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Un uomo esposto alla gogna mondiale per la gioia del giustizialismo femminista

di Francesco Lamendola - 18/05/2011



Non era mai successo prima che un uomo accusato di gravi reati sessuali fosse ripreso dalle televisioni mentre, ammanettato, viene condotto in carcere e, poi, mentre ascolta, in tribunale, la decisione di un giudice federale americano di rifiutare la libertà vigilata.
Che, poi, quell’uomo sia un potente; che sia il direttore del Fondo Monetario Internazionale; che fosse, inoltre, il quasi certo candidato socialista alle prossime elezioni presidenziali francesi, previste per il 2012 - un candidato pericolosissimo per Nikolas Sarkozy, visto che lo ha sempre surclassato in tutti i sondaggi: tutto questo funge da enorme amplificatore della boccaccesca vicenda e si può dire che ha stroncato fin da subito la promettente carriera politica di questo economista che si apprestava a volare in Europa per discutere con Angela Merkel e altri capi di Stato dell’Unione Europea la delicata questione della crisi finanziaria della Grecia e del Portogallo.
Gli agenti dell’F.B.I. lo hanno arrestato a bordo dell’aereo, a pochi minuti dalla partenza; lo hanno costretto a scendere e lo hanno portato direttamente in galera, come un volgare malfattore, secondo il copione dei peggiori film televisivi americani, tipo «Starsky e Hutch» o «Sulle strade della California».
Dominique Strauss-Kahn ora rischia qualcosa come 74 anni di galera (sì, avete capito bene, settantaquattro anni) per sette distinti reati sessuali: perché il codice penale statunitense distingue, cataloga, puntualizza, con calvinistica acribia, fin nei minimi particolari, la varie fasi della presunta aggressione sessuale e ce n’è veramente per tutti i gusti, dal rapporto orale, al tentativo di sodomizzazione (e la sodomia è un reato in molti stati degli U.S.A., a New York è una aggravante rispetto ad altri reati, come lo stupro), e via di questo passo; il che, per un uomo di sessantadue anni, equivale all’ergastolo e ce n’è ancora d’avanzo.
La misteriosa cameriera afroamericana trentaduenne Ophelia, considerata dagli inquirenti “persona molto affidabile” e, dai suoi superiori dell’Hotel Sofitel nel cuore di Manhattan, “una impiegata modello”, simile a un Moloch assetato di sangue, può godersi la sua vendetta: dopo essere stata aggredita da un Satiro schizzato fuori, nudo, dalla doccia ed essere stata rovesciata sul letto e sottoposta alle peggiori sevizie, come in uno «Psycho» alla rovescia (nell’originale di Hitchcock, era la donna a venire aggredita mentre si stava facendo la doccia), il suo violentatore sta subendo una gogna mediatica, e non solo mediatica, che avrebbe distrutto materialmente e moralmente chiunque: stravolto, umiliato, con la barba lunga, il brillante futuro presidente francese non è più che l’ombra di se stesso, politicamente e umanamente distrutto (“merce avariata” nel gergo spietato della politica).
Giocano contro di lui certi precedenti sessuali che, sebbene non tali da configurare reato e comunque generosamente perdonati dalla moglie, ora sono stati sollecitamente rievocati dai media per inchiodarlo al cliché del violentatore recidivo, del bruto impenitente che si merita davvero una lezione coi fiocchi, visto che non la smette con il vizietto vergognoso di dar noia alle belle donne formose (si dice pure che nello stesso Sofitel Hotel ci avesse già provato, un anno fa, con un’altra cameriera: proprio un tipo incorreggibile).
Fatto sta che, dopo aver fatto girare per tutto il mondo le immagini della sua umiliazione, il procuratore distrettuale di Manhattan era, guarda caso, una donna: una donna seriosa e asessuata, assolutamente corretta nei modi e nell’abbigliamento, tipica donna in carriera che applica la legge senza guardare in faccia nessuno, ma che - si vede lontano un miglio - non sta nella pelle per la gioia di aver sottomano un odioso esemplare di maschio arrogante e stupratore, da strapazzare a dovere; una arcigna femminista puritana cui non sembra nemmeno vero di poter sfogare su un bersaglio così ideale il suo duplice delirio di onnipotenza: come donna che si prende la sacrosanta vendetta sul maschio odioso, e come giudice che sa di poter esercitare un potere tirannico su chiunque, anche su un cittadino straniero che, oltretutto, è un pezzo grosso dell’economia e della politica internazionale.
Tutto ciò la fa sentire terribilmente “giusta”, terribilmente severa, terribilmente inesorabile, ma anche ineccepibilmente corretta (beata ipocrisia bacchettona) quando rifiuta all’imputato la libertà su cauzione, press’a poco come deve sentirsi il Dio dell’Antico Testamento che considera abominio i peccatori di Sodoma e Gomorra e decide di sterminarli con il fuoco, di cancellarli dalla faccia della Terra.
Di nuovo, sembra di assistere a un mediocre telefilm americano, tipo Perry Mason, dove il pubblico trattiene anche il fiato e il giudice togato, che si sente il depositario della giustizia di Dio in Terra, poco meno di un Dio egli stesso, con sussiego pretesco emette la sentenza e con cipiglio da sbirro fa tremare i comuni mortali, dall’alto del suo seggio, allorché con un semplice cenno degli occhi ordina agli sbirri di cacciar fuori chi osa soffiarsi il naso, mostrando poco rispetto per la maestà della giustizia del popolo sovrano.
E così, anche la procuratrice di Manhattan ha avuto il suo momento di gloria, a beneficio delle telecamere che riprendevano, con la sua inusuale tolleranza, quella scena destinata a fare, in poche ore, il giro del mondo, per mostrare quanto sia inflessibile e incorruttibile il sistema giudiziario della migliore democrazia che esista sul globo terracqueo; un sistema così pesantemente moralista da raddoppiare la pena allo stupratore, se questi ha usato violenza a una donna prendendola da dietro anziché davanti. 
Né la impeccabile procuratrice si è lasciata sfiorare minimamente dal sospetto, poverina, di essere solo l’utile idiota di un complotto politico volto a distruggere Strauss-Kahn, un complotto che parte da lontano, forse dallo stesso Eliseo, ma che potrebbe anche aver trovato compiacenti complicità dalle parti della Casa Bianca.
Il desiderio di Sarkozy di togliersi di torno il prossimo rivale alle presidenziali potrebbe avere stretto un patto scellerato con quello americano di “dare una lezione” agi Europei, e particolarmente ai Francesi (rei di averli scavalcati nell’operazione in Libia), mostrando loro che non solo i Bin Laden e i Gheddafi, ma neanche gli Strauss-Kahn possono sfuggire alla “longa manus” di Washington, se osano attraversare i suoi disegni (qualcuno si ricorda ancora, da noi, dall’assassinio a Baghdad dell’ispettore Calipari?).
Sta di fatto che, secondo l’avvocato difensore, il suo assistito aveva lasciato l’albergo esattamente un’ora PRIMA del momento in cui la procace Ophelia sostiene di essere stata sodomizzata; un albergo francese, si badi, ove Strauss-Kahn era ben conosciuto e ove era facilissimo, volendo, costruire una trappola per farlo cadere, magari sfruttando anche il pregiudizio derivante dai precedenti inconvenienti di natura sessuale di questo personaggio un po’ strano, di questo socialista che piace tanto ai banchieri.
Ma c’è dell’altro. Strauss-Kahn, uscito dall’albergo, si è incontrato con la figlia, è andato a mangiare con lei (dopo uno stupro anale e con il corpo ancora segnato dai graffi con cui la sua vittima si era difesa?); poi si è accorto di aver dimenticato nella sua camera d’albergo il telefonino cellulare e ha chiamato la direzione, per indicare come custodirglielo; infine si è recato tranquillamente all’aeroporto e ha preso posto a  bordo del velivolo in partenza per Parigi, avendo in agenda un importante incontro relativo alle sue funzioni di direttore del Fondo Monetario Internazionale.
Fra parentesi, è stata proprio la sua telefonata all’albergo Sofitel a permettere agli agenti di polizia, che avevano appena raccolto la denuncia della cameriera negra, di individuare la sua posizione e di precipitarsi all’aeroporto, con perfetto tempismo, per far scendere il pericoloso criminale che cercava di sottrarsi alle giuste conseguenze della sua infame libidine.
È il comportamento di un uomo in fuga, con la coscienza sporca per un delitto appena compiuto?
Ancora.
Se davvero Strauss-Kahn è stato preso da un irrefrenabile raptus erotico, sotto quella doccia nei piani alti dell’albergo per clienti milionari, aveva proprio bisogno di saltare addosso alla prima cameriera in transito, come un qualunque teppista di periferia?
Non gli sarebbe bastato comporre il numero interno della reception e accennare con discrezione che non gli sarebbe dispiaciuto un servizio in camera di tipo un po’ particolare?
O non aveva in agenda qualche numero di telefono di quelle simpatiche signorine compiacenti, che oggi chiamano escort, disposte a riempire la temporanea solitudine di qualche facoltoso viaggiatore o uomo d’affari, per lo spazio di una notte, beninteso dietro generoso compenso?
Oppure, più semplicemente ancora, non gli sarebbe bastato far salire un cameriere, allungargli qualche banconota e pregarlo di procurargli qualche allegra amichetta per farlo sentire meno spaesato nella grande metropoli d’Oltreoceano?
Insomma, e tanto più se Strauss-Kahn è un uomo con un livello ormonale piuttosto effervescente: possibile che non disponesse, grazie al suo portafogli ben fornito e alle sue numerose conoscenze newyorkesi, nonché alla sua lunga esperienza di uomo di mondo, abituato a girare da un continente all’altro, da un albergo di lusso all’altro, di una maniera un po’ meno neandertaliana per levarsi quel benedetto prurito sessuale?
Crediamo che anche un cieco dovrebbe accorgersi che qualcosa non torna, in tutta questa poco edificante faccenda.
Non tornano i conti con l’orologio; non tornano i conti con le telefonate; non tornano i conti col buon senso, soprattutto.
Lungi da noi, comunque, la presunzione di sostituirci al giudice o di anticipare la sentenza: può anche darsi che le cose siano andate come dice la bella Ophelia, nel qual caso siamo pronti a fare ammenda di così maliziose illazioni; in fondo, a questo mondo tutto è possibile.
Ma bisogna proprio dire che, se quel racconto risultasse vero, allora ci troveremmo davanti non solo a un crimine sessuale, ma anche a uno dei più straordinari casi di cretinismo politico e umano di tutto il ventunesimo secolo.
Sia come sia, quel che non ci piace, quel che non convince sono la gogna mediatica, l’enormità della possibile condanna, l’acida correttezza formale con cui un giudice americano, donna, ha trattato un uomo - che forse è colpevole, forse innocente - come il peggiore dei criminali, al punto da rifiutargli la libertà provvisoria perfino dietro il pagamento di una cauzione enorme e perfino alla condizione, proposta dall’avvocato difensore, che gli fosse applicato un bracciale magnetico per poterne seguire tutti gli spostamenti, come non si fa nemmeno con i più feroci killer della malavita  con i capi mafiosi più sanguinari e pericolosi.
Tutto questo dispiegamento di agenti, di codici penali, di giudici gelidamente compassati e inesorabili, di fotografi e giornalisti bramosi di sbattere il mostro in prima pagina, di immortalare la sua barba non rasata, la sua camicia spiegazzata, il suo sguardo torvo e umiliato, sono cose che danno parecchio da pensare.
Nemmeno ai tempi di Jack lo Squartatore si era mai vista una simile messa in scena poliziesca e giudiziaria; e Jack lo Squartatore non è mai stato preso, anzi, non è mai stato identificato neppure alla lontana, nonostante i suoi atroci delitti fra le povere prostitute londinesi.
Ma davvero Strauss-Kahn, il presidente del Fondo Monetario Internazionale, è più brutale e più pericoloso di un tipo come Jack the Ripper?
Oppure, dopo il colpo in Pakistan e l’assassinio di Bin Laden, il delirio giustizialista americano è diventato prorompente, paranoico, inarrestabile?
A chi toccherà domani subire gli umilianti effetti di un tale sfoggio di potenza muscolare e di vendicatività femminista?
Le due cose peggiori della cultura americana, lo spirito da sceriffo improvvisato e il rancore antimaschile delle stagionate, ma sempre assatanate femministe, uscite dai “campus” negli anni successivi al ’68, sono oggi all’ordine del giorno, con licenza di colpire ovunque e chiunque, nei tempi e modi di film come «Intrigo internazionale»: magari con gli agenti speciali che inseguono i farabutti stupratori su per i volti di pietra del Monte Rushmore…