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La Palestina un problema irrisolto: cause storiche e prospettive future

di Antonella Ricciardi - Federico Dal Cortivo - 24/11/2012

Fonte: europeanphoenix


Intervista a Antonella Ricciardi, giornalista e saggista, a cura di Federico Dal Cortivo per Europeanphoenix

La questione palestinese occupa oramai stabilmente le agende delle varie cancellerie dalla fine della  2a Guerra Mondiale. Un problema volutamente non risolto e creato a tavolino con il fine di destabilizzare permanentemente  la Regione del Vicino Oriente e dare legittimità all’entità sionista. Conflitti regionali, brutali repressioni fanno da cornice costante all’occupazione manu militari della Palestina da parte dei sionisti, con migliaia di vittime in campo palestinese, come quella in atto in questi giorni, tra il compiacimento dei media embedded italiani e dei governi dell’Europa oramai ridotta a colonia Usa-Israel. Crimini di guerra quotidiani che si compiono alla luce del sole, tanta è l’arroganza e l’impunità di cui gode il governo sionista, tanto quanto è il servilismo dell’Occidente, in primis dell’Italia del banchiere Monti, che con il suo ministro degli esteri Terzi non fa che tessere le lodi ad Israele e condannare i “cattivi“ palestinesi. Ai cittadini arriva un’informazione di parte, “politicamente corretta” e drogata, in cui i buoni sono sempre da una parte e i cattivi dall’altra. Abbiamo così voluto approfondire l’argomento e ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Antonella Ricciardi, autrice del libro “ Palestina una terra troppo promessa”.


 

D: Dott.ssa Ricciardi iniziamo dalle premesse a quello che comunemente si suole definire “problema palestinese”, e più precisamente dalla volontà degli ebrei sparsi per il mondo di ritornare nella cosiddetta “terra promessa”. Ce ne può parlare?

R.: In sintesi, si può ricordare che i progetti di insediamento ebraico in Palestina avvennero nei confronti di una terra niente affatto vuota, ma abitata almeno al 92% dai palestinesi: in larghissima parte arabi, e prevalentemente musulmani, ma anche cristiani. La situazione cui mi riferisco è quella dell’epoca del primo congresso sionista, che si tenne a Basilea nel 1897. Una comunità ebraica indigena era, all’epoca, quasi inesistente. I sionisti, cioè i sostenitori del movimento nazionalista ebraico (il cui nome deriva da Sion, una collina presso Gerusalemme) erano consapevoli, in larga maggioranza, che il loro progetto di Stato era nella terra di un altro popolo: si trattava, quindi, di una forma di colonialismo di popolamento. Numerose e minuziose, sia pur poco note, sono le fonti storiche che lo attestano. Tra queste, possiamo ricordare una messaggio emblematico riportato da due rabbini, mandati in ricognizione dallo stesso teorico del sionismo, Herzl, i quali, a fine ‘800, dichiararono: “La sposa è bellissima, ma è sposata con un altro uomo”: il messaggio era, cioè, in codice, ma il suo significato era abbastanza chiaro, con la sposa che rappresentava la Palestina, e l’altro uomo, che rappresentava i palestinesi. Questa fonte, peraltro, è stata documentata in un libro, dell’ebreo Avi Shlaim, dal titolo “The Iron Wall”. Tuttavia, Herzl non desistette dal suo proposito…del resto, già due anni, prima, nei suoi “Diari”, si era espresso in modo inequivocabile nei confronti dei palestinesi, usando queste parole: “Dovremo incoraggiare questa misera popolazione ad andarsene altre confine […] Sia il processo di espropriazione che quello di allontanamento dei poveri devono essere effettuati con discrezione e cautela”. Per questi motivi i palestinesi si opposero al sionismo: i nuovi immigrati ebrei, infatti, perlopiù venivano comportandosi da padroni. Non c’era assolutamente antisemitismo nell’atteggiamento dei palestinesi: questione senza senso, in riferimento al conflitto israelo-palestinese, in quanto i palestinesi stesso appartengono al raggruppamento etnico-linguistico dei semiti, essendo quasi tutti arabi. Nonostante l’immigrazione ebraica, spesso illegale, i palestinesi erano ancora maggioranza della popolazione all’epoca della proclamazione dello Stato d’Israele, nel 1948: erano il 70% della popolazione. Se la scelta sul futuro della Palestina fosse stato lasciato ai suoi abitanti, senz’altro la situazione sarebbe stata diversa da quella che invece si venne a creare.


D: Lei nel suo interessante saggio ci parla anche del ruolo non secondario che la religione ebraica svolse nella volontà di ritorno ebraico, citando alcuni passi della Torah, il testo più importante dell’ebraismo, dove si traccia chiaramente la “pulizia etnica” che si andava preparando e che perdura tuttora. Una religione non certo fondata sul rispetto degli altri popoli, Lei che ne pensa?

R.: Certamente è un problema, e non aiuta la pace, il fatto che, tra le comunità ebraiche, sia prevalsa un’interpretazione letterale di vari passaggi della Torah e del Talmud (quest’ultimo è un testo religioso ebraico extrabiblico). L’idea di una religiosità legata al possesso ed all’espansione territoriale, a discapito di altri popoli, della vendetta sproporzionata, dell’esclusivismo religioso che non valorizza il concetto di tolleranza religiosa, sono certamente dei principi involutivi, che peraltro sono stati confutati, per diversi aspetti, da Vangeli. Sono pochissime le correnti ebraiche che non hanno abbracciato il sionismo: tra queste, si può ricordare quella dei Neturei Karta, che ritengono illegittimo uno Stato ebraico prima della venuta del loro messia, che tuttora attendono. Purtroppo, invece, numerosi sostenitori del sionismo celebrano e danno un significato religioso alle deportazioni e agli eccidi che avvennero in Palestina già diverse migliaia di anni fa, all’epoca dell’insediamento delle comunità ebraiche dell’antichità in Palestina, e che purtroppo si stanno riproponendo nella nostra epoca, con le ingiustizie ai danni del popolo palestinese….

 

D:Quale fu la nazione che più si adoperò per favorire la nascita del “focolare ebraico” e perché?

R.: Fu la potenza mandataria, quindi la Gran Bretagna, che ebbe la sovranità sulla Palestina dal 1917 (divenuta del tutto effettiva dal 1923) ad auspicare la fondazione di un “focolare nazionale ebraico” in Palestina, tramite la persona del ministro Balfour, noto per l’omonima dichiarazione di principi, che risale già al 1917. Nel testo non si diceva esattamente di un progetto di “Stato ebraico”, ma l’atto fu, di per sé, un sicuro incoraggiamento ed un via libera a molte aspirazioni sioniste. All’epoca era, naturalmente, in corso la Prima Guerra Mondiale: i turchi ottomani, un tempo detentori della sovranità sulla Palestina, stavano perdendo la guerra, e con essa la Palestina stessa, mentre gli inglesi erano schierati con coloro che l’avrebbero vinta, e speravano nell’aiuto della facoltose comunità ebraiche d’Europa, specialmente dopo la prima delle due rivoluzioni del 1917 in Russia, che faceva temere una sua uscita dall’alleanza con gli inglesi…cosa che avvenne effettivamente, ma solo dopo la rivoluzione bolscevica e poi il trattato di Brest-Litovsk del 1918.  Sostanzialmente, gli inglesi si schierarono con i sionisti, tranne che per pochi episodi isolati. Per citare un’immagine utilizzata da uno storico che si è occupato approfonditamente della questione, Lorenzo Kamel, è come se ci si trovasse di fronte ad un albero, con le sue radici ed i suoi rami: le radici, nella metafora, corrispondono all’appoggio radicato al sionismo, appunto, della politica britannica, e qualche ramo orientato in diversa direzione non corrisponde all’atteggiamento prevalente della potenza mandata. Del resto, lo stesso primo ministro inglese, Churchill, si definiva sionista: non venne scosso neppure dai moti palestinesi per l’indipendenza e l’integrità territoriale della Palestina, tra il 1936 ed il 1939, che compresero anche, nel 1936, il più lungo sciopero del mondo: 174 giorni. Un altro motivo del filo-sionismo della politica inglese va ricercato nella presenza di Herbert Samuel, israelita di visioni sioniste, all’Alto Commissariato dell’Impero coloniale inglese.


 

D: In che modo arrivarono i primi ebrei in Palestina e quale fu la reazione della popolazione araba residente da secoli sul territorio che non aveva più nulla  dell’antico Israele?

R.: La prima aliyah, cioè la prima fase di emigrazione ebraica in Palestina, avvenne nel 1882, per motivi religiosi, pre-sionisti… prima di allora, la popolazione israelita locale era estremamente esigua. Con la nascita ufficiale del movimento sionista, che vedeva nell’assimilazione alle società europee un pericolo maggiore dell’antisemitismo, si intensificarono le correnti migratorie, soprattutto di ebrei europei, verso la Palestina. Venne fondato il "Karen Kayemet le Israel": una multinazionale finanziaria che, dietro l’alone della redenzione della terra che un tempo fu abitata dagli ebrei, mirava ad impadronirsi della terra palestinese. Tuttavia, all’epoca della fondazione dello Stato d’Israele, il Karen era riuscito ad acquistare solo il 6% delle terre palestinesi: in questi casi, spesso, in realtà proprietà di latifondisti siriani e libanesi. I palestinesi avevano inizialmente accolto gli immigrati ebrei senza ostilità, ma, quando si resero conto delle reali aspirazioni degli immigrati sionisti, cominciarono ad avversarne i progetti. Iniziarono, così, campagne informativo-giornalistiche contro il sionismo ed il pericolo da esso rappresentato, e cominciarono a divenire non rari gli scontri tra le due comunità. Gli ebrei si stabilivano soprattutto nei kibbutzim (il singolare è kibbutz): comunità agricola autogestite. Rarissime erano le città ebraiche: tra queste, Tel Aviv, fondata da coloni ebrei nel 1909. I coloni sionisti tendevano a fare vita separata rispetto agli arabi…ciò è testimoniato in modo significativo da queste parole del sionista laico Jabotinsky, alla direzione della milizia Betar: “Qualsiasi colonizzazione, anche la più ridotta, deve essere portata avanti senza curarsi della popolazione indigena [non potrà svilupparsi] se non dietro lo scudo della forza, il che significa un Muro di Acciaio, che la popolazione locale non potrà mai infrangere”.


 

D:Con la fine della II Guerra Mondiale e la vittoria delle potenze Occidentali e dell’Unione Sovietica, divenne evidente come il Vicino Oriente vide aumentare la sua importanza geopolitica. Stati Uniti e Russia furono gli artefici della nascita dello stato d’Israele (la Gran Bretagna si astenne dal dare il suo appoggio in sede Onu ). Ci può spiegare i motivi che stavano dietro a questa presa di posizione, così netta?

R.: A proposito degli Stati Uniti, possiamo ricordare che, nei decenni passati, molti ebrei erano giunti negli Stati Uniti, soprattutto in fuga dai pogrom della Russia zarista. In quella terra di adozione, molti ebrei conquistarono un importante ruolo politico-economico. Per questo il presidente americano Harry Truman, lo stesso delle criminali bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, dichiarò che, tra gli arabi e gli ebrei, egli sceglieva coloro i quali gli avessero fornito voti, e non esitò quindi a scegliere gli ebrei. Precisamente, queste furono le parole di Truman al riguardo: “Mi dispiace signori ma io devo rispondere a centinaia di migliaia di persone che si aspettano il successo del sionismo. Io non ho migliaia di arabi tra i miei elettori" (secondo quanto documentato da Etta Z. Bick, in “Ethnic linkage and foreign policy”, City University of New York, 1983, alla p.81).

 Ancora a proposito degli USA, va ricordato che la posizione filoisraeliana delle varie amministrazioni americane si spiega anche con una particolare concezione religiosa, detta “cristiano-sionismo”: si tratta di una mentalità da molti definita, però, di tipo anticristiano. Molti americani, di solito di radici protestanti, pur nominalmente cristiani, si rifecero infatti più all'Antico che al Nuovo Testamento, approvando anche il concetto di “occhio per occhio dente per dente” in politica interna ed internazionale. Di qui la concezione del popolo americano simile ad un Israele biblico, detentore di un destino eccezionale, al di sopra ed al di là delle altre nazioni. Ecco un altro motivo dell'altrimenti solo parzialmente spiegabile profonda influenza della comunità ebraica. Già prima della fine della Seconda guerra mondiale era stato definito dagli americani il ruolo filo-occidentale e di testa di ponte dell'imperialismo nella regione del futuro Stato d'Israele. Così nel 1947, (con l'astensione, appunto, dell'Inghilterra, che non voleva ulteriormente inimicarsi gli arabi), fu approvato all'O.N.U. il piano di spartizione della Palestina…che a questo punto è chiaro essere stato un crimine, che concedeva agli ebrei poco più della metà della Palestina, ottenuto con scandalose pressioni americane, specie su nazioni latinoamericane. In realtà la decisione dell'Assemblea delle Nazioni Unite aveva un valore solo consultivo, non essendo stata interpellata la popolazione locale. Tuttavia, il voto a favore della spartizione delle due superpotenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, gli U.S.A. di Truman e l'U.R.S.S. di Stalin, fece considerare inappellabile la decisione. A Jalta, nel febbraio 1945, Roosevelt dichiarò a Stalin di sentirsi lui stesso “sionista” (cosa che fece anche il dittatore sovietico, sia pure precisando di considerare gli ebrei “mezzani, profittatori e parassiti”). Stalin considerava il sionismo ed il blocco occidentale troppo forti per essere sconfitti, per cui aveva cercato accordo circoscritto con tali forze. Dal 1967, però, la politica sovietica divenne filo-araba, soprattutto in funzione di contrasto all’influenza americana nella regione

 

D: Con quali mezzi il movimento sionista dopo il 1945 riuscì a cacciare la popolazione araba da gran parte del territorio? Ci parli anche della banda Stern e dell’Irgun e sui loro metodi terroristici.

R.: Già prima della nascita dello Stato d'Israele, agivano in Palestina gruppi terroristici ebraici: in particolare, l'Irgun Zwai Leumi e la banda Stern. Un altro gruppo armato ebraico era denominato Haganah. Uno dei più gravi attentati terroristici compiuto dall'Irgun fu l'attentato contro l'hotel King David di Gerusalemme, il 22 luglio 1946, che costò la vita a molti inglesi (contro i quali l'attentato era specificamente diretto), ma anche ad arabi e ad alcuni ebrei: in tutto ci furono oltre 80 morti. Gruppi terroristici ebraici si evidenziarono anche gettando bombe contro mercati arabi e nell'attacco contro soldati inglesi, alcuni dei quali addirittura strangolati con corde di pianoforte. Il 16 settembre 1948, il mediatore delle Nazioni Unite, lo svedese conte Folke Bernadotte, denunciò le violenze sioniste contro i palestinesi: il giorno successivo, lo stesso Bernadotte fu assassinato dai sionisti, col suo assistente francese… i loro assassini, Yehoshua Cohen e Nathan Friedman-Yellin, entrarono successivamente nel governo israeliano: non furono mai puniti. L'episodio più famoso fu però il massacro contro il villaggio palestinese di Deir Yassin, ad Ovest di Gerusalemme, il 9 aprile 1948: l'Irgun (i cui leaders politici erano Menahem Begin ed Yitzhak Shamir, entrambi futuri primi ministri israeliani), attaccò il villaggio mentre le persone più giovani e forti erano assenti e lo devastò.

Secondo le fonti più attendibili, gli abitanti palestinesi assassinati furono 254, soprattutto donne e bambini: ci furono anche episodi di donne violentate, di sposini, appena uniti in matrimonio, trovati esanimi, ormai uniti per l’eternità, di 25 donne incinte accoltellate… I corpi delle vittime furono gettati in un pozzo, mentre diversi abitanti superstiti furono trasportati su autocarri scoperti per le vie di Gerusalemme Ovest, alla maniera dei “trionfi”, prima di essere scaricati nella parte orientale della città.. Gli attaccanti ebrei ebbero invece soltanto cinque morti e trenta feriti: dato che rende l’idea di un massacro spregevole e non di una battaglia tra eserciti. Lo stesso comandante dello Shai di Gerusalemme, Levy, dichiarò: “La conquista del villaggio è stata compiuta con estrema spietatezza”. Fondamentalmente, le atrocità di Deir Yassin furono utilizzate per spingere la popolazione palestinese a fuggire terrorizzata. Begin e Shamir, infatti, anche in seguito non disapprovarono l'episodio, ed in particolare il primo affermò: “Senza Deir Yassin non ci sarebbe stato Israele”: a questo proposito, si può consultare un volume scritto dallo stesso Begin: The revolt: story of the Irgun, Shuman, New York 1951... Un altro grave massacro si verificò contro il villaggio palestinese di Tantura, vicino ad Haifa: a Tantura i sionisti assassinarono circa 200 persone. Il massacro più grave di quel periodo contro palestinesi ad opera di sionisti fu però contro il villaggio palestinese di Dawayama: diverse centinaia furono le persone decedute a causa dei colpi delle milizie ebraiche, che spararono contro tutto ciò che incontrarono. Con ragione, quindi, i palestinesi definirono "Nakba", catastrofe, il conflitto del 1948: i sionisti espulsero dalle loro case circa 900.000 palestinesi, cacciati da 530 località, 418 delle quali furono in parte parzialmente, ed in altra parte (maggioritaria), completamente distrutte. I profughi palestinesi si diressero in parte verso altre parti non occupate della Palestina, in parte verso nazioni arabe vicine, soprattutto in Transgiordania (l’attuale Giordania), Libano, Siria ed Egitto. Gli eserciti arabi furono invece sconfitti, con grande stupore dell'opinione pubblica internazionale: in realtà, le forze armate ebraiche erano superiori a quelle degli Stati arabi attaccanti, già prima della guerra, a causa del sostegno americano, come ammesso da tempo anche da storici revisionisti israeliani. In particolare, si trattava di 60.000 ebrei contro 20.000 arabi. A questo proposito, sono significative le parole del docente universitario ebreo Yeshayahn Leibowitz, della Hebrew University: "La forza del pugno ebraico deriva dal guanto d'acciaio americano che lo ricopre e dai dollari che lo imbottiscono" (a questo riguardo, si può anche consultare l’opera “Sionismo e fondamentalismo”, di Curzio Nitoglia, edizioni Controccorrente, su quarta di copertina).”

D: Il popolo palestinese non rimase certo indifferente all’attacco portatogli e reagì come già aveva fatto in parte prima del Secondo conflitto mondiale. Quali furono i principali movimenti di liberazione  che si formarono nel corso degli anni, e con quali caratteristiche?

R.: I tentativi di autodeterminazione continuavano anche all'interno della Palestina: nel 1953 a subire la rappresaglia israeliana (quella di sproporzionate rappresaglie divenne una tecnica collaudata israeliana tristemente famosa), dopo un tentativo di infiltrazione della guerriglia, fu il villaggio palestinese di Kibbya, in Cisgiordania, dove, per tre israeliani uccisi una unità dell'esercito israeliano (la 101) guidata dal brigadiere generale Ariel Sharon, destinato a diventare molto famoso, uccise  69 persone, distruggendo 40 abitazioni. Diversi furono gli episodi simili…Già alla fine degli anni ’40, la Cisgiordania palestinese era stata annessa alla Transgiordania, cioè all’attuale Giordania, contro il parere degli abitanti palestinesi, da re Abdallah di Giordania, già evidenziatosi tristemente per i suoi tentativi di accordo e spartizione dei territori palestinesi coi sionisti (sebbene Abdallah non fosse apertamente favorevole ad uno Stato ebraico, ma voleva includere gli ebrei in un proprio Parlamento, che si allargasse sulla Palestina…a questo proposito si può consultare l’opera “Collusion across Jordan”, dell’israeliano Avi Shlaim). Nel 1951, però, un palestinese uccise il sovrano giordano, per le sue collusioni con i dirigenti sionisti… Nel 1964 i palestinesi cercarono di guidare maggiormente il fronte dell'opposizione alla Stato sionista, e, dopo una riunione a Gerusalemme Est del Congresso nazionale palestinese, fu fondata l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (O.L.P.). La Carta palestinese aveva quale obbiettivo l'abbattimento dello Stato sionista. Presidente dell'O.L.P. fu nominato Ahmed Shukeiry, un avvocato palestinese. L'O.L.P., federazione di correnti palestinesi, cominciò ad organizzare proprie forza armate, e fu accolta nella Lega araba, in rappresentanza della Palestina. L’OLP era sostanzialmente laica: sue componenti principali erano Al Fatah (il cui leader fu Yasser Arafat, alla guida dell’OLP dal 1969), diverse formazioni radicali e socialiste, tra cui il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, di George Habash, un medico cristiano, il Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, di Nayef Hawatmeh, anch’egli cristiano, ed altri ancora. Solo successivamente vi fu una certa affermazione di gruppi d’ispirazione religiosa.

 

 

D: Gli accordi internazionali come quelli denominati di Oslo, culminati nella famosa stretta di mano tra Arafat e Rabin, in realtà non portarono nulla in favore degli arabi di Palestina. Secondo Lei ci fu davvero una qualche volontà politica a livello internazionale per trovare una giusta soluzione del problema?

R.: Certamente, la mediazione americana di Bill Clinton e del suo staff non fu super partes, ma nettamente sbilanciata in chiave filo-israeliana… Le motivazioni del governo statunitense spaziano dal peso molto forte, economico-politico, delle facoltose comunità ebraiche d’oltre Oceano, all’aberrazione cristiano-sinista, da molti, nel mondo, considerata in realtà di natura anticristiana. Infatti, L'affermazione che gli accordi di Oslo siano stati iniqui nettamente per la parte palestinese non deve apparire eccessiva. In ogni modo, Il 13 settembre 1993, ci fu a Camp David la storica stretta di mano tra Arafat e Rabin, e vennero siglati gli accordi cosiddetti di Oslo, dal nome della capitale norvegese, dove erano stati siglati. Questi accordi, salutati come un'enorme svolta, in realtà erano decisamente iniqui verso i palestinesi, ed in essi si scambiava il diritto con il favore. Prevedevano un graduale passaggio della sovranità ai palestinesi (a cominciare dalla Striscia di Gaza e dalla città cisgiordana di Gerico), con la suddivisione del territorio palestinese in tre zone: A, B e C. La prima era a controllo totalmente palestinese, la seconda a controllo israelo-palestinese, la terza a controllo solo israeliano. Non veniva smantellato alcun insediamento colonico, anzi, le colonie continuavano a crescere a dismisura, e per non creare problemi ai coloni venivano create strade solo per loro, interdette ai palestinesi. Il territorio palestinese continuava ad essere frazionato in numerosissimi posti di blocco, che rendevano la mobilità dei palestinesi quasi impossibile. Non è raro, infatti, trovare ad esempio gente di Betlemme che non abbia mai visto la vicinissima Gerusalemme. Decine di palestinesi sono morti, tra cui donne incinte e neonati, per colpa dei militati israeliti, che non hanno fatto passare in tempo le ambulanze che li trasportavano, fermate per ore senza effettiva necessità. Quanto alle questioni più spinose (statuto definitivo dei territori passati sotto il controllo dell' A.N.P., cioè dell'Autorità Nazionale Palestinese, presieduta da Arafat, profughi, status di Gerusalemme), venivano considerati da chiarire entro il 1999. Questa scadenza non sarebbe stata rispettata, come quasi nessun'altra scadenza prevista dagli accordi di Oslo. La stessa linea indicata dalla formula "Due popoli due Stati", passata per l'intervento di Arafat al Parlamento palestinese in esilio a Tunisi, nel 1988, ma contestata da grossa parte dei movimenti palestinesi, soprattutto da quelli radicali religiosi e laici, si rivelava sempre più impraticabile. Tutto questo soprattutto per una doppia concausa di fattori: il continuo incremento delle colonie ebraiche e la forte crescita demografica palestinese. C'è da tenere presente un altro elemento, in parte riassuntivo di quanto già detto: i territori di Cisgiordania e Striscia di Gaza costituiscono solo il 23% della Palestina storica, e di questo 23% i palestinesi sono giunti a controllare solo circa il 20%. Le colonie, invece, hanno continuato ad espandersi: addirittura, col labourista Ehud Barak si sono allargate con una velocità mai eguagliata precedentemente. A Rabin intanto era provvisoriamente succeduto il labourista Shimon Peres, in attesa di elezioni. Nonostante fossero in corso negoziati, erano continuati gli assassinii politici. Particolarmente indiscriminato fu il bombardamento israeliano contro la località libanese di Kafr Qana, dove vennero uccisi oltre 100 profughi libanesi sciiti. Gli israeliani avevano bombardato per rappresaglia contro le azioni dei combattenti Hezbollah, che legittimamente agivano per liberare la porzione di Libano ancora occupata dagli israeliani. Con le elezioni della primavera 1996 a Peres era succeduto Benjamin Netanyahu, esponente del Likud, col quale continuarono gli espropri. Con l'elezione a premier del labourista Ehud Barak, nel 1999, si giunse, con ritardo, alla fase finale dei negoziati, fissati a Camp David nel 2000. Dal maggio al luglio del 2000, dunque, le delegazioni israeliana e palestinese negoziarono con la "mediazione" non certo imparziale del molto filoisraeliano Clinton. I negoziati si arenarono sullo status di Gerusalemme. Inoltre, gli israeliani si opposero al rientro dei profughi palestinesi, che in oltre 50 anni erano divenuti, da 900.000 che erano, 5.000.000, quattro quinti dei quali all’estero. Per gli israeliani, non potevano rientrare in territori divenuti israeliani i profughi palestinesi di lì originari: la stragrande maggioranza, quindi. Al massimo, potevano essere risistemati in Cisgiordania e Striscia di Gaza, e pure in Stati diversi da quello palestinese futuro. Per la parte israeliana, inoltre, i palestinesi non avrebbero potuto controllare le proprie frontiere e spazi aerei, i maggiori insediamenti sarebbero dovuti venire annessi ad Israele, ed alcuni territori sarebbero passati ai palestinesi dopo molti anni. Una minima compensazione veniva offerta ai palestinesi, con una minuscola porzione di deserto del Neghev: si trattava, però, di un territorio molto arido, mentre i coloni si erano accaparrati le terre migliori.

 

Addirittura, al posto di Gerusalemme, Barak aveva offerto ai palestinesi la sovranità su un villaggio vicino, Abu Dis... Ai palestinesi, che chiedevano piena sovranità su Gerusalemme Est (erano disposti a cedere solo il quartiere ebraico del settore orientale della città, dato che non era abitato da loro), venne offerto solo un controllo amministrativo della città nella parte Est. Questo controllo amministrativo, poi, avrebbe compreso solo il quartiere arabo-cristiano e quello arabo-islamico, mentre il quartiere cristiano-armeno sarebbe dovuto essere definitivamente compreso in Israele, nonostante la volontà dichiarata apertamente dai palestinesi di ascendenze armene di volere essere compresi all'interno dello Stato palestinese. Il progetto di dare la sovranità del sottosuolo della zona della moschea di Al Aqsa (spianata) agli israeliani (perchè sotto vi sorgeva un tempo il principale tempio ebraico, per cui la zona è detta Monte del tempio dagli ebrei, in ricordo del luogo di culto distrutto dai romani nel 70 d. C.) e la sovranità della parte di sopra ai palestinesi non andò in porto. Eppure, nonostante le proposte di Barak non fossero affatto così generose, molta parte dei mass media addossò la responsabilità del fallimento ad Arafat. Questo è da addebitarsi anche alla forte presenza ebraica sui media soprattutto statunitensi, mentre Arafat venne accolto trionfalmente dal suo popolo, per non aver ceduto a richieste umilianti.

 

 

 

 

D: Dopo la dura repressione israeliana a Gaza nel 2009, dove furono utilizzate anche armi non convenzionali sulla popolazione palestinese nell’Operazione Piombo Fuso, fu evidente l’ascendente che il movimento di Hamas aveva oramai acquisito tra i palestinesi, soppiantando lo screditato Olp. Hamas, che fu colpito nei suoi vertici dagli omicidi mirati da parte delle forze israeliane (vale la pena ricordare gli attentati del 2004 contro lo Sceicco Ahmed Yassin, fondatore e capo spirituale di Hamas, seguito a distanza di poco tempo da quello contro Abdel Aziz al Rantissi  co fondatore dello stesso movimento assassinato anche lui), aveva nel programma la creazione di uno Stato di Palestina e nessun compromesso con l’entità sionista. Ci parli brevemente di Hamas.

R. : Una delle caratteristiche più evidenti di Hamas fu il suo integrare il patriottismo con una intensa ispirazione religiosa musulmana. Il nome Hamas è acronimo di "Movimento di Resistenza Islamica". Tale formazione politico-guerrigliera venne fondata nel 1987 nella Striscia di Gaza: stesso anno dell’inizio dell’Intifada, la rivolta popolare contro l’occupazione israeliana. Il principale esponente di Hamas fu lo sceicco Ahmed Yassin, tetraplegico e semicieco. Hamas, più ancora della Jihad islamica palestinese, divenne nota per la strategia degli attentati suicidi, senz'altro favoriti dallo stato di disperazione della popolazione verso evoluzioni politiche soddisfacenti, ma anche da una abnegazione incrollabile verso la causa nazionale. Hamas tentò di far sì che la battaglia di liberazione della Palestina si concentrasse in terra palestinese, evitando di coinvolgere obbiettivi all'estero, e concentrandosi soprattutto contro soldati e coloni. Il gruppo Hamas, come la Jihad islamica palestinese, preferì rimanere  fuori dall'O.L.P., pur cercando di evitare una guerra civile palestinese, e tentando invece di avviare rapporti costruttivi con le altre forze palestinesi. Hamas venne accusato frequentemente di terrorismo, tuttavia è ingiusto ridurre questa formazione ad una banda di terroristi. I palestinesi di Hamas hanno infatti realizzato una densissima rete di Stato sociale nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, favorendo, nella loro opera di assistenza, soprattutto donne e bambini tra i più bisognosi. Hamas, è importante ricordarlo, derivò idealmente da una filiazione dei Fratelli Musulmani. Un'altra figura di riferimento ideale di Hamas fu il Muftì Hajj Amin El Husseini, colui il quale aveva cercato e ricevuto gli aiuti tedeschi ed italiani negli anni '30 e '40, cercando in essi una sponda contro il colonialismo inglese ed il sionismo. Ancora nel XXI secolo rivendica tutta la Palestina storica (Cisgiordania, Striscia di Gaza, più l’attuale Israele: territorio complessivo in cui i palestinesi erano maggioranza all’epoca della fondazione d’Israele, e prima della massiccia pulizia etnica ai danni dei palestinesi della guerra del 1948-1949). Tuttavia, Hamas non propaganda necessariamente una distruzione violenta dello Stato ebraico, ma una implosione in quanto Stato etnico-confessionale: con il ritorno dei profughi palestinesi nelle terre di cui erano originari, infatti, la maggioranza ebraica verrebbe meno da sé. Ancora a proposito di Hamas, è importante ricordare che tale movimento, nel 2006, aveva vinto, democraticamente, le elezioni nei territori palestinesi occupati dal 1967 (Cisgiordania e Striscia di Gaza), anche a causa di una reazione della popolazione a fenomeni di corruzione non rari all’interno di Al Fatah; tuttavia, attraverso episodi di guerra civile indotta dall’esterno, il governo legittimo di Hamas era stato rovesciato, con le armi, in Cigiordania, nel corso del 2007. Hamas aveva mantenuto il governo della sola Striscia di Gaza, che però aveva subito l’ostracismo da parte dei governi occidentali, con un embargo riguardante molti settori economici; embargo che fu solo in seguito, per certi aspetti, revocato, dati i seri danni che apportava alla popolazione civile…

 

D: Ora Hamas di recente con il suo nuovo capo Ismail Haniyeh ricevendo ufficialmente a Gaza l’emiro del Qatar, prima visita di un capo di Stato arabo nella striscia dal 1967, sembra voler dare una sterzata alla sua linea politica in cambio di sostanziosi aiuti economici e di un riconoscimento ufficiale, si parla di 254 milioni di dollari in investimenti del Qatar a Gaza, mentre Israele non cambia metodi, lanciando l’ennesima offensiva contro i vertici del movimento assassinando due esponenti di spicco come Ahmed al Jaabari delle Brigate Al Qasam e Raed Attar. Lei che ne pensa?

R. : Hamas aveva compiuto la scelta lungimirante, per l’unitarietà di intenti del popolo palestinese, di non proclamare uno Stato di Palestina nella sola Striscia di Gaza, benché sarebbe potuto essere lo Stato d’ispirazione islamica che poteva essere congeniale alle idee portanti di tale formazione palestinese… Si può supporre che l’obiettivo del governo del Qatar sia invece proprio la proclamazione di un micro Stato palestinese nella Striscia di Gaza, incoraggiando al rimandare ad un tempo indefinito l’estensione di tale Stato ad altri territori della Palestina. Certamente, uno Stato palestinese di estensione talmente minimale sarebbe più facilmente controllabile, mancando di risorse essenziali, e poi ciò, dal punto di vista anche psicologico, non sottolineerebbe la giusta esigenza della liberazione, il prima possibile, di altri territori della Palestina. C’è da sperare, quindi, che Hamas non scelga un’ opzione che non favorirebbe l’unità nazionale palestinese. Il Qatar, peraltro, sta da tempo tentando di ampliare la propria zona di influenza, anche favorendo le rivolte arabe contro governi laici, tra Nord Africa e Medio Oriente: in Libia, il Qatar ha avuto addirittura un ruolo militare a fianco della NATO, nel rovesciare il regime di Gheddafi; riguardo la Siria, invece, sono trapelate voci su ministri siriani pagati dal governo del Qatar per abbandonare il governo di Hafez el Assad. Insomma, il Qatar si presenta, in teoria, in quanto paladino di possibili, nuove democrazie arabe: peccato, però, che il governo dell’emiro del Qatar non sia un esempio, esattamente, di democrazia: si tratta di una delle molte monarchie petrolifere del Golfo Persico… si tratta, quindi, di regimi non libertari, spesso apertamente dittatoriali, e che, non di rado, della modernità accettano solo le innovazioni tecnologiche… Ultimamente, a proposito della Siria, il governo di Hamas ha dichiarato che non volta le spalle a chi li ha sostenuti (la Siria stessa, che per anni ha ospitato, appunto, il quartier generale di Hamas), ma che non può ignorare la spargimento di sangue arabo, cioè la repressione nella stessa Siria. Si può ricordare che popolazione siriana è prevalentemente sunnita (non diversamente da quella palestinese), ma il governo siriano è prevalentemente diretto da una minoranza di derivazione sciita, gli alawiti. Ciò che penso debba essere prioritario è lo schierarsi contro un intervento militare occidentale in Siria, che rischierebbe di espandere l’imperialismo nella regione; per il resto, ogni iniziativa reale che possa favorire il ritorno al dialogo in Siria, nel rispetto do ogni sua componente etnico-religiosa, penso debba essere benvenuta. Riguardo, invece, l’ignobile politica degli assassinii mirati contro esponenti palestinesi, dovrebbe far riflettere che la giusta priorità del movimento di liberazione palestinese debba essere liberarsi dall’oppressione colonialistica israeliana. L’assassinio di Al Jabari, ultimamente, è stato particolarmente proditorio, in quanto questi aveva un progetto di tregua che, evidentemente, non conveniva al governo di Netanyahu, che voleva un trionfo su Hamas in vista delle vicine elezioni israeliane…


 

D: Vede una soluzione del problema palestinese a breve? Potrà Israele continuare ancora a lungo la sua guerra asimmetrica e la sua politica aggressiva, oppure nonostante i copiosi aiuti militari e finanziari statunitensi dovrà prima o poi sedersi a un tavolo e trattare?

R.: Credo che l’oppressione non potrà durare per sempre, ma, nello stesso tempo, penso che ci siano elementi per considerare che il processo di liberazione, autodeterminazione del popolo palestinese avverrà in diverse fasi, ed in tempo storici. Non sarei fatalista in senso pessimistico: la storia ha dimostrato che anche realtà che sembravano inattuabili sono venute meno: ad esempio, gli Stati crociati, nel Medioevo, l’Impero coloniale britannico, in età contemporanea, ecc… Tuttavia, certamente la situazione, attualmente, rimane preoccupante, addirittura allarmante: basti pensare ai commenti di diversi esponenti politici ebrei israeliani alla nuova aggressione militare contro la Striscia di Gaza, che già causato più di 100 morti tra i palestinesi: tra questi, quelli del parlamentare Michael Ben-Ari, che ha dichiarato senza vergogna di volere 2000 morti a Gaza (e l’offensiva dell’esercito ebraico si avvicinò realmente a questa cifra tra dicembre 2008 e gennaio 2009, provocando circa 1400 morti tra i palestinesi). Certamente una chiave che potrebbe portare a una risoluzione, almeno parziale, del problema, sarebbe un cambiamento di linea e/o di forze a livello internazionale, con Israele non più appoggiata unilateralmente dal governo statunitense. L’emergere di uno scenario più multipolare, con vari Paesi emergenti, soprattutto in Asia ed America Latina, potrebbe far sperare qualcosa al riguardo. Inoltre, sono anni che i rapporti tra Turchia ed Israele si sono incrinati seriamente, dopo lo sciagurato attacco alla Freedon Flotilla da parte israeliana: attacco che causò molte vittime tra attivisti per la pace turchi, che rappresentavano una parte importante delle persone a bordo della nave. Inoltre, un altro dato da tenere sotto controllo, che potrebbe inficiare il dominio del governo israeliano su un altro popolo, è la questione demografica: secondo vari studi, con questo tasso di crescita, i palestinesi all’interno dei confini d’Israele (a parte i profughi all’estero, e la popolazione di Cisgiordania e Striscia di Gaza) potranno superare la popolazione ebraica. Non penso sia realistico, quindi, che si possano dominare a lungo tali moltitudini…


Antonella Ricciardi, laureata in Filosofia, giornalista, è stata vincitrice nel 2009 del premio giornalistico” Progetto Napoli Nord”, ha poi vinto il premio letterario internazionale “Giacomo Leopardi” con l’articolo sulle “minoranze oppresse del Kosovo”, e il concorso promosso da IRIB (radio giornalistica di Stato iraniana) per un servizio dedicato a una possibile pace equa in Palestina. Il saggio “Palestina una terra troppo promessa” è la sua prima opera.