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La Germania e l'economia sociale di mercato

di Mario Bozzi Sentieri - 17/07/2012

 

Ha ragione la Merkel, quando  sostiene – come ha scritto Paolo Majolino (Arianna Editrice, 26.6.2012) -  “che la mutualizzazione del debito è sbagliata, sia dal punto di vista economico che politico e questo le causa tanti epiteti da parte dell'opinione pubblica europea che chiede soluzioni "facili" per risolvere la crisi nell'eurozona, come appunto la mutualizzazione del debito e, fatto più grave e sostanziale, la pressione politica di ‘capi’ di Stato prezzolati (Monti docet) ai potentati economici che intendono acquisire, sempre e comunque, gli utili”.

Ha  uguali ragioni da vendere il sistema socio-economico tedesco, su cui una riflessione più ampia andrebbe fatta, ben al di là di certi “revanscismi” neo-liberisti o del puro tecnicismo finanziario, a cui ci hanno abituato i governi di mezza Europa, Italia compresa,  schiacciati tra  spread  in salita e  bilanci “recessivi”, ma incapaci di darsi una prospettiva economico-sociale di lunga visione.

Si guardi  piuttosto alla sostanza  delle cose, magari con un occhio rivolto verso quello che una ventina d’anni fa si considerava un sistema al tramonto, l’economia sociale di mercato d’impronta renana, a fronte del trionfante modello “neoamericano”, fondato sui valori individuali, la massimizzazione del profitto a breve termine, lo strapotere finanziario.

Risultati recenti ci dicono che lavorare per un progetto partecipativo e di autentica integrazione sociale dà buoni risultati sia per la crescita delle aziende e dunque del benessere dei lavoratori ed il giusto profitto del capitale sia, più in generale, per il sistema- Paese.

Certo è che un nuovo modello di integrazione socio-economica non si improvvisa. Bisogna intanto essere consapevoli della complessità dell’attuale crisi, che è insieme finanziaria, economica, sociale e politica. Bisogna uscire fuori dalla logica degli interventi “d’emergenza”, che alimentano la recessione e la depressione. Bisogna avere ben chiare le direttrici essenziali su cui muoversi, in un attento equilibrio tra rigore e sviluppo, flessibilità e garantismo, capacità di programmazione ed adattabilità.

Rispetto al passato ed ai richiami, spesso formali,  di scuola, oggi la strada vincente è in un mix attento e complesso, che sappia  dare sicurezza (agli investitori, agli imprenditori, ai lavoratori) ed insieme sia capace di collocarsi dinamicamente sui mercati.

Questo ha fatto, negli ultimi anni, la Germania. Ha affrontato, con rigore, i problemi di bilancio (anche con misure impopolari come il taglio delle pensioni e dei sussidi di disoccupazione e la riorganizzazione degli uffici di collocamento). Ha reso più agili le relazioni industriali. Ma – nel contempo – ha   garantito il mondo del lavoro attraverso un rodato sistema partecipativo, grazie al quale il sindacato e attraverso esso i lavoratori hanno sostenuto “dal basso” la fase del rilancio, attraverso un sistema premiante, costruito a livello aziendale e territoriale.

I risultati sono tutti nella crescita “reale” dell’economica tedesca, nella sua capacità di presenza sui mercati internazionali, vecchi e nuovi, in quella competitività di sistema, che rimane il parametro essenziale per determinare lo stato di salute di un Paese, mettendo in primo piano non solo i valori importanti della produzione, ma sostenendoli e corroborandoli con quelli relativi allo sviluppo delle infrastrutture, dell’energia, della ricerca, della formazione, della scuola.

Parlare di un “modello” da costruire, nel cuore di una crisi, che giornalmente delinea nuovi fattori emergenziali, è velleitario ? A noi pare il contrario. E’ mettendo finalmente all’ordine del giorno del Paese non solo la stanca elencazione dei problemi, delle emergenze, dei tagli di bilancio, ma una prospettiva di “lunga durata” che si può sperare di invertire l’attuale congiuntura. E’ alzando il tiro nelle idee e nelle proposte che si può pensare di lavorare con lo sguardo rivolto“al dopo”.

 Da qui, anche da qui,  il compito essenziale della politica, che non può essere solo momento di mediazione, ma anche luogo ideale per ipotizzare  nuovi indirizzi, per fissare priorità, per dare obiettivi, per costruire momenti concreti di dialogo e di concertazione, per “rivoluzionare” assetti obsoleti, inadeguati a rispondere al tramonto dei vecchi modelli economici e  al mutare della realtà sociale.