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Ignoranza, insensibilità e faziosità dei testi scolastici

di Francesco Lamendola - 29/09/2010

 

All’insegnante che abbia un po’ di esperienza e un minimo di colpo d’occhio non sfugge il fatto che gli strumenti di cui si serve quotidianamente nella sua professione, i libri di testo delle scuole, sono profondamente disonesti dal punto di vista intellettuale.
Egli, pertanto, è costretto a insegnare ai propri studenti servendosi di uno strumento peggio che difettoso: di uno strumento assolutamente scorretto e fuorviante, il quale tende sistematicamente a falsare la percezione della realtà, sia quella del presente che del passato.
Si dirà che basta scegliere con cura i libri di testo e che ogni insegnante, dopo tutto, gode della massima libertà di optare per un libro, anziché per un altro. Verissimo: ma il fatto è che i libri di testo oggi in circolazione, praticamente senza eccezione, sono un po’ come i canali televisivi: ce ne sono tantissimi, ma tutti suppergiù si equivalgono quanto a ignoranza, insensibilità e faziosità; tutti sono espressione del Pensiero Unico oggi dominante.
Nel corso di un paio d’ore di lezione, ad esempio, può capitare che un professore di liceo, rimanendo all’interno di una singola classe, debba scontrarsi più di una volta con la grossolana tendenziosità e con l’ottusa arroganza intellettuale dei libri di testo.
Supponiamo che la prima ora di lezione sia di italiano e che la seconda sia di storia.
Ora di letteratura italiana: si parla del Seicento, si parla di Galilei, si parla del «Saggiatore». Si legge l’immancabile «favola dei suoni», in cui Galilei, dietro l’apparenza di celebrare la modestia intellettuale dello scienziato e l’infinità del sapere, esalta invece la manipolazione delle cose, il dominio brutale sulla natura, l’orgoglio sconfinato dell’uomo di scienza che si sente al di sopra della morale, del bene e del male. Si parla della vivisezione di una cicala, perché lo scienziato vuole comprendere l’origine del suo frinire: non una parola di rammarico per il crudele trattamento inflitto alla bestiola; non una parola di dispiacere per quella piccola meraviglia della natura che viene distrutta. L’unico rammarico è di non aver compreso come si produca il suono.
Questo, da parte di Galilei. I curatori dell’antologia scolastica, tutti senza eccezione, presentano il fatto senza batter ciglio. Addirittura, la sofferenza e l’uccisione dell’animale vengono ignorati; sono un semplice inciso al’interno di una proposizione molto più ampia e complessa; tutta l’attenzione e tutta l’ammirazione del giovane lettore sono indirizzati verso l’intrepido scienziato, esploratore dell’ignoto, novello Ulisse che agisce sospinto da una santo amore di conoscenza, tanto pura quanto disinteressata.
Nessun curatore di testi scolastici fa notare che questo è un esempio di scienza senza coscienza; che dallo “stupore” di Galilei verso la natura non derivano né umiltà, né compassione, né senso della bellezza; che la moderna vivisezione di milioni di cavie animali e, più in generale, l’implacabile manipolazione di esseri viventi da parte della tecnoscienza, sono la logica conseguenza di questo modo di porsi davanti alle cose, iniziato con la cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo: meccanicista, razionalista, riduzionista, utilitarista e tendenzialmente materialista.
Seconda ora di lezione: storia. Si parla dell’espansione europea negli altri continenti fra il XVI e il XVIII secolo; più precisamente, si parla dell’espansione inglese in India e in Australia. Ebbene, nemmeno una parola sullo sconvolgimento sociale ed economico portato dalla presenza britannica in India; peggio ancora, nemmeno una parola sul genocidio degli aborigeni australiani, sulla caccia all’uomo dei Tasmaniani, fino alla loro estinzione totale, allorché l’ultima rappresentante di quel popolo mite e inoffensivo, contro la sua esplicita volontà, venne imbalsamata dopo la morte ed esposta in una sala del museo di antropologia di Hobart, per la delizia della scienza e del pubblico pagante.
Qui c’è qualcosa che non quadra. Qualcosa di profondamente sbagliato sia sul piano storiografico, sia sul piano etico. Si parla dell’Australia come se fosse stata disabitata, come se fosse stata “res nullius”. Non si dice che i suoi abitanti erano il popolo più antico dell’umanità e che occupavano quei luoghi da qualcosa come 40.000 anni; non si dice che i bianchi li sterminarono a freddo, per impiantare le loro fattorie e i loro allevamenti di pecore.
Eppure, quello consumato contro di loro fu un genocidio. Ma l’unico genocidio di cui si parla sui libri di testo scolastici è quello degli Ebrei ad opera dei nazisti. Solo la Germania, secondo gli autori dei nostri libri di testo, porta un simile peso sulla coscienza; la Gran Bretagna no, quando mai: gli Inglesi sono “buoni”, hanno sempre combattuto guerre giuste, guerre per la libertà altrui. Hanno salvato l’Europa e il mondo dal nazismo, quindi sono i “liberatori” per eccellenza.
Sarà per questo che non si dice, su quei libri di testo, che il primo esercito ad impiegare le armi batteriologiche fu quello inglese, nel 1755, allorché il generale Edward Braddock fece distribuire agli indiani del Nord America delle coperte infettate dal vaiolo, provocando deliberatamente la morte di migliaia di uomini, donne e bambini inermi? Tutti, oggi, conoscono i nomi di Hitler, di Himmler, di Eichmann; nessuno conosce il nome di Braddock.
Davvero, c’è da rimanere disgustati.
Abbandonati in balia di simili libri di testo, la mente e la coscienza degli studenti sarebbero perdute, se qualche insegnate non si prendesse la briga di farli riflettere e di insegnare loro l’uso critico delle fonti. Gli stereotipi che vengono perpetuati da questa impostazione didattica sono volutamente funzionali ai poteri forti oggi dominanti: la tecnoscienza, il capitalismo selvaggio dell’alta finanza e delle multinazionali, l’Impero americano e il sionismo internazionale, con tutte le sue tentacolari diramazioni.
Analoghe sconcezze si trovano, purtroppo, nei testi di quasi tutte le discipline scolastiche, in particolare in quelli di storia della filosofia, che sono redatti, la maggior parte delle volte, in maniera semplicemente oscena.  Vengono esaltati acriticamente sempre gli stessi pensatori, magari proprio in ciò che vi è di maggiormente discutibile nel loro pensiero (vedi Galilei); e vengono ignorati quelli che presentano un punto di vista alternativo all’attuale Pensiero Unico. Non parliamo poi della filosofia dell’Asia, di cui non si sa nulla, quindi nulla si insegna: la storia della filosofia è rimasta profondamente etnocentrica.
Forse solo i libri di matematica, alla fine, si salvano; perché in quell’ambito è difficile, se non impossibile, fare certi giochetti. 
Sia chiaro che non pretendiamo che gli autori dei libri di testo sposino, necessariamente, una visione del reale di tipo olistico, spirituale, ecologicamente sostenibile e via dicendo; sarebbe troppa grazia. Ci accontenteremmo di vedere un minimo di problematicità, un minimo di contraddittorio, un minimo di consapevolezza che, nella modernità, vi sono le luci, ma anche le ombre; vi sono le conquiste del progresso, ma vi è anche il ritorno della barbarie; le maggiori comodità materiali, ma anche la bomba atomica, la catastrofe ambientale, lo sconvolgimento climatico.
Ci basterebbe che, in quei benedetti libri, non si intonassero sempre e solo i peana dei vincitori; che vi fossero un po’ di spazio, un po’ di attenzione e, perché no, un po’ di compassione anche per i vinti. Che si parlasse anche delle ragioni della cicala vivisezionata, della vecchia tasmaniana il cui cadavere fu ridotto ad attrazione da museo, dei pellerossa che morirono come mosche per il vaiolo portato alle coperte del generale Braddock.
Che sui libri di storia della seconda guerra mondiale si parlasse dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti, ma anche dei sette fratelli Govoni fucilati dai partigiani. Che si parlasse della distruzione di Amsterdam e Varsavia da parte dei nazisti, ma anche di quella di Amburgo e Dresda da parte degli Alleati. Che si parlasse della Risiera di San Saba, ma anche della foiba di Ugovizza; che si parlasse delle migliaia di Italiani assassinati a guerra finita, per vendetta, senza una tomba su cui i loro cari potessero posare un fiore.
Che si parlasse di Auschwitz e di Dachau, ma anche di Hiroshima e Nagasaki.
Quanta falsità istituzionalizzata; quanta ipocrisia; quanta cattiva coscienza.
E con questa mancanza di serietà didattica e morale, con questo servilismo verso la Vulgata dei vincitori, con questa faziosità senza pudore e senza vergogna, vorremmo insegnare qualcosa ai nostri ragazzi?
Tutto quel che possiamo insegnare loro, in simili condizioni, sono il più piatto conformismo intellettuale e la più bieca ipocrisia; e i frutti li vediamo ogni giorno, osservando la spudoratezza con cui la stampa si adopera per manipolare il pubblico, senza che si levi una sola voce di virile indignazione e di protesta sacrosanta.
Prendiamo il caso di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte nel suo Paese per adulterio e complicità nell’omicidio del marito. I media occidentali ne hanno fatto una bandiera di libertà e l’hanno quasi santificata, inorriditi all’idea della sua lapidazione. Ora che, come sembra, l’esecuzione avverrà invece mediante impiccagione, il fuoco di fila delle proteste, diplomatiche oltre che di opinione pubblica (e il governo italiano, come sempre in questi casi, brilla per la sua crociata in favore della “civiltà”), si è spostato dal modo della pena alla pena in se stessa: Sakineh non dev’essere uccisa, punto e basta.
Encomiabile umanitarismo; peccato che non si spenda una parola per i condannati e le condannate a morte negli altri Paesi del mondo, e specialmente per quelli degli Stati Uniti d’America, la madre di tutte le democrazie. minorenni compresi (ma li si fa aspettare nel braccio della morte finché diventino maggiorenni, prima di sopprimerli).
Si vede che assassinare legalmente un uomo è meno grave che se si tratta di una donna; oppure assassinarlo con una iniezione letale o fulminandolo sulla sedia elettrica è ritenuto meno esecrabile che farlo con le pietre o con il cappio. A nessuno, pare, viene in mente che il vero problema non è umanitario, ma politico: si vuol dipingere il governo iraniano come una banda di carnefici, cosa che potrebbe anche essere: ma non per la condanna di Sakineh; lo si vuole screditare e infangare per favorire il sionismo, che vede in lui il suo peggior nemico.
E questo mentre le scavatrici israeliane, con furia indecente, allo scadere della moratoria si sono rimesse febbrilmente al lavoro per costruire nuove abitazioni destinate ai coloni ebrei in Cisgiordania, con buona pace delle trattative di pace e di innumerevoli risoluzioni delle Nazioni Unite in favore dei Palestinesi.
Dunque: libri di scuola menzogneri, conformisti, culturalmente disonesti; futuri cittadini ignoranti, intellettualmente pigri e facilmente manipolabili.
Una volta i libri di testo li scrivevano fior fior di specialisti; quelli di storia, ad esempio, li scrivevano insigni storici; quelli di storia dell’arte, illustri storici dell’arte. Oggi i libri di scuola li firmano non più singoli autori, ma équipe di intellettualini a un tanto il chilo, gente che nelle scuole non ci ha mai messo piede: lo si vede da come scrivono, costringendo gli insegnati a spiegare quasi ogni riga e ogni parola e a tradurle in un italiano comprensibile al pubblico cui, in teoria, sono destinati: dei giovani dal modesto retroterra culturale.
Ma tanto si sa che quello dei libri scolastici è un business delle case editrici, una specie di mafia altamente sofisticata: l’ultimo ritrovato è quello di cambiare qualche paragrafo qua e là ogni due-tre anni, per impedire che il libro possa passare di mano dal fratello maggiore al fratello minore e permettere, così, alle famiglie di risparmiare qualche migliaio di euro.
Insomma, per dir le cose come stanno: siamo in presenza di un panorama desolante e deprimente, di uno squallore assoluto.
Tutto quello che si può sperare è che gli insegnanti, insieme al veleno, forniscano ai loro studenti anche l’antidoto: ossia che mostrino loro come ci si deve porre in maniera critica di fronte ad un libro di testo, anzi, di fronte a qualsiasi libro; così come bisognerebbe fare di fronte a qualsiasi giornale, a qualsiasi programma televisivo, a qualsiasi film.
Ma ne avranno la capacità, la voglia, l’onestà intellettuale?
Oppure, figli di un Sessantotto che è stato esiziale per l’università, per la cultura e per il pensare in modo non conformista, molti di loro sono i primi a sposare il Pensiero Unico; magari rimangiandosi molti dei loro ideali di allora, ma fedeli - in compenso - al servilismo intellettuale di sempre?