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Israele sfrutta politicamente l'Olocausto a fini di perpetrazione dei crimini contro i Palestinesi

di Claudio Moffa - 07/11/2010

Fonte: irib.ir

 

Radio Italia IRIB - Lei il 24 settembre scorso ha tenuto una lezione sull'olocausto con particolare riferimento alle tesi che negano la sua versione ufficiale. Ci dice come sono andate le cose? E perché tutto questo accanimento nei suoi confronti?
Claudio Moffa - Nel corso della lezione ho esposto le diverse tesi del dibattito sulla shoah, comprese ovviamente quelle dei cosiddetti negazionisti - che in realtà definirei “revisionisti” - e ovviamente ho argomentato e commentato la mia esposizione. Ho presentato diversi documenti agli studenti, e ho anche criticato un certo approccio che affiora qua e là nella letteratura revisionista, che talvolta propone la legittima e fondata revisione del tema come una sorta di contro dogma, mentre a mio avviso il revisionismo storico non è un dovere, ma è una potenzialità consustanziale al mestiere di storico. Insomma, una possibilità e non un obbligo.
A partire da questo approccio, dopo aver inserito la questione shoah nella problematica generale del modo in cui si informa tutto ciò che lambisce o è lambito da Israele, ho passato in rassegna i tre punti fondamentali del dibattito sollevato dai revisionisti, e cioè la questione delle cifre, la questione della pianificazione o meno dello sterminio e la questione della camere a gas: su tutti e tre questi argomenti ho sollevato, sulla base di citazioni anche di autori ortodossi, dei dubbi sulla versione ufficiale. Perché noi sappiamo che in Occidente il cosiddetto olocausto - dico cosiddetto perché il termine è religioso, quindi assolutamente improprio per un evento storico pur drammatico come quello delle stragi subite dagli ebrei nella seconda guerra mondiale – è nei fatti un tabù che va superato.
Ed ecco dunque i dubbi che ho proposto: per esempio la cifra delle vittime. Ho mostrato al proposito un documento della prima guerra mondiale in cui la cifra dei 6 milioni di vittime ebree già era presente, da cui l'ipotesi che si tratti di una sorta di numero cabalistico, con un significato religioso insomma, invece che corrispondente alla realtà. Ho quindi ricordato l'ampio ventaglio delle stime proposte dagli studiosi, 3 milioni, 2.800.000, 800.000 e così via, ovviamente aggiungendo che qualsiasi cifra suscita un orrore comprensibile. Voglio dire che anche le 800.000 vittime mila proposte da Garaudy rappresentano un crimine orrendo, ma il problema è comunque sempre accertare fin dove è possibile i fatti senza fermarsi alla versione ufficiale. Ho fatto anche un esempio sul fattore emotività nell'accettazione passiva del numero 6 milioni: lo ricorda Faurisson, a mio avviso favorito dal fatto di essere nato studioso come filologo invece che storico. L'esempio è dunque quello di una foto raccapricciante di decine o centinaia di cadaveri di ebrei ammassati l'uno sull'altro: ebbene l'orrore che suscita la foto è ben intuibile. Cosa accade nel lettore del documento che contiene quell'immagine e che poi prosegue col proporre senza fonti e argomentazioni valide la cifra di 6 milioni? Che questo numero, non verificato scientificamente, diventa assimilabile facilmente proprio per effetto dell'immagine.

Radio Italia Irib - E cosa ha detto a proposito della questione della pianificazione dello sterminio?
Claudio Moffa -
Ho citato lo storico ebreo Poliakov e ricordando che come lui aveva scritto nel 1951, a tuttoggi non è uscito fuori alcun ordine scritto di Hitler per sterminare gli Ebrei. Anche la versione ufficiale della questione delle camere a gas presenta problemi: a proposito della quale ho citato quegli autori anche ortodossi che sostengono che non esistono più i resti di questi edifici di morte, perché i nazisti le avrebbero tutte distrutte. Né sono stati sin qui prodotti documenti d'archivio che indichino chiaramente che nei lager esistessero delle camere a gas, o che quelle destinate alla disinfestazione degli abiti fossero sistematicamente adibite anche allo sterminio di prigionieri ebrei e non ebrei. E allora cosa resta? La memoria.
Il problema è allora valutare il valore euristico delle fonti memoriali e orali. Mi sono così dilungato su riflessioni di carattere epistemologico sottolineando come le fonti orali – per inciso, come storico nasco come africanista, e in Africa le tradizioni orali sono state e sono indispensabili per la storia di un continente generalmente privo di scrittura - dopo essere state esaltate nell'età delle decolonizzazione come voce dei vinti e fonte storica ben affidabile, hanno subìto successivamente un forte ridimensionamento: ho ricordato l'africanista Jan Vansina, e la sua revisione del problema alla fine degli anni Ottanta; ho ricordato di Vansina gli stessi studi sul Burundi in cui a proposito delle genealogie tramandate dagli storici di corte, se in esse fosse comparso un sovrano regnante molto più tempo che i suoi precedessori e successori, questo avrebbe potuto far ipotizzare un colpo di mano all'interno della leadership, l'arrivo sul trono di un'altra etnia che poi, ripristinato il potere, gli stessi storici di corte “ortodossi” avrebbero cancellato dalla memoria dei loro contemporanei, per dare l'immagine di un potere regale inattaccabile … Insomma, le fonti orali sono precarie se prese in sé, e spesso inficiate da interferenze di ordine politico-idoelogico. Ecco dunque l'utilità da una parte – proprio perché mancano altre fonti sicure - ma anche il rischio – per lo stesso motivo - di memorie recenti che come ricorda in senso lato Sergio Romano nella sua Lettera ad un amico ebreo, si sono paradossalmente moltiplicate, sul tema dell' “Olocausto” negli ultimi 20 anni; e che in alcuni casi vengono sbugiardate con scandalo e danno proprio per gli ebrei sopravvissuti alle deportazioni.
Ho così parlato del caso Enric Marco, uno spagnolo che si era vantato di essere un deportato da Mathausen e che alla fine è stato smascherato da tutta la stampa spagnola, che lo ha denunciato come un'imbroglione. Uno storico serio deve stare attento a queste cose. L'ho detto agli studenti, senza alcuna espressione propagandistica, con estrema calma e scorrevolezza: insomma ho fatto una lezione nello spirito accademico concludendo alla fine della mia rappresentazione del dibattito storiografico e dei suoi nodi, che era necessario, di fronte ad una realtà così spinosa e difficile, ragionare con la propria testa e documentarsi prima di prendere una posizione netta e definitiva.

Radio Italia IRIB - Dalle sue parole in realtà non deduco nessun concetto negazionista ...
Claudio Moffa - E difatti non è stata una lezione negazionista, e forse è per questo motivo che è stata attaccata duramente. Alla radice c'è la natura superficiale del termine negazionismo, che può essere riempito a piacere di qualsiasi contenuto a fini di demonizzazione di posizioni o argomentazioni sgradite.

Radio Italia IRIB - Lei dello sterminio degli ebrei parla come un dramma molto grande e comunque in sostanza ha qualche dubbio sulla dimensione della tragedia, a parte le fonti che comunque come dice lei sono un problema, è così?
Claudio Moffa - Certo, ma è chiaro che la cifra dei 6 milioni è proposta ormai solo dai giornali, che la ripetono a pappagallo. Ma qual è il problema a ridurla? Se anche fossero i 150 o 300 mila di Faurrison (cifra che non mi pare di aver citato a lezione) o gli 800 mila di Roger Garaudy si tratta sempre di qualcosa di terribile. 800 mila persone che muoiono nel campi di concentramento non sono certo una cosa da prendere a cuore leggero. Quindi si può parlare sicuramente di sterminio, ma il problema è che questo termine non può essere utilizzato in senso etimologico – eliminazione di tutta una comunità. E' chiaro che non si è trattato di sterminio nel senso letterale della parola, perché se così fosse, non ci sarebbero tutti i sopravvissuti e non ci sarebbe una presenza diffusa in tanti paesi del mondo, di minoranze ebraiche assolutamente ben trattate, sia in Europa che negli Stati Uniti. E non ci sarebbe Israele, frutto in parte di quella “soluzione finale” che fu, secondo molti revisionisti, concepita in realtà come una orribile operazione di “pulizia etnica”. Quindi è chiaro che lo sterminio c'è stato, nel senso che ci sono stati centinaia di migliaia di morti ebrei nella guerra, come del resto ci sono stati milioni di morti sovietici e nei bombardamenti di Hiroshima, Nagasaki, Dresda. E' anche un effetto della tecnologizzazione e massificazione della guerra. Gli stermini di ebrei dunque ci sono stati, ma la cifra va discussa e non può essere imposta con una legge.

Radio Italia IRIB - Lei durante la sua lezione ha detto che la Shoa è un'arma ideologica. Vorrebbe spiegarci cosa significa?
Claudio Moffa - E' quello che dice lo storico ebreo americano Norman Finkelstein, figlio di deportati ad Auschwitz, che ha scritto libro L'Industria dell'Olocausto dove per industria si intende industria economica, la questione dei risarcimenti economici; e industria politica, perchè come ha scritto anche la giornalista ebrea Amira Hass, sul quotidiano Haarez, Israele sfrutta politicamente la vicenda delle sofferenze degli ebrei nella seconda guerra mondiale a fini di perpetrazione, di proseguimento dei crimini che sta compiendo in Palestina omai dal 1948 . Quindi sicuramente c'è un'aspetto politico-ideologico che non è da poco. Mi permetta di aggiungere che a lezione ho rappresentato anche un'altra ipotesi, elaborata fra l'altro anche da studiosi cattolici, e cioè che l' "Olocausto" appare anche un tentativo di trasformare un intero popolo – gli Ebrei appunto - in Messia, un Messia di oggetto di orribile una “crocifissione” collettiva. Un momento quindi della forte dialettica fra cristianesimo e giudaismo nella versione sionista. All'estremismo ebraico serve l'idea di una crocifissione di un popolo, di un popolo sempre vittima che in tal modo, come ho detto citando Finkelstein, riesce ad avere gli strumenti per rimanere sempre impunito.

Radio Italia IRIB - In seguito alle sue analisi sono state rilasciate dure critiche nei confronti suoi, pubblicate in diversi riviste e giornali come La Repubblica. Addirittura alcuni parlamentari hanno scritto al ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, anche lei ha definito inaccettabili ed offensive le sue parole, chiedendo al ministro di intervenire al più presto per rimuovere Lei dal carico di docente universitario. Cosa ne pensa?
Claudio Moffa - Sì, innanzitutto tutto parte da un falso di base. Cioè nessuna di queste persone che ha parlato e che mi ha attaccato ha letto o ascoltato la lezione. Si sono basati su un'articolo velenoso di Repubblica del 7 ottobre scorso, scritto nello stesso giorno in cui a Roma si svolgeva una manifestazione di alcuni giornalisti e anche politici molto legati a Israele - il titolo della manifestazione era “per la verità di Israele”, in cui queste persone hanno sostenuto praticamente che tutta la stampa dice cose sbagliate su Israele mentre Israele è democrazia, Israele rispetta il diritto internazionale e così via. In quell'occasione è stato proposto anche, dalla Comunità ebraica romana un progetto di legge tipo la Gayssot francese. Ecco dunque il perché del duro attacco. E sotto il martellamento del quotidiano e della catena di de Benedetti, nessuno di coloro che mi hanno criticato è andato a sentirsi l'ora e mezza della mia lezione: si sono accontentati solo delle citazioni di un articolo disonesto, che ha attrbuito a me citazioni di Poliakov e di Finkesltein, con lo scopo evidente di fare scandalo. Va sottolineato che Repubblica è il quotidiano che esprime il peggiore giornalismo che esiste in Italia. E' un giornalismo fazioso, un giornalismo che seguendo un pò la scuola di Jabotinsky - il comandante della Legione ebraica in Palestina – pensa appunto di poter imporre il proprio punto di vista a parlamentari e governi eletti dal popolo, a rettori e docenti universitari. Ma tantissima gente non è d'accordo. Sto ricevendo decine di messaggi di solidarietà in questi giorni, e credo che aumenteranno notevolmente man mano che si chiariranno le cose e la gente conoscerà il contenuto vero della mia lezione (18 ottobre 2010)