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René Guénon, maestro di... tolleranza

di Marco Iacona - 26/04/2011

Fonte: scandalizzareeundiritto


 
René Guénon è un autore maledetto? A sessant’anni dalla morte (avvenuta a Il Cairo il 7 gennaio del 1951), è d’uopo porsi ancora una domanda che dà per assodate le vere ragioni della presunta maledizione? Precisiamo, allora: Guénon “maledetto” perché di destra? Di una “destra” che nega le ragioni positive della storia, le conquiste del genere umano (o politicamente: dei popoli) e riversa il negativo nel positivo, calpestando le forme più elementari del sapere scientifico? Di una destra né conservatrice né reazionaria, ma tout court nemica delle fenomenologie del mondo, a partire da uno “stato di cose” perso nella notte dei tempi, peraltro già contenuto nelle regole di una ontologia della regressione?
La pensa così Umberto Eco, la pensano così coloro che vedono in Guénon e in Evola e nei cosiddetti difensori della Tradizione, i nemici dello Stato moderno, ovvero lares publica e dei caratteri che lo fondano: libertà e eguaglianza. E a nulla vale la giustificazione che Guénon è autore impolitico per eccellenza, perché è giusto dire con Massimo Cacciari che qualunque pensatore, volente o nolente, è anche “utilizzabile” politicamente, essendo il destino della polis uno dei centri fondamentali del suo cogitare. In proposito, ci viene in mente la frase di Louis Pauwels, rozza ma esemplare; è l’approccio prediletto da certa intellettualità ai maledetti di una singola epoca: il nazismo? Altro non è se non la somma dei carri armati tedeschi e di René Guénon. È una stupidaggine quanto al contenuto (è una sintesi che fa a pezzi la sostanza e la storia), anche se c’è chi le ha dato credito, ma verosimile nella sua forma astratta.
Tutt’altro percorso, invece, per Giano Accame che va in direzione certo più credibile rispetto a Pauwels. In un periodo di furori dentro e fuori casa nostra, cioè nel Sessantotto, il direttore del Secolo della fine degli anni Ottanta, rivaluta Guénon e con lui Evola e von Salomon, autori della sua formazione giovanile, proponendoli come predecessori dei “miti” della contestazione globale, cioè di Adorno, Marcuse e Guevara. Accame, attento ai contenuti, tenta anche di affrancare da un’“esoterica” (seducente?) oscurità non solo Guénon e gli altri, ma anche gli stessi giovani missini, cioè i “figli del sole”, protagonisti/ribelli dei primi anni del secondo dopoguerra. Per Accame, i temi trattati sia dalla generazione ante litteram dei “sessantottini di destra” (il linguaggio è simile a quello utilizzato da Antonio Carioti ne Gli orfani di Salò), sia dai sessantottini della “nuova sinistra” sono più o meno gli stessi. C’è negli uni e negli altri un “anti-modernismo” che isola dal “mondo moderno” e che induce, per esempio, a non accettare gli elettrodomestici, la pubblicità e i mass-media, cioè le espressioni chiare ed evidenti della contemporaneità. Un anti-modernismo che spinge a guardare altrove, insomma. Per Accame, la somiglianza «nei temi di protesta», fra destra e nuova sinistra, è stata anche «ricostruita artificialmente, con un plagio, dai pensatori a cui la nuova sinistra si richiama». Marx ed Engels, per Accame, sembrano pescare da de Maistre, Adorno invece riprende gli argomenti di certa «critica reazionaria». Marcuse (pur appartenendo alla stessa scuola di Max Horkheimer e Adorno e dunque «dicendo presso a poco le stesse cose»), gode di un momento di «grande fortuna» solo perché «ha il vantaggio di essere più volgare e involuto». In fondo, il suo L’uomo a una dimensioneriprende la polemica dell’estrema destra spiritualistica contro la democrazia «edonistica e la finta libertà che ci riserva». Le asserzioni di Marcuse, infine, potrebbero benissimo stare in bocca a Guénon, a Evola o a un cattolico integralista...
Con buona pace dei sostenitori della pericolosità del maestro di Blois (e degli appartenenti alle scuole più ortodosse), nelle affermazioni di Accame c’è il Guénon del “futuro”, non già il teorico dei partiti unici a guida “carismatica”, ma il critico del pensiero “comune”, delle sue basi essoteriche, “volgari”, logico-razionali e del docente o filosofo-pedante. Guénon è l’uomo che spinge all’approfondimento in chiave spirituale: dai libri sacri alla religiosità meno conformista, dai “test” contemplativi fino alle aperture “pop” di Franco Battiato. Parallelamente è l’uomo della “saggezza”, e chi si professa guénoniano (e moderato), combatte la faziosità, indaga i principi ultimi in ogni singola tradizione, studia la simbologia, si misura, come il “maestro” con i saperi più disparati e cerca una qualche forma di iniziazione, pur nelle secche del mondo moderno. Guénon non è uomo per adunate oceaniche ma, al contrario, per il dialogo costruttivo; a volte, spinge perfino all’isolamento e alla riflessione solitaria. Saggezza, per Guénon, non è sinonimo di pensiero filosofico, seppur costantemente aperto verso il suo stesso superamento, né di punto di vista esclusivamente religioso. Anzi, qui sta il suo maggior pregio. Il sapere filosofico per Guénon non può e non deve slegarsi da ciò che lo precede: «la conoscenza filosofica non è che una conoscenza superficiale ed esteriore», scrive, ed è solo un «primo grado sulla via della conoscenza superiore ed autentica che è la saggezza», la religione, infine, è legata a «un ordine sentimentale» e nulla ha a che vedere con la metafisica, che è conoscenza per via intellettuale dell’universale, assoluto e illimitato. Inutile dire che conoscenza di carattere metafisico e saggezza, col sovrapporsi del soggetto interessato e l’oggetto “pensato”, rappresentano lo scopo ultimo dell’“indagine” guénoniana.
Altro pregio di Guénon è quello di aver guidato fin dalla scoperta italiana, avvenuta negli anni Venti del primo fascismo, all’interno del periodico esoterico e massonico Atanòr e poi attraverso l’interessamento di quello che può considerarsi il suo “allievo” per eccellenza, Evola, all’apertura verso le culture non riconducibili all’“ortodossia” occidentale. Non solo con la sua conversione, meno che trentenne all’Islam, nel 1912 (sedotto com’è, dal sufismo), ma per la preminenza assegnata all’Oriente contemplativo rispetto all’Occidente razionale e materialista. Di quest’ultimo Guénon si spinge a scrivere che incarna «l’esatto opposto del pensiero puro»; del primo, invece, che ben rappresenta la vera intellettualità: «per la quale non c’è conoscenza vera e valida se non quella che ha le proprie radici profonde nell’universale e nell’informale». Un maledetto? Vessillifero del pensiero critico, Guénon riflette sulle fondamenta dell’Occidente e sul suo contrario: l’Oriente. Senza dismisure, senza nemici implacabili. Educando non al disprezzo, semmai alla tolleranza. Alla cautela.