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Lucky Luciano

di Mario Grossi - 06/12/2010



C’è una maledizione del transitorio che incombe su tutti i giornalisti: il momentaneo. Come tutti i giornali che sfioriscono all’imbrunire (le edizioni serali che muoiono alle prime luci dell’alba costituiscono un’eccezione), così i pezzi che i giornalisti vi scrivono appassiscono ogni giorno e sono relegati nel mondo del già trascorso. È il cimitero della loro attività che si perde nell’oblio. Un’attività che scorre, insieme alle loro parole, sui giornali cui prestano la penna e che, se non viene fissata in altro modo, li trascina nel gorgo della dimenticanza. Sono i professionisti più vicini alla morte, non solo perché spesso rischiano la loro pelle per informarci, ma anche perché si osservano morire un poco ogni giorno come i loro articoli.

C’è una benedizione del duraturo che talvolta permette ai giornalisti di essere strappati alla dannazione del quotidiano e all’oblio che li rende obsoleti con le pagine del loro foglio già il giorno dopo la pubblicazione.

Questa benedizione è rappresentata da quella casa editrice che si assume l’ingrato compito di fissare, sempre su carta stampata, ma su un supporto più duraturo, ciò che un giornalista ha scritto su quella sabbia dilavata dall’onda della risacca che il quotidiano rappresenta.

Un caso didascalico da questo punto di vista è rappresentato da Mauro De Mauro, nome noto tra i giornalisti, ma che non dice molto ai più.

A farlo affiorare dall’oblio ci ha pensato, che Dio la benedica, la casa editrice Mursia che si appresta a immettere sul mercato un volume dal titolo Lucky Luciano, che raccoglie un lungo profilo che De Mauro dedicò al celebre padrino di Cosa Nostra e che fu pubblicato a puntate su L’Ora, dal 5 al 23 novembre 1969.

La casa editrice Mursia ha un duplice merito nell’intraprendere questa operazione. Ripropone all’attenzione del pubblico un giornalista di caratura che viene ricordato più per i casi di cronaca che lo hanno interessato, per la sua morte decretata dalla Mafia, per essere stato una “vittima della lupara bianca”, che per la sua quotidiana opera d’informazione. E ne fa conoscere lo stile giornalistico e la scrittura  che anche i più avveduti lettori (compreso il sottoscritto) non avevano potuto scoprire, se non andandosi a spulciare i suoi articoli negli archivi della Regione Sicilia visto che la testata palermitana ha chiuso definitivamente i battenti nel 2000.

La vita di Mauro De Mauro non è meno intensa e densa di avvenimenti della sua scrittura che per molti aspetti ne ricalca lo stile.

Nato a Foggia nel 1921, sostenitore convinto del fascismo, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale s’arruolò volontario. Militò nella Xª MAS e, dopo l’8 settembre 1943, aderì alla Repubblica di Salò. Arrestato a Milano dagli alleati nell’aprile 1945 e internato prima a Modena e poi nel campo di Coltano, riuscì a evadere e a raggiungere Napoli dove rimase per due anni sotto falsa identità.

Nei processi per collaborazionismo fu prima condannato in contumacia, poi assolto per “mancanza di prove”, dalla Corte d’Assise di Bologna, poi infine assolto per non avere commesso i fatti addebitatigli con sentenza definitiva della sezione 2a penale della Corte suprema di Cassazione l’8 marzo 1949 (difensore Filippo Ungaro), registro generale 3056/48, come puntigliosamente fa rilevare il fratello Tullio De Mauro, famoso linguista, nell’intervista che chiude il libro.

Trasferitosi a Palermo lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L’Ora. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970, quando venne rapito la sera del 16 settembre, si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all’incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.

Il suo corpo non venne mai ritrovato.

La conferma della sua uccisione venne data negli anni seguenti dal resoconto di alcuni pentiti di mafia tra cui Tommaso Buscetta e Francesco Di Carlo.

Secondo le dichiarazioni di Francesco Di Carlo, De Mauro fu ucciso perché venne a conoscenza del fatto che il principe Junio Valerio Borghese stava pianificando un colpo di stato, il cosiddetto Golpe Borghese.

De Mauro e Borghese erano ottimi amici. Ma De Mauro era anche amico del boss italo-americano Nick Gentile, con cui scambiava notizie e confidenze. Di certo, De Mauro aveva appreso che la Mafia era stata contattata da Borghese per favorire il golpe in cambio di una sostanziale revisione dei processi giudiziari in corso e ne aveva chiesto conferma ad un potente esponente mafioso dell’epoca Vito Guarrasi.

Una vita, come si vede, breve, intensa, costellata di amicizie, spesso pericolose. Una vita fatta di curiosità, condita dal desiderio di essere al centro degli avvenimenti, senza l’arroganza di considerarsi protagonista, e padrone della propria vita, vissuta con uno stile da acuto osservatore che si trasferisce di pari passo nella sua scrittura giornalistica, che prepotentemente affiora in questo Lucky Luciano.

De Mauro, nel raccontare Lucky Luciano mette in campo tutte quelle caratteristiche che hanno profondamente inciso sulla sua vita.

La curiosità. Che gli fa intuire, a partire da un indizio o da una breve conversazione, che la notizia è a portata di mano, in qualsiasi luogo, nei bar, negli atri dei teatri, al’angolo della strada.

Sempre le orecchie pronte a captare qualcosa che si condensa quasi involontariamente nell’aria: «Non ricordo come, una sera di quest’ultimo settembre il discorso cadde su Lucky Luciano. Era l’aperitivo, all’imbrunire». Nasce così il percorso che può portare, da una chiacchiera confidenziale, alla notizia.

È curiosità frammista all’umile consapevolezza che il giornalista non è un autore, un romanziere, ma solo un’antenna pronta a ricevere e ad amplificare la notizia di cui viene in possesso. È proprio questa la caratteristica più significativa di De Mauro che si può percepire in Lucky Luciano. Lo stile è sempre asciutto, scarno, giornalistico appunto nell’enfatizzazione dei fatti, ma non è mai sciatto.

Spesso la cronaca giornalistica, proprio perché troppo banale e insignificante nel suo stile, si riduce a mera elencazione. Una cronaca che, se va bene, è connessione logica tra un accadimento e un altro. In De Mauro, la cristallina descrizione dei fatti, è pura sobrietà stilistica, è necessaria riduzione di sintesi, tesa alla comprensione completa. È stile rigoroso e condensato al servizio del lettore. E proprio perché non è alla ricerca di uno stile, ne codifica involontariamente uno proprio: un’elegante asciuttezza che fa percepire le sfumature e le ombre in un procedere solare.

In fondo utilizzare uno stile ridondante sarebbe stato facile per descrivere una vita così carica di episodi e di eccessi come quella di Salvatore Lucania in arte “Lucky”.

A partire dalla sua andata nelle Americhe, passando attraverso tutti i casi che gli permetteranno di scalare i gradini della piramide, per finire con la galera, l’estradizione, il tramonto in Italia, attraverso episodi incredibili che lo legheranno alla leggenda criminale che parla di collaborazioni col governo degli USA prima per evitare sabotaggi in terra statunitense e poi per favorire lo sbarco delle truppe americane nell’ultimo conflitto mondiale, è tutto un fiorire di episodi.

Quello che ne risulta è un racconto lucido e circostanziato, vivido negli sprazzi anedottici, come quando in un incontro del boss con il giornalista a Palermo, gli viene suggerito da Luciano: «Non scriva niente, non ne vale la pena. Se Lei va a Milano i giornali che fanno scrivono che Lei è a Milano?».

Una pennellata per illustrare un intero mondo malavitoso fatto di ammiccamenti, di buoni rapporti con i giornalisti e cordialità formali, ma anche di messaggi trasversali travestiti da battuta amichevole.

Credo che la vera cifra di De Mauro che traspare con forza da questo Lucky Luciano sia proprio questa. Attraverso rapide frasi, quasi colloquiali, sempre improvvise, quasi lampi nella notte, con un lessico ridotto all’osso e uno stile che sa tanto di bianco e nero (come nei migliori film noir del resto) De Mauro riesce a ricostruire una trama che non è solo la vita di Luciano ma un pezzo d’America, uno scenario malavitoso sospeso tra bella vita, donne, crimine e rapporti stretti con gli eccellenti dell’epoca.

Non si spiegherebbe altrimenti la vita sfarzosa e sotto i riflettori di Luciano se non attraverso un tessuto di politici, poliziotti, imprenditori, uomini famosi, sportivi di grido, tutti piegati alla volontà del boss.

Boss, la cui vita viene ricostruita fin da quando era bambino e con il padre emigrò all’età di 10 anni negli USA diventandone il pericolo pubblico numero uno.

De Mauro, con occhio sornione, osserva e descrive, talvolta con una certa accondiscendenza che non è mai tentativo di scusare ma sempre di capire: «E allora, piuttosto che nascondere a noi stessi il triste fenomeno, riteniamo sia più opportuno affrontarlo coraggiosamente. Per cercare di scoprire come, dove, quando alcuni – pochi, per fortuna – delle centinaia di migliaia di onesti lavoratori emigrati in America, sono entrati nel giro del crimine. Perché riteniamo che la matrice del delitto organizzato non sia la terra di provenienza, ma la violenta società d’Oltreatlantico della quale, in molti casi, i nostri schedati dall’FBI sono stati e sono vittime indifese. Con questo spirito abbiamo raccolto molti interessanti episodi della storia di Salvatore Lucania, emigrato da Lercara all’età di 10 anni».

Una capacità pittorica che scaturisce da una tecnica minimalista fatta, come dicevo, di abili tratti in bianco e nero che nel loro limpido nitore permettono la ricca ricostruzione di un intero periodo attraverso un uomo che nel bene o nel male ha caratterizzato un’epoca.

Leggendo la prosa di De Mauro, mi sia concesso l’accostamento, mi è tornato in mente Guareschi, lo scrittore accusato da lUnità, il giorno della sua morte, di non essere mai nato, proprio perché non ritenuto scrittore. Il suo vocabolario, dicevano, comprendeva sì e no centocinquanta parole, troppo scarso per uno scrittore. Ma con quei centocinquanta vocaboli Guareschi fu capace di inventare un intero mondo pulsante e pieno di fascino.

De Mauro ha la medesima qualità: con poche secche frasi fa rivivere, anche oggi che lo leggiamo a distanza di tanti anni, quel mondo malavitoso e quel boss con «l’aspetto da zio buono» con una forza vibrante sconosciuta a tanti suoi colleghi di ieri e di oggi.

Che una simile lezione rischiasse di essere completamente dimenticata gridava vendetta.

Merito di Mursia aver evitato un simile scempio.