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Thor, tra Hollywood e i miti germanici

di Roberto Alfatti Appetiti - 01/05/2011



Parliamoci chiaro: sei un Dio e per di più erede al trono. Di Asgard, mica di Monaco. Hai un martello che fa cose che noi umani non potremo mai permetterci. Che eserciti di scienziati, foss’anche guidati da Steve Jobs, non potrebbero mai regalarci. Sei cresciuto accanto a una guerriera come Sif – interpretata dalla bellissima Jaimie Alexander – che per te dice una delle frasi più belle del film: «Oggi morirò per te, ma di questa battaglia si narrerà per sempre». E tu che fai? Vai a innamorarti di una mortale, di un’intellettuale svagata e in evidente crisi ormonale, di una Natalie Portman qualsiasi che tra una manciata d’anni ti si accartoccerà tra le mani? 

Inverosimile, sarebbe come se una parlamentare s’innamorasse di un precario piuttosto che di un palazzinaro. Era così difficile rimanere tranquillo e aspettare che Odino – che stravede per te – si decidesse a passarti il comando? Insomma, potevi vivere una tranquilla vita da Alfano e invece, quando sei a meno di un metro dal traguardo, hai fatto peggio di Carlo d’Inghilterra e Alberto di Monaco messi insieme. Ti sei messo a rovesciare tavoli, letteralmente. Hai radunato un gruppo di semidei, di eletti amici tuoi, per dichiarare guerra a vicini di casa dal poco rassicurante aspetto di Giganti di Ghiaccio.
Legislatura a rischio, proprio come la tua ricandidatura a Dio del Tuono. «Ha disobbedito al suo Re. Il suo destino è nelle sue mani ora!», tuona – per l’appunto – il babbo. E scatta così l’esilio in uno dei più dimenticati consigli comunali dello spazio: il pianeta Terra, da sempre refugium peccatorum per ogni sorta di supereroe extracomunitario caduto in disgrazia. Arrivando nelle nostre sale dopo Spiderman, Superman, i Fantastici 4, Batman, Hulk, Wolverine e Iron Man. Persino dopo Dylan Dog. Praticamente buon ultimo. Valeva la pena aspettarti, tuttavia. Certo, vederti comparire sullo schermo con la fisicità inespressiva del bambolone australiano Chris Hemsworth ci ha un tantino spiazzato. Perché per noi che negli anni Settanta eravamo tuoi avidi e ammirati lettori, eri e rimani un mito inarrivabile, niente a che vedere con i tuoi “colleghi” mutanti: umani, troppo umani per piacerci fino in fondo. Eroe d’inchiostro anche tu, naturalmente, ma con una “storia” alle spalle che affondava le sue origini nella religiosità della Germania precristiana, in un Nord tanto distante quanto suggestivo per bambini cresciuti senza Google, Playstation e ammennicoli tecnologici di alcun genere. Una fascinazione che negli anni successivi, quando ci siamo fatti ragazzi, si sarebbe tradotta in letture appassionate.
Diciamocelo: una trasposizione cinematografica di Thor era operazione assai più complessa del portare sul grande schermo uno dei tanti supereroi della Marvel. E Kenneth Branagh – non a caso regista shakespeariano – l’ha portata a termine in maniera eccellente, coniugando brillantemente il mondo fantastico di Asgard con il polveroso New Mexico, l’epica più classica e impegnativa con la necessaria leggerezza della commedia sentimentale, declinando il mito con ironia e stando attento a non scivolare nella caricatura, rimanendo per quanto possibile fedele al fumetto creato da Stan Lee e Jack Kirby nel 1962 senza dimenticare di rivolgersi a un pubblico più vasto e sicuramente diverso (per non dire esigente) di quello di mezzo secolo fa. Cedendo probabilmente qualcosa alle ferree regole del circo hollywoodiano in cambio di un accettabile compromesso tra la qualità complessiva della pellicola e la sua “godibilità”.
Se la colonna sonora di Patrick Doyle appare più che adeguata al ritmo del film, la prova degli attori è in alcuni casi superba: Anthony Hopkins è, e non poteva essere diversamente, un Odino credibile e carismatico. Perfetto anche Idris Elba nel ruolo di Heimdall, l’inflessibile guardiano del Bifros (il ponte che da Asgard porta agli altri otto mondi), anche se non sono mancate sciocche polemiche sull’opportunità che un asgardiano fosse di colore. Tom Hiddleston dà spessore all’ambiguo Loki, fratello/fratellastro di Thor, offrendo alla trama, per quanto elementare, un antagonista all’altezza del protagonista – per certi versi meno prevedibile, più sfaccettato e paradossalmente più interessante – in grado di offrirci le giuste aspettative per il sequel.
Chi non ha avuto la pazienza di aspettare che finissero i titoli di coda (interminabili!) lo ha visto sconfitto, inghiottito nello spazio e pianto (senza tante lacrime, a dire il vero) dai familiari. Chi, invece, è rimasto in sala, malgrado le luci accese e l’incresciosa prassi di mostrare il film senza la rigenerante pausa dell’intervallo, se l’è ritrovato davanti: con minacciosa determinazione a prendersi la rivincita. E che rivincita sia.