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La Ue a caccia di “terre rare”

di Pamela Chiodi - 15/02/2011


La Cina ha limitato l’esportazione dei preziosi minerali, di cui detiene quasi il monopolio, e i Paesi europei provano a rifornirsi in Africa. Facendo affari coi miliziani sanguinari del Congo e del Ruanda



Lo chiamano “incubo dei bloody phone”, ovvero dei cellulari insanguinati. E l’Unione Europea potrebbe farne parte. Lo scorso due febbraio la Commissione Industria e Sviluppo ha approvato un nuovo piano di sviluppo per le imprese europee. Potranno investire nella Repubblica democratica del Congo, in Sudafrica, in Ruanda e in Congo.

Come ha affermato Antonio Tajani, il vicepresidente della Commissione Industria, è stata una scelta necessaria per «far sì che l’industria europea possa continuare a svolgere un ruolo da leader nel mercato dell’innovazione». Un primato che ha subìto un duro colpo in seguito alla decisione della Cina di limitare le esportazioni delle cosiddette “terre rare”, vale a dire di quei materiali necessari allo sviluppo del settore tecnologico. La riduzione delle forniture ha già abbastanza danneggiato le imprese europee. Che ora devono rivolgersi altrove. In Africa, per l’appunto. Precisamente in zone devastate e tuttora insanguinate dai conflitti. Ma non importa. È “solo” un piccolo particolare che diventa insignificante di fronte ad un’esigenza impellente: «l’industria. La competitività delle nostre imprese. È un tema centrale nel quale convergono temi economici e sociali, manifattura e posti di lavoro», afferma Tajani che poi diffonde il solito “terrorismo psicologico”. «Abbiamo ricevuto l’allarme dall’industria di tutti i Paesi europei, da ogni settore produttivo: l’approvvigionamento di materie prime da Paesi extraeuropei sta diventando sempre più difficile e costoso. Così abbiamo deciso di intervenire, anche perché bisogna difendere il settore manifatturiero, riportare l’industria al centro dell’economia, perché è lì che si fa la politica sociale e che si creano i posti di lavoro. Abbiamo stilato l’elenco di 14 materie prime che sul mercato presentano criticità d’acquisto; sono elementi di base spesso essenziali per produzioni avanzate. Di queste, otto sono, di fatto, monopolio cinese. A cominciare dalle terre rare, che per il 97% provengono dalla Cina: si tratta di minerali essenziali all’industria dell’energia, per la produzione di lampadine, di televisori, di strumenti biomedicali, di pannelli solari etc...» 

L’ex ufficiale dell’Aeronautica Militare Italiana Tajani dimentica di aggiungere il settore della Difesa che per il suo sviluppo dipende, letteralmente, dalle terre rare. Con quei minerali si costruiscono aerei di nuova generazione, missili, radar, sonar, visori notturni, sistemi di telecomunicazione ed ottici, sensori e dispositivi vari. Non sono, quindi, dei materiali qualsiasi da utilizzare esclusivamente per la produzione di cellulari, televisori al plasma, satelliti, pale eoliche e pannelli solari, come invece vorrebbe far passare Trajani. Sono dei materiali strategici. E la precisazione non è di poco conto. Soprattutto se si considera il settore della Difesa europea che nel 2009 ha raggiunto la cifra record di 40,3 miliardi di euro in autorizzazioni all’esportazione di materiali bellici. Con un incremento rispetto all’anno precedente del 20,1%. E gli armamenti prodotti sono destinati soprattutto ai Paesi del Sud del mondo. Ma non basta. 

Il segretario generale della Nato Rasmussen si è recentemente lamentato per il taglio delle spese militari degli Sati europei appartenenti all’Alleanza atlantica.  «Parliamo di 45 miliardi in pochi anni, l’equivalente dell’intero bilancio annuale della difesa in Germania». L’Unione Europea, scegliendo di investire nei paesi africani del Congo, Sudafrica e Ruanda dove sono presenti le “terre rare” sembra aver risposto alle necessità della Nato. Poco importa se non ci sono controlli nelle miniere né nella filiera estrattiva, anche se le informazioni necessarie potrebbero basarsi su un semplice dato di fatto. Nell’ex Zaire, in Congo e in Ruanda i miliziani locali controllano tutto, compreso il commercio e le miniere stesse. È per questo che giornalisti come Nicholas Kristof, specialista in guerre africane e vincitore di due premi Pulitzer, hanno definito il ventunesimo secolo come «l’era dei bloody phone». Sul New York Times, Kristof oltre a descrivere la sua esperienza in Congo ha ricordato che «molti minerali sono estratti a caro prezzo: vite umane, schiavitù, violenze. In Congo ho visto donne mutilate, bambini costretti a mangiare la carne dei genitori, ragazzine violentate in nome del tantalio (un metallo utilizzato soprattutto per le turbine degli aerei militari e in componenti per l’informatica - Ndr)». Un prezzo che l’Unione Europea sembra essere disposta a pagare.