Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La fine dell'unipolarismo americano

La fine dell'unipolarismo americano

di Mauro Tozzato - 12/09/2010




Sul Sole 24 Ore del 05.09.2010 il giornalista del Financial Times John Lloyd parrebbe prendere atto del progressivo affermarsi di quella fase storica (dell’attuale formazione sociale globale) che La Grassa chiama multipolarismo:
<<L’America ha perso il predominio globale che ha avuto dal dopoguerra agli anni Novanta. La vera questione che caratterizzerà gli anni a venire è come la leadership si ridistribuirà nel mondo. C’è la necessità di sviluppare un potere condiviso tra Stati Uniti, Cina, India e Russia.>>
Naturalmente è sufficiente leggere con un po’ di attenzione per capire che qui non si prospetta l’avvento di una fase conflittuale - seppure con la supremazia relativa di una potenza ancora predominante rispetto alle altre – bensì di un nuovo ordine internazionale basato su una pacifica “spartizione del mondo” e su un nuovo patto “solidale” per garantire la ripresa di  crescita e benessere nei paesi di antica industrializzazione  e di quelli emergenti. Quella che non viene compresa è proprio la dinamica storica “reale” che si sta sviluppando: l’avanzamento di una fase ricorsiva della storia della formazione sociale capitalistica che con il declino del monocentrismo Usa non può non portare ad un inasprirsi dei conflitti e della lotta per la supremazia, con relativi scontri politici (in senso lato), che innescano dinamiche di sviluppo ineguale e ne diventano a loro volta la conseguenza. Quando Hegel affermava che il finito è ideale probabilmente intendeva esprimere lo stesso concetto contenuto nell’espressione: la singolarità è caratterizzata dalla provvisorietà; i momenti ricorsivi dello sviluppo sociale sono, dunque, delle singolarità destinate ad essere superate, anche se ognuna di esse è portatrice di alcuni codici contenuti in fasi precedenti che determinano ad un tempo una correlazione strutturale e processualità originali. Il modello storico lineare che caratterizza il Cristianesimo (e in generale le religioni storiche come  l’Ebraismo e l’Islamismo) come pure  il Marxismo storico otto-novecentesco pare aver perso molta della sua capacità esplicativa ed euristica. La lettura della Modernità e dell’epoca capitalistica - a partire, a seconda del tipo di interpretazione, dalla seconda metà del XIV secolo o dall’inizio del XVI - in termini di sviluppo storico caratterizzato dalla ciclicità, tradizionalmente diffusa nelle religioni cosmiche e nel pensiero estremo-orientale, sembrerebbe per un certo verso un modo di rassegnarsi all’intrascendibilità del “sistema capitalistico” inteso nel senso tradizionale, cioè privo di scansioni storiche di trasformazione di un tipo in un altro (ad es. da quello borghese a quello dei funzionari del capitale). In realtà, allargando finalmente la prospettiva ciclica dalla lettura storica del processo economico, in cui era stata relegata, alla politica (intesa anche e soprattutto come estrinsecazione di forza), alla geopolitica e perfino all’ideologia essa si presenta come un presupposto imprescindibile per l’articolazione di una nuova teoria della società “moderna” capace di accogliere le lezioni della storia e di elaborare nuove ipotesi riguardo agli sviluppi futuri al fine di agire e interagire con essi.
In un altro articolo sul Sole 24 Ore (sempre in data 05.09.2010) il popolare opinionista Bill Emmott esprime una valutazione di un certo interesse riguardo l’attuale configurazione geopolitica del “lontano oriente”:
<<Negli anni 70 e 80 il Giappone era il nuovo gigante economico, ma politicamente restava un nano. La Cina sarà protagonista anche delle cronache politiche, specialmente alla luce dei potenziali punti di conflitto intorno ai suoi confini: soprattutto, se la rivalità fra Cina e India da ipotesi dovesse diventare una competizione reale sul piano degli armamenti, del territorio, delle risorse, delle alleanze e della leadership.>>
Anche in questo caso il brillante opinionista cerca di divagare rifiutando di vedere ciò che è evidente: la forza politica dello Stato cinese si esprime ormai su scala globale e non può essere ridotto certamente ad un problema di supremazia regionale. Ci tocca ricordare poi quello che La Grassa ha più volte giustamente rilevato, riguardo alle alleanze continuamente cangianti che tendono a formarsi in fasi di cambiamento come questa, indirizzata verso un probabile  multipolarismo; non è, infatti, improbabile che determinate condizioni storiche, attualmente non  ancora pienamente visibili, possano, invece, portare alla creazione di un asse Cina–India per emarginare e subordinare il Giappone, da una parte, e contrapporsi ad un eventuale “fronte europeo/nord-asiatico/mediorientale” comprendente dapprima Russia, Iran e Turchia e successivamente collegato a un nuovo polo “nazionale” europeo (es. Germania).