Da tempo Detroit ha dichiarato fallimento, gli americani erano così assuefatti dalla nenia palpitante della Motown Greatest Hits, che non si sono accorti che il 40% dei suoi lampioni non funzionano; 210 dei suoi 317 parchi pubblici sono stati chiusi definitivamente, la polizia impiega un’ora per rispondere ad una chiamata al 911, solo un terzo delle sue ambulanze sono guidabili, un terzo della città è stata abbandonata; gli agenti immobiliari locali offrono case in vendita per un dollaro e trovano ancora acquirenti, eccetera, eccetera. Gli americani erano così assuefatti che la conferma formale della caduta di una grande città, è stato accolta con poco più di un’alzata di spalle fatalista.
Ma così non dovrebbe essere. Per raggiungere questo livello di devastazione, di solito la si ha dopo un’invasione da parte di una potenza straniera. Nella guerra del 1812, quando Detroit fu presa da un notevole numero di truppe britanniche senza colpo ferire, Hull governatore del Michigan, fu detto che venne preso dal panico arrendendosi dopo aver bevuto pesantemente. Due secoli più tardi, e dopo un cinquantennio progressista, la città si è piegata e si è arresa a sé stessa. Il tunnel da Windsor (in Ontario) a Detroit (in Michigan) è oggi una frontiera tra il Primo Mondo e il Terzo Mondo, o se si preferisce tra il mondo sviluppato e il mondo post-sviluppato.
Per qualsiasi americano trasportato con un viaggio nel tempo dalla metà del XX° secolo, l’implosione della città sarebbe letteralmente incredibile: se questi dovesse confrontare le fotografie di Hiroshima di oggi con l’odierna Detroit, darebbe per scontato che il Giappone abbia vinto la seconda guerra mondiale ed abbia in seguito bombardato il Michigan. Detroit era la potenza industriale d’America, l’”arsenale della democrazia”, e nel 1960 la città con il più alto reddito pro capite del Paese. Mezzo secolo dopo la popolazione di Detroit è scesa di due terzi e, in termini di “reddito pro capite”, molti hanno ristretto la loro liquidità o non hanno alcun reddito al di là delle carte EBT. La recente serie dellaHBO, Hung, narra le avventure di un allenatore di basket di una scuola di Detroit in lotta per i finanziamenti e costretto a fare il gigolò al chiaro di luna.
Sarebbe incoraggiante pensare che il resto della forza lavoro dell’esteso settore pubblico, le cui pensioni e prestazioni non sostenibili hanno portato Detroit al suo attuale stato pietoso (e che rappresentano 9 dei suoi 11 miliardi dollari in prestiti non garantiti), potrebbe essere convinta a seguire il protagonista della fiction ed impiegarsi nel settore privato, ma questo probabilmente comporterebbe più gigolò di quelli che il mercato potrebbe sopportare, anche tenendo conto di un incremento del turismo proveniente da Windsor.
Così, in un tardo Venerdì, qualche geniale giurista ha annullato la richiesta di fallimento. La giudice Rosemarie Aquilina ha dichiarato il fallimento di Detroit “incostituzionale”, perché, secondo quanto riporta il Detroit Free Press, «la Costituzione del Michigan vieta azioni che diminuiscano le prestazioni pensionistiche dei dipendenti pubblici». Il che significa che la realtà è incostituzionale in Michigan.
Quindi una rovinosa bancarotta, la quale non è in grado di essere dichiarata, porterà a svendere i pochi oggetti di valore rimasti, come ho appreso da una notizia del Detroit News intitolata Howdy Doody May Test Limits of Protecting Detroit Assets. Per quelli con meno di 40 anni, ehm, ok sotto gli 80 anni, Howdy Doody è un burattino amato dai bambini americani, in abito occidentale con un sorriso raggiante e 48 lentiggini, una per ogni Stato, il che vi dà un’idea di quando fu il suo periodo di massimo splendore. The Howdy Doody Show terminò la sua corsa il 24 Settembre 1960, il che avrebbe avuto un senso anche per Detroit.
L’Institute of Arts della città ha pagato 300 mila dollari per l’originale burattino Howdy Doody, pari al costo di 300 mila case con tre camere da letto. Non siate troppo eccitati, non si può andare a Detroit a vederlo in mostra, in quanto lui è in deposito. E’ in qualche magazzino sdraiato senza far nulla tutto il giorno, come tanti dipendenti comunali della città pagati 300 mila dollari. Invece di svenderlo, forse dovrebbero farlo lavorare al chiaro di luna come un gigolò e venderlo alla HBO come Hungy Doody (“quando sei alla ricerca del vero legno”). Che altro resta da vendere? La città di Windsor ha già offerto di acquistare dai suoi vicini d’oltreconfine la metà del tunnel Detroit/Windsor, forse per murarlo.
Con il temporaneo fallimento ci viene detto che i “poli di innovazione” e le “zone industriali” sono la risposta. Veramente? Nel mio libro After America osservo che il decadimento fisico di Detroit, i lotti liberi ed abbandonati isolato dopo isolato dopo isolato, non sono nulla in confronto al decadimento del capitale umano della città. Il 47% degli adulti sono di fatto analfabeti, che è circa la stessa cifra presente nella Repubblica Centrafricana, la quale almeno ha la scusa di essere stata governata nel corso degli anni Settanta da un imperatore cannibale. Perché ogni vero innovatore dovrebbe aprire un’attività in una Detroit “polo di innovazione”? E chi impiegherebbe? Gli analfabeti includono un recente presidente di un consiglio scolastico, Otis Mathis, che non promette nulla di buono per la forza lavoro potenziale da qui a un decennio.
Dati i loro rispettivi punti di partenza, si deve concludere che il Partito Democratico di Detroit ha una squadra molto più completa di distruttori di quella che circondava l’imperatore Bokassa. Nessuna bomba, nessuna invasione e guerra civile, solo politiche liberal e “progressiste” giorno dopo giorno. Gli americani possono sospirare e dire: «oh beh, Detroit è una anomalia». E’ una anomalia solo nel senso che è successo prima qui. La stessa alleanza maligna tra una classe politica corrotta, rapaci sindacati del settore pubblico, e un esercito sempre più gonfio di sussidati del welfare è stata adottata nell’ex Golden State of California, e in gran parte dall’amministrazione Obama, le cui priorità della “riforma sanitaria” e della “riforma dell’immigrazione”, sono determinate dallo stesso asse costituito da élite-sindacati-dipendenti sussidiati. Come qualcuno ha tweetato ironicamente, «se Obama avesse una città, sarebbe simile a Detroit».
Dopo la Battaglia di Saratoga, Adam Smith disse ad un amico scoraggiato, affermante che i coloni in rivolta fossero la rovina della Gran Bretagna, «c’è una grande quantità di rovina in una nazione», pure in una grande città. Se la vostra eredità comprende i frutti di visionari come Henry Ford, Walter Chrysler ed i fratelli Dodge, è possibile galleggiare per un lungo periodo di tempo, salvo poi declinare in modo incrementale, e quindi dal meno incrementale in maniera catastrofica, fino a ciò che resta, come l’istanza di fallimento della città indicava, «strutturalmente scoperta e in pericolo di collasso». C’è una grande quantità di rovina nelle società avanzate, ma a Detroit ci sono voluti solo sei decenni.
«Strutturalmente scoperta e in pericolo di collasso», aspettate un attimo. Come Detroit, l’America ha passività non finanziate, per la somma di 220 mila miliardi dollari, secondo l’economista Laurence Kotlikoff. Come Detroit, coccola la classe di governo ed espande la sua dipendenza, al punto che la sua bipartisan “riforma dell’immigrazione” recluta attivamente 50-60 milioni di migranti poco qualificati. Come Detroit, le istituzioni di governo dell’America stanno sempre più incrementando i corrotti esecutori di uno Stato a partito unico, l’IRS e Eric Holder e un distratto ed erroneamente chiamato Dipartimento di Giustizia sono solo gli esempi più evidenti. Come Detroit, l’America si sta biforcando nella classe degli “organizzatori di comunità” e negli abitanti delle sfortunate comunità organizzate.
L’unica cosa buona che potrebbe venire fuori dal fallimento è se tali pensioni del settore pubblico saranno tagliate e i dipendenti pubblici costretti ad imparare che cosa succede quando, come afferma Kevin Williamson su National Review, un parassita diventa troppo grande per il suo ospite. Ma in attesa di un appello sull”‘incostituzionalità”, non importa quanto sia morto l’ospite. Oltre a ciò, Detroit ha urgente bisogno di entrambi i provvedimenti per rendersi non-folle alle persone di talento, al fine di farle vivere in città, finendo di sottoporre la sua attuale popolazione ad un sistema di “educazione” pubblica la quale è poco più di un abuso su minori su base sindacale. In caso contrario Windsor in Ontario potrebbe anche annetterla per un parco a tema sulla guerra del 1812, ad ogni modo se il Generale Brock e il Royal Newfoundland Fencibles avessero fatto a Detroit ciò che ha fatto il Partito Democratico, sarebbero sotto processo per crimini di guerra a L’Aia.
traduzione integrale in italiano dell’articolo The Downfall of Detroit, tratto da National Review di Mark Steyn, editorialista ed autore del libro After America: Get Ready for Armageddon. (Traduzione di Luca Fusari)