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Israele prepara una nuova guerra. Contro l'Iran

di Fabio Amato - 10/11/2011



Da anni, le voci riguardanti un attacco aereo all'Iran si alternano con gradi diversi di gravità. In questi giorni in cui si prepara la relazione degli ispettori dell'Agenzia atomica internazionale, queste voci continuano ad ingigantirsi. E' stato il Presidente israeliano Peres, non un'analista internazionale, a mettere in guardia sull'avvicinarsi dell'eventualità dell'attacco aereo israeliano sui siti nucleari iraniani.

Vediamo il perché questa volta le minacce israeliane debbano essere prese tremendamente sul serio, o almeno più di quanto non sia avvenuto in precedenza. Per Israele e la sua compagine al governo mantenere una superiorità strategica conservando lo status ( illegale), ma da tutti conosciuto, di unica potenza nucleare nel medio oriente, è una questione di vitale importanza. La sicurezza dello Stato di Israele e la sua dottrina si fondano sulla propria superiorità militare nell'area. Israele, come dimostra la sua politica di sabotaggio di fatto del processo di pace, privilegia, a garanzia della propria esistenza, la forza, di cui fa sfoggio di tanto in tanto contro nemici molto più deboli.

L'opzione militare, con dei raid che riportino indietro di anni lo sviluppo del nucleare iraniano, è di gran lunga l'opzione che Israele preferisce da tempo. Le stesse guerre in Libano e a Gaza possono essere lette sotto questa lente, ovvero quella della preparazione di un retroterra sicuro, temendo rappresaglie da più fronti e dagli alleati di Teheran, in primis Hezbollah e Hamas, in caso di attacco alle installazioni iraniane. In questo ambito si capisce anche la tempistica e il contesto in cui è maturato l'accordo per la liberazione di Shalit. Hamas stringeva relazioni con l'Iran attraverso la Siria, regime che ospitava i suoi leader in esilio.

Da quando è scoppiata la rivolta in Siria, il regime ha mollato Hamas, che si è rifugiato presso il Qatar, petromonarchia patria di Al Jazeera e che ospita la più importante base militare americana nel Golfo Persico. La Siria è in difficoltà e non in grado di reagire. Hamas, con lo scambio di prigionieri, raggiunge lo status di interlocutore politico a cui aspirava da tempo, magari rinunciando ad intraprendere azioni di rappresaglia in caso di attacco israeliano all'Iran.
Inoltre, Il rapido mutamento in corso nei paesi dell'area potrebbe nel breve periodo, come dimostra la Tunisia, cambiare radicalmente a sfavore di Israele. Meglio quindi per lo stato ebraico approfittare della situazione di transizione che attendere la stabilizzazione di nuovi equilibri politici che di sicuro saranno molto più ostili nei confronti di Israele.