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Come si diventa misantropi (e misogini) e come se ne guarisce

di Francesco Lamendola - 13/10/2011




Come si diventa misantropi, ossia odiatori del genere umano?
E, subordinatamente, come si diventa misogini, cioè odiatori del sesso femminile?
E, soprattutto: come se ne esce; come si fa a ritrovare un minimo di fiducia nel genere umano e un certo grado di stima e simpatia nei confronti del gentil sesso?
Partiamo dalla prima domanda, vale a dire come si diventa misantropi.
Platone, in un celebre passo del «Fedone», così descrive il processo psicologico che conduce alla misantropia (cap. XXXIX; traduzione di Nino Marziano, Garzanti, 1975, 1998):

«”Prima di tutto bisogna stare attenti che non ci succeda qualche guaio”.
“E quale?”, domandai.
“Ce non diventiamo dei misologo, come certo che diventano misantropi. Nn c’è male peggiore che questo di odiare ogni discussione. Misologia e misantropia nascono nello stesso modo. La misantropia nasce quando si è riposta eccessiva fiducia in qualcuno, senza conoscerlo bene, ritenendolo amico leale, sincero, fedele, mentre poi, a poco a poco, si scopre che è malvagio e infido, un essere del tutto diverso. Quando questa esperienza si ripete più volte, specie con quelli che stimavamo più fidati e più amici, si finisce, dopo tante delusioni,con l’odiare tutti e col credere che in nessun uomo  vi sia qualcosa di buono. Non succede così?
“Proprio così”, risposi.
“E non è ingiusto, questo? Non  forse vero che chi si comporta così, evidentemente vive tra gli uomini senza averne nessuna esperienza? Se, infatti, li conoscesse appena, saprebbe che son pochi quelli veramente buoni o completamente malvagi e che per la maggior parte, invece, sono dei mediocri.
“In che senso?”, feci.
“È lo stesso delle cose molto piccole e molto grandi. Credi forse che sia tanto facile trovare un uomo o un cane o un altro essere qualunque  molto grande o molto piccolo o, che so io,  uno molto veloce o molto lento o molto brutto o molto bello o tutto bianco o tutto nero? Non ti sei mai accorto che in tutte le cose gli estremi sono rari mentre gli aspetti intermedi sono frequenti, anzi numerosi?
“Ma certo”, riconobbi io.
“E non credi che se si facesse una gara di malvagità, pochissimi arriverebbero tra i primi?”
“È probabile”, ammisi.
“Altro che”, disse. “Ma su questo punto, non si può fare un parallelo tra le discussioni e gli uomini. Il fatto è che tu hai continuato a discutere ed io ti son venuto dietro. Si può vedervi, invece, una relazione in questo senso, quando uno presta, cioè, troppa fede a una tesi e la ritiene buona senza conoscerla a fondo e poi in un secondo momento gli sembra falsa, a volte anche a ragione, ma a volte a torto, e quando questo gli capita spesso… Tu sai bene che quelli che si perdono in discussioni sul pro e sul contro, finiscono col credersi dei sapientoni e di essere i soli ad avere intuito che niente a questo mondo, e tanto meno le discussioni, è stabile e sicuro e credono che tutto, come nell’Euripo, vada su e giù, senza sosta, senza un momento di tregua.”
“È proprio vero, è così!”, affermai. “Ebbene Fedone”, riprese, “sarebbe una cosa veramente deplorevole se, con tute le tesi vere e sicure che vi sono e vengono riconosciute tali, soltanto per il fatto che ci si imbatte in altre che, pur essendo sempre le stesse, ora ci sembrano vere ora false, si finisse col dare la colpa non a se stessi e alla propria incapacità ma, per la stizza, agli argomenti e si passasse tutta la vita a odiare e maledire ogni discussione privandoci, così, della verità e della conoscenza della realtà.”
“Santo cielo”, esclamai, “sarebbe veramente una brutta cosa.”»

Per Platone, dunque, la misantropia è figlia della delusione; che, a sua volta, è il risultato di un errore di valutazione, o di una serie di errori di valutazione, nei confronti del prossimo.
Il misantropo, egli afferma, è un individuo che si è fidato troppo di amici che ancora non conosceva bene e nei quali ha riversato, incautamente, il tesoro della propria confidenza: scoprendo poi, a sue spese, che essi erano completamente diversi da quel che gli era sembrato, ne è rimasto atrocemente deluso; e, se tale esperienza si è ripetuta più volte, la sua ferita è divenuta immedicabile, recando con sé una disistima e una avversione indiscriminate verso l’intera umanità, come se ogni essere umano non possa essere altro che una creatura malvagia.
Secondo Platone, in tutto questo processo mentale e affettivo vi è un duplice errore, psicologico e filosofico: psicologico, allorché si valuta il prossimo erroneamente e gli si concede una fiducia imprudente e avventata; filosofico, perché da tali amare esperienze, reiterate a causa di una propria incapacità di discernimento, si traggono delle conclusioni troppo drastiche di ordine generale e ci s’immagina che l’intero genere umano sia composto da esseri irrimediabilmente sleali, simulatori e malvagi.
Un ragionamento del tutto analogo, osiamo credere, è ipotizzabile come chiave interpretativa del fenomeno chiamato misoginia: gli uomini che arrivano a nutrire una avversione preconcetta per il sesso femminile altro non sono che degli individui i quali, avendo sofferto più e più delusioni nella loro sfera privata di esperienza affettiva, generalizzano arbitrariamente le caratteristiche della natura femminile e deformano la realtà, vedendo in ogni singola donna un soggetto incapace di lealtà e di bontà, tutto teso a ordire inganni e a preparare colpi bassi nei confronti dell’uomo.
Anche in questo processo, ovviamente, vi è un duplice errore, psicologico e filosofico; anche in esso vi è una incapacità di imparare dai propri sbagli, ad esempio evitando di concedere la propria fiducia in maniera imprudente e di idealizzare eccessivamente l’altra; salvo poi cadere nella esagerazione opposta, quella di denigrare sistematicamente tutte le donne e, quindi, pervenire alla generalizzazione arbitraria di singole esperienze sfortunate, ricavandone delle conclusioni che sorpassano di molto l’ampiezza e la ragionevolezza delle premesse.
Sarebbe come se, dopo aver subito un paio di furti nel paese di X, ne traessimo la conclusione che tutti i suoi abitanti sono dei ladri matricolati, mentre è possibile che noi siamo incappati negli unici due individui disonesti su una intera popolazione di molte migliaia di persone; oppure come se, avendo prenotato una settimana di vacanza nella località di Y e avendo dovuto trascorrerla al chiuso, a causa del maltempo continuo, ne traessimo la conclusione che nella località di Y il maltempo dura trecentosessantacinque giorni l’anno, mentre è possibile che siamo capitati nell’unica settimana di tempo cattivo verificatasi nell’arco dell’intero anno.
Platone ci ricorda che i casi eccezionali sono rari: sono rare le cose grandissime o piccolissime, oppure le cose tutte bianche o tutte nere; la realtà, in linea di massima, è costituita da cose mediocri, nel senso di ordinarie: da persone né completamente stupide, né assolutamente geniali; da animali né giganteschi, né microscopici, bensì di grandezza intermedia; e via dicendo.
Quindi, giudicare che la totalità, o la quasi totalità degli esseri umani, sia costituita da malvagi, è una forzatura dei dati offerti dall’esperienza comune, oltre che dal ragionamento basato sul buon senso; e lo stesso vale allorché ci si immagina che tutte le donne, o quasi tutte, siano perfide, ingannatrici, malevole.
Siamo giunti così alla terza e più interessante domanda: come si esce dalla misantropia e dalla misoginia; come si supera il trauma delle ripetute delusioni e come si fa a riconquistare la fiducia nell’altro, o nell’altra, recuperando un rapporto più equilibrato con  la realtà e rimettendo in circolo le energie affettive che, per paura, abbiamo bloccato in noi stessi, castrando la nostra parte migliore e inibendoci la messa in gioco delle nostre tendenze più generose?
Partiamo da una considerazione preliminare: misantropia e misoginia sono gravissime malattie dell’anima, addirittura mortali: vivere in esse, senza speranza di uscirne, significa trasformare la propria vita in uno squallido e allucinante deserto, popolato da orribili fantasmi sghignazzanti e tormentati da ricordi molesti e da rimpianti amarissimi; uscirne è, pertanto, questione di vita o di morte e non qualcosa di secondario o di accessorio.
Ciò detto, è necessario ampliare la prospettiva e collocare le due patologie, la misantropia e la misoginia, in una prospettiva molto più vasta: esse, infatti, non sono che casi particolari di una malattia di carattere più generale, che è l’incapacità di trasformare le esperienze negative in occasioni di ripensamento e di perfezionamento del Sé.
In genere, tanto il misantropo, quanto il misogino lamentano la propria sfortuna e tirano in balle le circostanze disgraziate che li hanno condotti a fidarsi di persone immeritevoli di tale fiducia: essi, dunque, si sentono vittime di un mondo cattivo; non solo: pensano, più o meno inconsciamente, di essere “troppo buoni” per riuscire ad adattarsi ad una realtà così turpe e a vivere in maniera soddisfacente in mezzo a un branco di lupi (o di lupe), per cui preferiscono tirarsi indietro, isolarsi, alzare barriere protettive fra sé e gli altri.
Una variante di tale atteggiamento psicologico è quella di svalutarsi pesantemente, giudicandosi delle persone di nessun valore: se si è rimasti delusi, se si è stati ingannati e traditi, allora vuol dire che si è persone da nulla, che possono divenire lo zimbello di chiunque; e si trae la conclusione di essere immeritevoli di un destino migliore.
A ben guardare, questa variante non è l’opposto della precedente, ma una sua versione più subdola e sottile; una cosa, però, hanno in comune, che ne tradisce l’identica origine: il rapporto abnorme fra sé e il mondo, l’ipertrofia di un ego che, dopo aver causato sofferenze ed insuccessi nelle relazioni umane, finisce per dispensarsi da qualunque ripensamento costruttivo delle esperienze fatte: nel primo caso, ponendosi al di sopra degli altri, nel secondo, abbassandosi molto al di sotto; ma, in entrambi, non accettando il confronto, sottraendosi alla fatica di lavorare su di sé, giorno per giorno, per interagire costruttivamente con la realtà esterna.
Misantropia e misoginia sono una forma di sciopero permanente, una vendetta postuma e autolesionista, una petizione di principio che non si basa sui fatti, ma sulla loro interpretazione unilaterale e paranoide; entrambe nascondono fragilità, insicurezza, inconsapevolezza, mancanza di autostima e, soprattutto, incapacità di accettarsi e al tempo stesso di migliorarsi.
In ultima analisi, il misantropo e il misogino non si vogliono bene e si aspettano di colmare la propria lacuna affettiva con l’amicizia e l’amore dell’altro: ma nessuno può esserci amico, né amarci come potremmo fare noi stessi; anzi, gli altri intuiscono la nostra mancanza di amore per noi stessi e istintivamente si tengono alla larga da noi.
Talvolta le donne - perché questa è una caratteristica della psiche femminile - si sentono intenerite da tale fragilità e mancanza di autostima e perciò stimolate, nel proprio orgoglio, a fare le consolatrici o persino le salvatrici di questi uomini insicuri e disamorati di se stessi; ma è inevitabile che, prima o poi, si stufino di recitare il ruolo dell’eterna crocerossina e abbandonino l’infelice al suo destino, non senza averlo illuso di aver trovato finalmente la persona giusta e avere con ciò aggravato la sua amarezza e la sua frustrazione.
Questo ci ricorda che non solo è impossibile che noi possiamo trovare qualcuno che ci voglia bene più di quanto siamo disposti a volercene noi, ma è anche impossibile voler bene indefinitamente a qualcun altro che non si vuole bene, perché ciò equivale a portare perennemente sule spalle un peso morto: dobbiamo diffidare delle crocerossine improvvisate e dobbiamo diffidare anche del nostro impulso a fare le crocerossine, perché al fondo di esso possono esservi dei sentimenti assai diversi da quelli che vengono esibiti agli altri e perfino a se stessi. Quanto è complicato il cuore umano!
O forse no? Forse è terribilmente, quasi banalmente semplice.
Forse tutto sta a lavorare su se stessi per imparare a conoscersi: perché chi si conosce non si fa illusioni, né su se stesso, né sugli altri; ma non sarà neppure spinto ad indossare la maschera del cinismo e del pessimismo, che sono frutto della delusione e dell’infelicità.
Ed ecco che il mondo ci apparirà in tutta la sua bellezza; problematica, certo: e tuttavia incantevole.