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Il vessillo statunitense sulle Filippine: un ottimo business

di Diego Bertozzi - 04/10/2012

Fonte: storiain

L'arcipelago del sud-est asiatico prima terra di conquista dell'imperialismo
spagnolo poi di quello statunitense (1898). Che occupa le isole in nome della civil

 
"[.]abbiamo spinto i nostri giovani perbene a imbracciare un moschetto screditato e fare il lavoro di un bandito sotto una bandiera che i banditi erano abituati a temere, non a seguire; abbiamo traviato l'onore dell'America e abbiamo annerito la sua faccia di fronte al mondo, ma ogni cosa è stata per il meglio. Questo noi lo sappiamo. Il capo di ogni Stato e sovranità nel cristianesimo e il novanta per cento di ogni corpo legislativo del cristianesimo, compresi il nostro Congresso e i parlamenti dei nostri cinquanta Stati, sono membri non solo della Chiesa ma anche del trust delle benedizioni della civiltà. Questa accumulazione planetaria di moralità ammaestrate, di principi elevati e di giustizia, non può fare una cosa non giusta, una cosa non onesta, una cosa non generosa, una cosa non pulita. Sa quello che sta facendo. Non sentirti a disagio; non c'è problema".
Sono le parole ironiche, dure e indignate che il giornalista e scrittore Mark Twain rivolge al proprio governo impegnato, a partire dal 1898, nella pacificazione delle Filippine appena conquistate ai danni della Spagna. La conquista dell'arcipelago asiatico sanziona l'ingresso degli Usa nella "Weltpolitik" in un'area in cui è forte la competizione per la conquista/spartizione del mercato cinese. E vi entrano, nonostante la continua sottolineatura della loro eccezionalità, con il tipico bagaglio del colonialismo occidentale: la repressione, lo sfruttamento economico e uno strisciante razzismo. È alla luce di questo che Twain svela amaramente lo iato tra teoria e prassi e la difficoltà di affrontare il potente dispiegamento della propaganda, democratica o meno che sia.


Filippine, colonizzazione e resistenza
Gli spagnoli arrivano nelle Filippine alla fine del XV secolo e, facilitati dallo scarso sviluppo istituzionale e dalla frammentazione dell'arcipelago, innescano una profonda
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Bandiera delle Filippine
trasformazione della locale realtà sociale. Manila è una appetibile base commerciale per i traffici con l'Estremo Oriente e gli spagnoli dovranno per lungo tempo resistere all'aggressività, anche militare, della flotta olandese. I conquistatori utilizzano lo strumentario già sperimentato in America Latina introducendo il sistema dell'encomienda, legittimando la creazione di vaste proprietà terriere, concentrate nelle mani della Chiesa e degli Ordini religiosi, e avviando una massiccia campagna di conversione che farà delle Filippine l'unico paese cattolico di tutta l'Asia orientale. Il potere spagnolo si fonda, inoltre, sull'appoggio di un ristretto ceto meticcio - gli "ilustrados" - anch'esso proprietario di vasti latifondi al quale è affidato il controllo di persone e territori anche grazie a milizie private. Ma sono gli ordini religiosi a far sentire tutta la propria forza politica ed economica interferendo con le autorità civili, imponendo tributi esosi alle popolazioni locali e controllando il "sistema" educativo.
Dal punto di vista economico la Spagna attua la più rigorosa politica della "porta chiusa" e connette il territorio asiatico ai possedimenti americani: solo galeoni di proprietà del governo possono condurre traffici tra le Filippine e l'attivo porto messicano di Acapulco. Le Filippine, nella quali arrivano le merci cinesi acquistate con l'oro americano e che producono una notevole quantità di tabacco, costituiscono più un arcipelago al largo del Messico che un territorio commercialmente integrato con l'Asia o una testa di ponte per la penetrazione in esso.
Dal punto di vista del rapporto con le popolazioni locali, la cui integrazione e obbedienza è attuata attraverso una campagna di cristianizzazione, gli spagnoli fin dall'inizio devono far fronte a fenomeni di resistenza.

Dal loro controllo, infatti, resterà fuori Mindanao già penetrata dall'Islam. Per assistere alla nascita del moderno movimento nazionalista filippino, forte e radicato tra la popolazione, dobbiamo attendere l'apertura, intorno alla metà del XVIII° secolo, delle Filippine al commercio internazionale e alla sempre maggiore influenza commerciale inglese e americana. Lo sviluppo dell'agricoltura, soprattutto nella produzione di canapa e tabacco, delle attività portuali, delle infrastrutture e del sistema bancario portano alla formazione di un ceto medio indigeno aperto all'Occidente, a suoi principi liberali, illuminato e progressista. E' il periodo in cui la Spagna si decide a riformare ed estendere il sistema scolastico, prima monopolizzato da gesuiti e ordini religiosi, ad una fascia più larga della popolazione.
L'opposizione filippina alla dominazione straniera ha una storia lunga quanto la
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Un ritratto del generale Aguinaldo
colonizzazione e, in diverse occasioni, costrinse gli spagnoli alla difensiva: più di un centinaio furono quelle di dimensioni preoccupanti. Alla base di queste sollevazioni c'erano motivi religiosi, la durezza del lavoro nei campi, l'occupazione di sempre maggiori estensioni di terra da parte degli ordini religiosi e la discriminazione razziale. La più importante fu quella guidata nel 1762 da Diego Silank che, dopo aver inutilmente chiesto alle autorità spagnole l'eliminazione del tributo e il suo appoggio per cacciare le truppe inglese, diede vita a Vigan ad un governo separatista resistendo per un anno intero, prima del suo assassinio, agli attacchi spagnoli.
Ma è nel XIX secolo che il movimento nazionalista filippino acquista sempre più forza, allenandosi nella contestazione contro le ingiustizie del sistema monopolistico spagnolo, l'onnipresenza degli ordini religiosi e le discriminazioni razziali nell'esercito e negli ordini religiosi. Le numerose ribellioni falliscono ma, come sottolinea D.G.E. Hall, dimostrano come "il popolo [fosse] animato da un indomabile spirito di indipendenza e di lotta". La scintilla scoppia con la rivolta spagnola del 1868 che detronizza Isabella II, porta alla cancellazione della legislazione reazionaria, alla soppressione degli ordini religiosi e alla proclamazione del suffragio universale.

Il vento della rivolta arriva, insieme a funzionari di idee democratiche, anche nella colonia asiatica dove il governatore De la Torre abolisce la censura e concede assoluta libertà di parola. Ma la prematura fine dell'esperimento liberale spagnolo nel 1870 riapre una nuova fase di repressione: l'arresto e la condanna per tradimento dei filippini, preti e laici, che avevano appoggiato il governo liberale segna la comparsa dei primi martiri del movimento nazionalista filippino. Dall'esilio (Hong Kong, Singapore, Giappone, Londra e Parigi) molti intellettuali lanciano il "movimento di propaganda", una piattaforma moderata basata sulla richiesta della completa uguaglianza tra spagnoli e filippini, rappresentazione dei filippini alle Cortes spagnole e libertà di stampa, parola e riunione. Josè Rizal, il principale animatore del movimento e della successiva Liga Filipina, non vuole né indipendenza né rivoluzione ma, nonostante questo, nel 1892 viene arrestato e deportato nell'isola di Mindanao.
A rivendicare invece l'indipendenza nazionale per via rivoluzionaria è invece il Katipunan, una società segreta fondata a Manila nello stesso anno da Andres Bonifacio. L'organizzazione è tipica di un movimento rivoluzionario clandestino: un Consiglio supremo di tre membri dirige i diversi consigli operanti in tutte le città e province. Il programma prevede l'espulsione degli spagnoli e degli ordini religiosi e l'espropriazione dei latifondi. I membri rifiutano la lingua spagnola e si affidano alla lingua malese tagalog. La Spagna reagisce con una repressione feroce che porta alla condanna a morte di Rizal, nonostante la sua contrarietà ai metodi del Katipunan, e alla fuga di Bonifacio nell'isola di Luzon dove costituisce un governo rivoluzionario e i ribelli, guidati dal generale Aguinaldo, oppongono una fiera resistenza agli spagnoli. Proprio quest'ultimo, per le sue capacità militari, viene eletto nel 1897 presidente della Repubblica delle Filippine da una assemblea riunita a Tejeros. Successivamente viene raggiunto un accordo con la Spagna in base al quale i ribelli si ritirano in esilio ad Hong Kong in cambio di 400.000 pesos. Ma, al suo arrivo, Aguinaldo continua ad acquistare armi in vista della ripresa della lotta.

Gli Usa arrivano in Asia
Negli Stati Uniti la crisi di sovrapproduzione del 1893-96 dà forza alla convinzione maturata dalle élite politiche e finanziarie che la conquista dei mercati esteri rappresenti la soluzione al problema dello sbocco della produzione americana, così da prevenire altre crisi economiche e il conseguente acuirsi della conflittualità sociale. Chiarissimo il Dipartimento di Stato quando annuncia che "sembra sempre più certo che tutti gli anni dovremo affrontare una sovrapproduzione crescente di beni che dovranno essere piazzati su mercati esteri se noi vogliamo che i lavoratori americani lavorino tutto l'anno". Chiusa la frontiera interna con il massacro di Wounded Knee del 1890, si pensa ad estendere l'influenza statunitense oltre il continente americano, verso il Pacifico. Un obiettivo ben presente nella politica Usa come ben testimonia il senatore Cabot Lodge: "Nell'interesse del nostro commercio [.] noi dovremmo costruire il canale di Panama e, per proteggere questo canale, così come per assicurare la nostra supremazia commerciale nel Pacifico, noi dovremmo controllare le isole Hawaii e rafforzare la nostra influenza su Samoa". Sempre più sicuri di se stessi e spinti da un impetuoso
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Caricatura di Mackinley
sviluppo economico, gli Usa si lanciano nella competizione imperialistica nel sud-est asiatico dove da tempo ormai agiscono Gran Bretagna, Francia, Russia, Germania e Giappone per l'accesso e il controllo del mercato cinese. L'atmosfera generale è quella tipica di una nuova potenza che vuole mostrare i muscoli. Alla vigilia della guerra ispano-americana il Washington Post così scrive: "Un nuovo sentimento sembra abitare in noi: la consapevolezza della nostra forza. E, con questa, un nuovo appetito: il desiderio di darne dimostrazione. [.] Il gusto dell'impero regna su ciascuno di noi come il gusto del sangue regna sulla giungla". Ad agire ci sono anche ben determinati gruppi di pressione, sorti sul finire del secolo, come l' "American Asiatic Association" e l'"American China Developement Company". Il Journal of Commerce di New York, prima su posizioni pacifiste, non esclude l'uso della forza per la conquista di spazi in Cina:

"Considerando quanto il libero accesso al mercato cinese, con i suoi circa 400 milioni di abitanti, risolverebbe in gran parte il problema della sovrapproduzione americana, il Journal of commerce arrivò non solamente a reclamare vigorosamente una completa uguaglianza di diritti sulla Cina ma anche a sostenere senza riserve la costruzione di un canale istmico, l'acquisizione della Hawaii e il rafforzamento del potenziale della marina".
La guerra con la Spagna, scoppiata a seguito dell'affondamento a L'Avana nel febbraio del 1898 della nave americana "Maine", arriva nel momento giusto. Presentata come una lotta per la libertà a sostegno della volontà di indipendenza del popolo cubano, risponde senza dubbio a precisi interessi economici come, negli anni seguenti, precise il Dipartimento del Commercio: "la guerra ispano-americana non è stata che un avvenimento nella dinamica generale di espansione che aveva le sue radici nel cambiamento delle nostre capacità industriali che superavano di lungo la capacità del consumo interno. Era indispensabile trovare non solo degli acquirenti stranieri per i nostri prodotti, ma ugualmente i mezzi per rendere facile, economico e sicuro l'accesso a questi mercati stranieri". E le Filippine rappresentano un ponte naturale per l'ingresso nel mercato cinese.
La guerra con la Spagna, una "splendida piccola guerra" secondo il ministro degli esteri Hay, vista la disparità delle forze in campo, si conclude con un facile successo per gli Usa: la marina americana si sbarazza di quella nemica sia nei Caraibi che nel porto di Manila e nelle Filippine il corpo di spedizione americano è sostenuto dagli insorti filippini. L'armistizio del 12 agosto consegna agli Usa Portorico, l'isola di Guam, il controllo su Cuba e l'occupazione del porto e della città di Manila. Il definitivo trattato di pace firmato a Parigi il 10 dicembre successivo prevede il trasferimento della sovranità sulle Filippine dalla Spagna agli Stati Uniti contro un compenso di venti milioni di dollari. Negli Stati Uniti si anima quello che passerà alla storia come il "great debate", un appassionato dibattito sull'imperialismo che si catalizza sulla opportunità o meno dell'acquisizione delle Filippine.

Da una parte ci sono gli ambienti economici e i trust suggestionati dalle potenzialità del mercato cinese come valvola di sfogo per la crescente produzione; ai loro occhi un passo indietro avrebbe significato lasciare via libere ad altre potenze, Giappone e Germania su tutte, che avrebbero potuto tranquillamente impossessarsene. Favorevole è anche parte del movimento sindacale, convinto della possibilità di raccogliere i frutti della conquista. Dall'altra parte si agita il variegato e disomogeneo fronte "antimperialista" di cui fanno parte conservatori, radicali, intellettuali, democratici e repubblicani, ed industriali come Andrew Carnegie. La loro critica non tocca, comunque, l'ideologia di fondo della
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Lo scrittore e polemista
statunitense Mark Twain
missione americana, da loro profondamente condivisa, e la necessità della supremazia economica a stelle e strisce, ma la forma coloniale in senso stretto. Una soluzione di questo tipo avrebbe, ai loro occhi, tradito la lettera e lo spirito della costituzione americana e macchiato la tradizione di libertà degli Stati Uniti. Non mancano neppure argomentazioni di stampo razzistico: le istituzioni americane si sarebbero corrotte e inceppate a causa dell'inserimento di popolazioni diverse per razza ed incapaci ad autogovernarsi. Distinti sulla questione dell'annessione, i due fronti, quindi, agiscono nello stesso spettro culturale.
Illuminante il modo in cui il presidente McKinley prende la decisione di procedere all'acquisizione delle Filippine, una sorte di illuminazione divina, nella quale appare, oltre alla consueta ideologia della missione, il topos coloniale della incapacità e inciviltà delle popolazioni locali: "In verità, io non volevo le Filippine e, nel momento in cui sono venute a noi come un regalo degli dei, non sapevo cosa farne. [.] Io percorrevo tutte le sere su e giù i corridoi della Casa Bianca fino a mezzanotte, e non provo vergogna nel confidarvi, signori miei, che più di una notte mi sono inginocchiato e ho pregato Dio onnipotente di darmi luce e sostegno. È così che una notte mi è apparsa la soluzione; non so come, ma è arrivata. Non si poteva restituire le Filippine agli spagnoli: sarebbe stato vile e disonorevole. Non potevano consegnarle alla Francia o alla Germania che sono nostri concorrenti in Oriente: sarebbe stato commercialmente un errore e avremmo perso credito. Non potevamo abbandonarli alla loro sorte (sono incapaci di governarsi da soli): ci sarebbe stata rapidamente l'anarchia e la situazione sarebbe stata peggiore che sotto l'autorità spagnola. Non ci restava dunque altro che prenderle e educare i filippini, elevarli, civilizzarli e cristianizzarli. In breve, con l'aiuto di Dio, a fare del meglio per loro che sono nostri simili, per i quali Cristo è egualmente morto. Allora io sono andato a coricarmi e ho dormito. D'un sonno profondo".

Così, su quel cuscino, viene cancellata la storia della nazione filippina e la sua lunga lotta per l'indipendenza. Inutile aggiungere che a cristianizzarli ci aveva pensato, e con indubbi risultati, la precedente dominazione spagnola. Molto simili le argomentazioni del romanziere Kipling: "Quello che l'America vuole non è l'espansione territoriale, ma l'espansione della civiltà. Non vogliamo prendere le Filippine per noi stessi, ma dare ai filippini scuole libere, la libertà di culto, udienze giudiziarie pubbliche, l'abolizione delle caste, uguali diritti per tutti". Sono questi gli argomenti alla base del programma di governo nelle Filippine proclamato dal Presidente statunitense nel dicembre del 1898 e noto con la definizione di "Benevolent assimilation": "L'autorità degli Stati Uniti va esercitata per la sicurezza delle persone e della proprietà degli abitanti delle isole e per la conferma dei diritti e dei rapporti privati. Sarà dovere del comando delle forze di occupazione annunciare e proclamare nella maniera più pubblica possibile che noi arriviamo, non come invasori o conquistatori, ma come amici per proteggere i nativi nelle loro case, nelle loro occupazioni e nei loro diritti personali e religiosi".
La pretesa missione di civilizzazione americana presenta anche toni scopertamente razzisti, tipici del socialdarwinismo in voga alla fine dell'Ottocento. Basti, come esempio, la posizione del deputato Cochran che, suscitando l'applauso del Congresso, lega "l'avanzata della libertà e della civiltà" alla "conquista del mondo da parte delle razze ariane". I filippini, inoltre, vengono apertamente equiparati ad un'altra razza inferiore, quella dei neri d'America segregati e linciati, tanto che il senatore virginiano Proctor raccomanda caldamente di "evitare l'errore criminale fatto in passato, quando con sconsiderata liberalità abbiamo concesso il supremo privilegio della libertà anglosassone a una razza analfabeta e straniera".

La repressione americana
Per la vittoria americana sulla Spagna, un ruolo fondamentale è svolto dai nazionalisti filippini guidati da Aguinaldo e fatti sbarcare dagli americani a Manila il 19 maggio del 1898 con la promessa dell'indipendenza. Sconfitti gli spagnoli, i nazionalisti danno vita ad un repubblica democratica con una costituzione ispirata alle rivoluzioni americana e francese. Ma vengono esclusi dalle trattative di pace che consegnano le Filippine agli Usa.
Il 1° gennaio del 1899 Aguinaldo viene eletto da una convezione Presidente della Repubblica delle Filippine - la seconda volta nella sua vita di ribelle - e riprende la lotta per l'indipendenza. Nonostante una potenza militare ed economica di tutt'altro tenore di quella spagnola, costringerà l'esercito americano, forte di 70 mila soldati, a combattere per tre anni mettendo in pratica un repressione spietata e spesso indiscriminata e, occorre
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Geografia delle Filippine
sottolinearlo, in aperta contraddizione con la propaganda della missione di libertà. Alla fine si conteranno dai seicento mila al milione di morti filippini.
Di fronte all'occupante americano non ci sono solo i resistenti filippini, ma anche l'ostilità di gran parte della popolazione come ammette il generale Arthur MacArthur secondo il quale la tattica di guerriglia filippina "riposa su di una pressoché perfetta unità d'azione della popolazione indigena nel suo insieme". Da qui, anche, la pratica di trasferire villaggi e concentrare la popolazione, poco prima condannata quando ad eseguirla erano gli spagnoli a Cuba.
Questo è quanto riporta il corrispondente del Filadelfia Ledger: «questa non è una guerra d'operetta condotta con i guanti bianchi. I nostri uomini sono stati spietati. Hanno ucciso per sterminare uomini, donne, bambini, prigionieri e ostaggi, ribelli attivi e semplici sospetti dai dieci anni in su. L'idea che è prevalsa è che un filippino in quanto tale non ha maggior valore di un cane. [.] I nostri soldati hanno fatto ingoiare acqua salata ad uomini per farli parlare. Hanno fatto prigionieri degli uomini che si arrendevano pacificamente, con le mani in aria, e, un'ora dopo, senza un minimo di prova sulla loro condizione di ribelli, li hanno condotti su un ponte e li hanno abbattuti uno dopo l'altro. Infine, li hanno gettati nel fiume, lasciandoli andare a filo della corrente affinché servissero da esempio a coloro che avrebbero trovato i corpi crivellati di piombo".

Nel 1901 è un generale, appena rientrato in Usa dal servizio nel sud di Luzon, che spiega come "un sesto degli abitanti di Luzon sono stati uccisi o sono morti per la febbre nel corso degli ultimi anni. Le esecuzioni sono state molto numerose ma io penso che tutte queste morti sono state necessarie per il perseguimento dei nostri obiettivi di guerra. Era necessario adottare ciò che in altri paesi avremmo potuto qualificare come misure crudeli". E, nonostante tutto questo, il segretario alla guerra Root sottolinea come l'esercito americano abbia fatto "prova di ponderazione e umanità"! Esplicativa della tattica da terra bruciata è la testimonianza del marine Walzer, capo di squadrone: «il maggiore disse che il gen. Smith lo istruì di uccidere e bruciare e disse che più uccideva e bruciava e più avrebbe provato piacere. Il maggiore disse che non c'era tempo per far prigionieri ed egli doveva rendere Samar un terribile deserto. Il Maggiore chiese al gen. Smith quale fosse l'età limite della vittima ed egli rispose qualunque cosa sopra i dieci».
Mentre gran parte della classe operaia e del sindacalismo appoggiano il governo, abbagliati dagli alti salari e dalle promesse di benessere, la più viva, e perché no, commovente presa di posizione contro la guerra nelle Filippine viene dai soldati neri là impegnati nella repressione e nell'occupazione. Vittime del razzismo e dei linciaggi nel proprio paese, si vedono accomunati dalla pelle nera ai ribelli filippini. Alcuni si uniranno proprio a questi ultimi; il più noto è il caso di David Fagan, del 24° reggimento di fanteria, che accetta un ruolo di comando nell'esercito ribelle causando gravi problemi a quello statunitense. Emblematica è una lettera scritta dal sergente Mason al direttore della Gazette di Cleveland: "io sono dispiaciuto per questa gente e per tutto quello che gli Stati Uniti hanno fatto. Io non penso che agiremo con giustizia nei loro confronti. La prima cosa che noi ascoltiamo il mattino è la parola negro e l'ultima cosa che noi ascoltiamo la sera è la parola negro".

Più esplicito, sempre in una lettera dal fronte, è il soldato Fulbright: "la guerra in queste isole non è nient'altro che un gigantesco progetto di rapina e oppressione".
Sull'onda di simili notizie e testimonianze, Mark Twain lancia una provocatoria proposta: "E per quanto concerne una bandiera per la Provincia delle Filippine, si può facilmente risolvere. Possiamo farne una apposita: i nostri Stati lo fanno. Prendiamo la nostra bandiera normale, dipingiamo di nero le strisce bianche e al posto delle stelle mettiamo un teschio e le ossa incrociate". Quanto accade nel sud-est asiatico è, per lo scrittore e giornalista statunitense, la negazione della missione americana, la caduta dell'America sul "piano europeo", il risultato della sua volontà di adeguarsi alla politica di potenza.
Repressa la ribellione indipendentista, anche grazie alla cattura nel marzo del 1901 di Aguinaldo, gli Usa danno una sanzione formale e istituzionale alla propria occupazione promulgando nel luglio del 1902 il "Philippine Bill", un complesso normativo che prevede il conferimento del potere esecutivo ad un governatore generale americano e quello legislativo ad un organo bicamerale composto da una assemblea elettiva e dalla statunitense Commissione per le Filippine, presieduta dal governatore stesso. Gli elettivi consigli municipali, inoltre, sono sotto il controllo delle amministrazioni provinciali in cui la presenza americana è marcata. Alla base c'è un suffragio molto ristretto: a partecipare alle elezioni è il tre per cento della popolazione. Una percentuale che rappresenta una subalterna elite filippina costituita da grandi proprietari di orientamento conservatore che, come nel periodo della dominazione spagnola, garantiscono un controllo di stampo feudale sulle popolazioni locali. Dal punto di vista economico le Filippine diventano un mercato protetto per i produttori americani e fonte di approvvigionamento di materie prime e derrate alimentari non concorrenza con quelle della metropoli, anche grazie all'introduzione di dazi.

Per l'arcipelago è l'inizio di una forte dipendenza dal mercato americano. L'indipendenza arriverà solamente nel 1946 con le Filippine inserite nel dispositivo di accerchiamento anti-sovietico degli Stati Uniti.
BIBLIOGRAFIA
  • Le XX siècle americaine. Une histoire populaire de 1890 à nos jours, di Howard Zinn - Agone, Marsiglia 2003
  • Alla persona che siede nelle tenebre, di Mark Twain - Edizioni Spartaco 2003
  • Storia dell'Asia Orientale, di D.G.E. Hall - Rizzoli Editore, Milano 1972
  • Storia dell'Asia sudorientale, di E. Collotti Pischel - La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994
  • Destino manifesto, di Anders Stephanson - Feltrinelli, Milano 2004
  • Le origini dell'imperialismo americano, di Alberto Aquarone, Il Mulino, Bologna 1973
  • Storia degli Stati Uniti, di Maldwyn A. Jones - Bompiani, Milano 1997
  • La nascita di una potenza mondiale, di John L. Thomas - il Mulino, Bologna 1999.