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Afghanistan, 8 pastorelli le vittime del raid. [La NATO: "è colpa loro"]

di Michele Farina - 16/02/2012

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Secondo l'Isaf i bambini «si muovevano in modo tattico»
e avevano misure da adulti: «uno sfortunato incidente»


KABUL - E così erano pastori, le otto vittime del raid aereo di una settimana fa. Avevano dai 9 ai 15 anni (più un diciottenne) secondo gli abitanti del loro villaggio. Però il definitivo e dispiaciuto rapporto della Nato dice che avevano tutti «misure da adulti».

Si diventa grandi (e a volte si muore) in fretta in Afghanistan. E guai a muoversi «in modo tattico» a 600 metri dal tuo villaggio: Gayawa, provincia di Kapisa, nord di Kabul. «In a tactical fashion», così ha detto il generale Lewis Boone, megadirettore delle pubbliche relazioni della forza internazionale Isaf che oggi è sceso in campo di persona per spiegare la strage di mercoledì scorso.

Il risultato dell’inchiesta: i ragazzi con misure da adulti «erano armati e sono stati visti muoversi in terreno aperto in maniera tattica». Cioè? «Mantenendo la distanza l’uno dall’altro». Come fanno normalmente i pastori che spostano le pecore. Chi li ha osservati? Forze sul terreno. Di certo almeno un soldato, un avvistatore. Militari Nato e squadre della polizia afghana stavano effettuando un’operazione anti-talebani, cercando armi e munizioni. «Diversi gruppi di persone sono stati visti in tempi diversi lasciare Gayawa in direzioni differenti».

Uno in particolare ha destato preoccupazione. Quel gruppetto di otto che «dopo 600 metri si sono radunati sotto una grande roccia». A quel punto lo spotter Nato con il binocolo e tutti i gadget in dotazione ha dato l’allarme ed è partita la richiesta per l’intervento dei caccia.

Una bomba ha colpito la roccia, l’altra i ragazzi. Il commodoro Mike Wigstone, capo delle operazioni aeree Nato, ha ribadito che gli otto «giovani afghani» erano armati, riconoscendo del resto «che questo non è inusuale per gli abitanti dei villaggi». Il commodoro Wigstone sostiene che «forse non sapremo mai quello che stavano facendo quel giorno sotto quella roccia». Non dico che fossero talebani. Non sono stati bombardati perché erano talebani» ma perché «abbiamo pensato che fossero una minaccia».

Nel 2011 tremila e ventun civili sono stati uccisi in Afghanistan. L’8% più del 2010. Per cinque anni consecutivi il conto dei morti è salito. Secondo il rapporto diffuso all’inizio di febbraio dall’Onu il 77% delle vittime civili è causato dagli attentati dei talebani. Bombe nascoste per strada, kamikaze. Il 14% è provocato dalla Nato (187 morti), con un aumento del 9% rispetto all’anno scorso. Attacchi aerei soprattutto. Nel caso dei pastori il generale Boone dice che «tutte le procedure sono state rispettate», che intorno agli otto ragazzi «non si vedevano né costruzioni né animali». È stato «uno sfortunato incidente».

Invece Abdul Zahid pensa di sapere cos’è accaduto mercoledì scorso sotto quella roccia. Zahid è di Gayawa, fa il capo della polizia in un distretto vicino. Sotto la bomba Nato dice di aver perso il figlio Ajmal di 12 anni e due nipoti di 9 e 11 anni. Intervistato dalla Reuters ha raccontato che i ragazzi «erano andati come al solito a far pascolare le pecore e le capre fuori dal villaggio. Hanno raccolto un po’ di legna» e poi per scaldarsi (la temperatura scende diversi gradi sotto lo zero) «hanno acceso il fuoco». All’improvviso «alcuni aerei sono arrivati e hanno tirato le bombe. Quando siamo andati a vedere, c’erano gambe e braccia sparse. Solo le teste e i volti erano riconoscibili».

Questa versione è stata confermata dal presidente del consiglio provinciale Hussain Khan Saniani. I ragazzi (compreso un diciottenne con problemi mentali) sono stati sepolti presto, come vuole il rito islamico. La Nato è arrivata sul posto due giorni dopo. Inglesi, americani, francesi (l’area è sotto il comando di Parigi). A chiedere scusa (hanno detto gli abitanti). E a investigare. I familiari hanno mostrato loro foto che secondo la Nato mostrano i resti di individui quindicenni. Ragazzini pastori che hanno commesso l’errore di muoversi «in modo tattico» fino a una grande roccia, in un gelido giorno di febbraio del 2012.