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Un paese saccheggiato

di Stefano Liberti - 27/07/2006

 
Diomi Ndongala Ex ministro delle miniere, candidato alla presidenza, denuncia oggi la svendita delle ricchezze minerarie
 
«Questo paese è stato spogliato dalle sue ricchezze a più riprese e continua a esserlo». Ex ministro delle miniere nel governo di transizione, ministro dell'economia e delle finanze all'epoca di Mobutu, Eugène Diomi Ndongala ha una conoscenza approfondita di quello che è il dossier più scottante della Repubblica Democratica del Congo (Rdc): il suo sottosuolo denso di ricchezze e preda degli appetiti voraci tanto dei paesi vicini - in primis Ruanda e Uganda - quanto delle potenze europee. Licenziato dal presidente Joseph Kabila con l'accusa di corruzione («in realtà a causa della mia scarsa propensione a svendere i beni del popolo congolesequot;, dice lui), Diomi è candidato per la Democrazia cristiana alle elezioni presidenziali di domenica prossima. Lo incontriamo a Roma, nel corso di una rapida visita privata. Con lui discutiamo della spoliazione delle ricchezze minerarie che ha subito il suo paese.
Lei sostiene che l'attuale governo di transizione ha regalato le ricchezze del Congo ad interessi e società stranieri. Può essere più preciso?
C'è stata negli anni della transizione un'estrema negligenza nella gestione delle risorse minerarie e un'assoluta mancanza di trasparenza. Le élites al potere hanno regalato le concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti a gruppi stranieri, in cambio di ricche mazzette. Quando io sono diventato ministro delle miniere, ho introdotto un meccanismo di gestione più trasparente, in cui le cifre delle esportazioni erano pubblicate quotidianamente su un sito internet. Basti pensare che questo ha fatto aumentare gli introiti delle esportazioni solo di diamanti da 280 milioni a 800 milioni di dollari. Il tutto a vantaggio della popolazione congolese. Ma la cosa non è riuscita gradita a qualcuno e sono stato messo da parte.
Il rapporto della commissione parlamentare sulle concessioni minerarie guidata dal deputato Cristophe Lutundulaè rimasto insabbiato per diversi mesi e non è stato discusso dal parlamento. A cosa è dovuta questa reticenza?
L'insabbiamento del rapporto Lutundula non fa altro che confermare quello che ho appena detto. L'intreccio di rapporti tra le élites attualmente al potere, gruppi e singoli personaggi stranieri costituisce una vera e propria cupola, che cura soltanto i propri interessi. Il rapporto denunciava l'iniquità dei contratti firmati durante la guerra. Un aspetto sottolineato anche dal gruppo di esperti Onu: in cinque anni sono stati sottratti al popolo congolese cinque milioni di dollari. Ma l'argomento è ancora tabù in questo paese.
Se dovesse diventare presidente, denuncerebbe i contratti firmati durante la transizione?
Credo che sia necessario correggere gli errori fatti, senza tuttavia fare forzature eccessive. Con la globalizzazione nessuno può pensare di andare avanti per la propria strada come se fosse un vaso chiuso. Penso quindi che sia necessario ridiscutere i contratti in modo pacato con le controparti, trovando un accordo valido e giusto per tutti. Il mio obiettivo principale è la lotta alla corruzione, alla frode e al malgoverno. Solo così il Congo avrà una reale sovranità e non una sovranità sotto tutela legata a interessi stranieri.
Quali sono i principali punti del suo programma?
Io propongo un New Deal per il Congo, un nuovo patto sociale per ricostruire questo paese devastato da troppi anni di guerra. Bisogna pensare che l'attuale classe di potere è uscita dalla guerra; è con le armi che è arrivata ai vertici dello stato. È ora di ridare la parola alla politica.