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Niente ricongiungimento per le famiglie palestinesi

di Davide Frattini - 15/05/2006

 
La Corte Suprema israeliana conferma il divieto del 2002
Un deputato di Meretz: «I giudici hanno accettato una norma che ha radici razziste»


GERUSALEMME - La Corte Suprema ha confermato una legge che impedisce la riunificazione delle famiglie, quando uno dei coniugi è un cittadino israeliano e l’altro un palestinese che vive nei Territori.

I giudici hanno scelto con una stretta maggioranza (sei contro cinque) di respingere il ricorso presentato nel 2003 da associazioni per i diritti umani e da coppie miste (formate soprattutto da arabi-israeliani e palestinesi). La legge formalizzava una decisione presa dal governo nel maggio del 2002, durante la seconda intifada, e congelava i processi di naturalizzazione.

Dagli accordi di Oslo nel 1993, sono arrivate 22 mila richieste di palestinesi per riunirsi con il resto della famiglia. Seimila sono state approvate, la maggior parte è stata respinta perché uno dei coniugi era rimasto coinvolto in reati contro la sicurezza dello Stato o in attività criminali.

«La decisione della Corte Suprema - ha commentato il deputato arabo-israeliano Azmi Bishara - è la prova che la cultura politica e giuridica di questo Paese si muove verso il concetto di nazionalismo piuttosto che di cittadinanza». «È inconcepibile - ha detto Ran Cohen, parlamentare di Meretz - che i giudici abbiano accettato una legge che ha radici razziste».

Il neoministro della Giustizia Haim Ramon ha spiegato che un Paese in guerra ha il diritto di essere selettivo. «A nessuno Stato al mondo si chiede di accogliere cittadini di un’Autorità con cui è in conflitto. Non bisogna dimenticare che questa legge è stata varata quando alcuni palestinesi che ottennero la cittadinanza grazie alla riunificazione delle famiglie commisero attacchi terroristici».

La sentenza - ha scritto in un commento il quotidiano liberal Haaretz - mostra che i giudici hanno preferito l’ebraicità dello Stato a una maggiore democrazia.