La rielezione di Chavez in Venezuela
di Nil Nikandrov - 09/10/2012
La rielezione di Chavez nelle elezioni presidenziali in Venezuela, incombeva in tutte le previsioni più serie. Il 7 ottobre ha ottenuto il 54,4% dei voti, il messaggio inviato dal collegio elettorale dice che i venezuelani non hanno perso la fiducia nel loro leader, nel corso di 14 anni di governo. Chavez rimane un campione senza sfidanti diretti in vista, e il mandato ribadito gli permette di proseguire le radicali riforme strutturali, comprese le missioni dal carattere sociale che gli sono valse l’eccezionale popolarità nel paese. La presidenza attuale è destinata a durare fino al 2019, ma la costituzione venezuelana non limita il numero delle rielezioni, il che significa che Chavez, come ha spiegato in più occasioni, ha bisogno di essere al timone fino al 2025 per poter attuare il suo programma socialista per il Venezuela, che probabilmente ripresenterà nuovamente in futuro.
L’affluenza senza precedenti dell’80,94%, ha evidenziato l’adeguatezza del corso, unico nel suo genere, in cui è entrato il Venezuela da quando Chavez è salito al potere nel 1999, una combinazione di forti politiche di modernizzazione, sovranità e fedeltà immune alle alte pressioni internazionali, e di destinazione dei proventi del petrolio ai massicci e ampi programmi di welfare. Come leader di un paese dotato di alcuni dei più grandi giacimenti energetici del mondo, Chavez non deve flirtare con l’oligarchia nazionale o con Washington. Ha vinto fiduciosamente la partita con Henrique Capriles Radonski, che ha ottenuto il 44,5% dei voti con la sua subdola piattaforma antinazionale e, se eletto, avrebbe capovolto i benefici sociali per la popolazione, detto no alla costruzione di alleanze latinoamericane e avviato la privatizzazione strisciante di tutto il settore energetico venezuelano.
Al momento, i sostenitori di Chavez possono essere orgogliosi di aver ottenuto la rielezione diretta. L’intensità della propaganda occidentale anti-Chavez, non è mai stata leggera verso il leader venezuelano, raggiungendo un picco nella giornata cruciale del 7 ottobre. Contrariamente ai sondaggi del tutto affidabili, i media hanno sfornato rapporti inattendibili secondo cui Radonski fosse un attivista energico a pochi punti da Chavez, che avrebbe colmato il divario e che avrebbe alla fine prevalso. Alcuni media liberali della Russia, tra l’altro, con entusiasmo hanno fatto eco a tali rivendicazioni. Tornando alla prima presidenza di Chavez, l’establishment politico in Russia era stato lento nell’apprezzare le opportunità che cominciarono a sorgere con lo passaggio del Venezuela verso il populismo. L’inerzia dell’era Eltsin e gli approcci adottati quando A. Kozyrev era alla guida del ministero degli Esteri russo, nel 1991-1995, una pseudo-diplomazia che riconosceva un’illimitata supremazia degli Stati Uniti e che portava la Russia a sacrificare di continuo i propri interessi, dominavano la politica estera di Mosca, ma emerse in breve tempo che Chavez era entrato nella politica mondiale con dei piani di vasta portata e assolutamente realistici. Mosca, dunque, ha dovuto aprire un dialogo con Chavez e, infine, tracciare un lungimirante programma di cooperazione.
Ad oggi, la partnership tra la Russia e il Venezuela è un modello da seguire per l’America Latina e non solo. Mosca e Caracas interagiscono nei settori dell’energia, dell’industria, del commercio, delle finanze, ecc. E soprattutto l’impegno di Chavez nell’amicizia con la Russia è assoluto. La sua posizione, infatti, espone Chavez a ulteriori critiche nei media occidentali e liberali russi che, evidentemente, sono sconvolti dal fatto che la cooperazione tra la Russia e il Venezuela aumenti. Non dovrebbe sfuggire il fatto che, implicitamente, la diffusione delle invettive contro Chavez, spesso prendano di mira il presidente russo Putin mentre tenta di portare verso Mosca lo slancio di Caracas.
Le anticipazioni dei media filo-occidentali già ridipingono il quadro delle elezioni venezuelane su misura di Washington, dando al pubblico resoconti ridicoli, secondo cui dei sondaggi citati, ma non identificati, davano a Radonski un punteggio inferiore a quello del vincitore di meno dell’un per cento, cercando in qualche modo d’inserirsi nel margine di errore nel conteggio dei voti. In origine, le accuse di brogli elettorali avrebbero dovuto essere il primo passo nel quadro di uno scenario destinato a culminare in disordini nelle strade delle città venezuelane, ma la vittoria schiacciante di Chavez ha aggiunto al suo successo l’impraticabilità di tale piano.
Non c’è dubbio che, in circostanze meno favorevoli, l’opposizione venezuelana radicale avrebbe scatenato una violenta offensiva contro il regime, inviando le sue bande addestrate dalla CIA e finanziate dall’USAID, a lottare per gli interessi degli influenti mandanti stranieri. “Chavez ora ha mano libera nel conferire un ruolo ancora più grande allo stato nell’economia e nel perseguire i programmi populisti. Ha promesso, prima della votazione, di dare una spinta più forte al socialismo, nel prossimo mandato. E’ anche probabile che limiterà ulteriormente il dissenso e approfondirà le amicizie con i rivali degli Stati Uniti“, ha scritto il collaboratore di Associated Press Ian James. Quanto sopra fornisce una buona idea delle lamentele suscitate a Washington, che considera Chavez il nemico numero uno in America Latina.
Radonski ha semplicemente dovuto cedere sulla vittoria di Chavez e astenersi dalla solita retorica sui presunti brogli elettorali. In primo luogo, l’attuale processo di votazione in Venezuela è completamente sicuro ed include anche la scansione delle impronte digitali prese a coloro che vanno nelle cabine. In secondo luogo, l’opposizione si sta preparando a una battaglia elettorale per l’elezione dei governatori e legislatori, a dicembre. La tattica degli avversari di Chavez passa al confronto muscolare regionale con il regime populista.
L’opposizione già controlla Zulia, Táchira e Nueva Esparta. In parte, una finestra di opportunità si apre per l’opposizione dal momento che, in un certo numero di casi, i governatori pro-Chavez non sono stati all’altezza degli standard che Caracas sta cercando di imporre e, a livello locale, mali come la corruzione, l’inefficienza e la demagogia erodono le fondamenta dell’autorità venezuelana. La situazione si è ulteriormente deteriorata quando Chavez era alle prese con il cancro, e la sua presa sul governo e il Partito Socialista Unito si era temporaneamente indebolita.
E’ chiaro che Chavez non ha praticamente il tempo di celebrare il trionfo. Ciò che affronta, mentre la polvere si deposita, è una nuova fase di sostegno alla causa; la sfida consiste nel salvaguardare le conquiste politiche nazionali e internazionali.
È gradita la ripubblicazione con riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio - SitoAurora