detto che l’università in quanto istituzione è molto lontana dalla posizione del boicottaggio accademico e culturale, e che piuttosto sostiene l’idea che sia necessario “promuovere la cooperazione, sia con i palestinesi che con gli israeliani”.

“Non sono affatto stupito del suo intervento – risponde Barghouti – lo stesso è successo all’inizio per il Sudafrica, ma poi l’università è stata forzata in qualche modo, attraverso pressioni. ‘L’industria della pace’ ha fallito miseramente dal 1993 [accordi di Oslo] e comunque non ha mai cambiato la politica israeliana. C’è bisogno di un’alternativa. Anche perché non si può costringere alla cooperazione uno Stato coloniale e un sistema di apartheid. Prima bisogna porre fine al colonialismo, poi si può collaborare. Oggi ‘promuovere la cooperazione’ significa essere complici”.

Alla domanda se non ci sia una certa contraddizione tra il chiamare al boicottaggio accademico e culturale di Israele e seguire un dottorato all’università ebraica di Tel Aviv, Barghouti risponde che “anche Nelson Mandela aveva studiato in un’università sudafricana dentro al sistema di apartheid. In Palestina dopo il master non ci sono livelli accademici superiori come il dottorato. Perciò o si studia in Israele o all’estero. Non c’è scelta”.

* per Osservatorio Iraq