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Ogm, non solo olio di soia

di Paola Rinaldi - 23/02/2011

Fonte: Agernova


Oltre trenta organismi geneticamente modificati vengono normalmente importati

                         

Qualche giorno fa i volontari di Greenpeace avevano scovato in Puglia due oli prodotti con soia geneticamente modificata a marchio Dentamaro. La notizia aveva scombussolato l’Italia, facendo nuovamente scattare l’esortazione ai consumatori a cercare sempre eventuali presenze di Ogm nei prodotti da utilizzare in cucina. “Olio di semi Ogm. E tutto il resto?” si domanda Giuseppe Altieri, agroecologo dell’Accademia mediterranea per l’agroecologia e la vita Agernova (www.agernova.it), che ha immediatamente lanciato un appello per bandire Ogm e pesticidi dalle nostre tavole. In particolare, sarebbero oltre trenta gli organismi geneticamente modificati normalmente importati per l’alimentazione umana e animale in Italia: trenta tipologie di nutrienti con un patrimonio genetico artificiale ottenuto in laboratorio (combinando parti di Dna, con lo scopo di renderli più resistenti ad avverse condizioni climatiche, parassiti, pesticidi, ma anche migliorarne le proprietà nutrizionali o la conservazione).  

Nessuna autorizzazione. “Nessuno di questi Ogm è stato autorizzato con il voto a maggioranza dell’organo competente, cioè il Consiglio dei Ministri europeo – commenta Altieri – per cui non si comprende come prodotti pericolosi per la salute e l’ambiente possano essere introdotti nell’alimentazione umana ed animale contro il principio di precauzione e dei diritti inviolabili alla salute e all’ambiente tutelati dalla Costituzione”. Non tutti sanno che il regolamento 1823 del 2003 ha introdotto le cosiddette “soglie di tolleranza” per gli Ogm, al di sotto delle quali non esiste l’obbligo di indicarne la presenza in etichetta. In questo modo, qualunque persona può ingerirne fino a 9 grammi per chilogrammo di cibo consumato in maniera del tutto inconsapevole. “Questo viola il principio di libertà di scelta del consumatore e il diritto alla corretta informazione, anch’essi costituzionalmente tutelati” si oppone Altieri.

Come tutelarsi. Di fronte alle soglie di tolleranza consentite per legge, un consumatore non ha modo di tutelarsi di fronte a un acquisto. “L’unico sistema per essere sicuri di portarsi a casa prodotti privi di Ogm – consiglia Altieri – è quello di scegliere esclusivamente quelli su cui l’etichetta ne assicura l’assenza, come ‘Ogm free’ o ‘Non contiene Ogm’, privilegiando sempre il 100% Made in Italy”.

Libertà di scelta. “Nessuno può imporre gli Ogm all’Italia – tiene a sottolineare Altieri – Il diritto in materia di ambiente e salute non è delegato a nessun trattato internazionale, ma rimane appannaggio delle Costituzioni dei singoli Stati membri; nel caso dell’Italia, la disciplina sta negli articoli 9 e 32 del nostro ordinamento”. Questo significa che nonostante le soglie di tolleranza, l’Italia – come qualunque altro Paese – potrebbe decidere di adottare un livello di sicurezza superiore e vietare del tutto la presenza di organismi geneticamente modificati all’interno dei prodotti in commercio. “Purtroppo la clausola di sicurezza nazionale viene spesso applicata a livello nazionale, mentre è stata messa da parte in ambito di importazioni”. Teniamo conto che l’Efsa – l’ente che deve garantire la sicurezza alimentare – basa i suoi pareri scientifici (non vincolanti) sui dati forniti dalle aziende produttrici di Ogm, proprietarie dei brevetti, e non di ricerche indipendenti. “Come chiedere all’oste se il vino è buono” commenta Altieri.

Questione pesticidi. Le singole Costituzioni nazionali dovrebbero riferirsi all’applicazione rigorosa del cosiddetto “principio di precauzione”, cioè dell’esclusione di ogni rischio per la salute e l’ambiente su ogni nuova tecnologia proposta per il commercio. “Principio giuridico troppo spesso scavalcato da procedure troppo permissive, non solo in materia di Ogm – sottolinea Altieri – ma anche, ad esempio, di pesticidi, senza tenere conto del criterio di ‘comparazione’, ovvero dell’inutilità di queste tecnologie, facilmente sostituibili con quelle ecologiche”. Oggi l’agricoltura biologica, riferisce Altieri, è sostenuta con oltre 200 miliardi di euro provenienti dalla Comunità europea attraverso i Piani di Sviluppo Rurale delle regioni 2007-2013. “Questi finanziamenti sarebbero sufficienti a riconvertire in biologico gran parte dell’agricoltura europea. In Italia, abbiamo circa 20 miliardi di euro disponibili – riferisce Altieri – Ma, ormai da almeno quindici anni dall’avvio delle misure agroambientali europee nel 1992, le regioni scoraggiano le adesioni degli agricoltori alla produzione biologica, riducendo in maniera arbitraria i relativi pagamenti agroambientali e inserendo misure concorrenziali non conformi, come l’agricoltura integrata”.

In cosa consiste l’agricoltura integrata? “Secondo le norme dovrebbe prevedere la sostituzione prioritaria dei pesticidi chimici di sintesi, mentre in realtà oggi rappresenta un semplice elenco di pesticidi chimici ammessi in quantità molto superiore al normale uso in agricoltura convenzionale”. Questa distrazione di fondi, conclude Altieri, è in contrasto con gli obiettivi comunitari che prevedono il potenziamento dell’agricoltura biologica, in particolare nelle aree intensive e per le colture ortofrutticole, dove forte è l’uso della chimica ed è necessario aumentare i pagamenti agroambientali per compensare gli impegni degli agricoltori biologici. “Il risultato di questa politica regionale distorta è che, mentre in nord Europa l’impiego di pesticidi chimici è stato drasticamente ridotto già dalla fine degli anni Novanta, in Italia le vendite di pesticidi di sintesi e le loro quantità di impiego sulle superfici coltivate convenzionali sono continuate ad aumentare”.