Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Husqvarna. Come fare per non uscire dalla crisi…

Husqvarna. Come fare per non uscire dalla crisi…

di Alessandro Cappelletti - 05/11/2013

 

Era l’ottobre del 2008, cinque anni fa, quando negli Stati Uniti scoppiò la più grave crisi economica che si ricordi dal 1929. Cinque anni in cui nel mondo non è stato fatto nulla per risolvere i problemi endemici di un sistema che non funziona più ma che, anzi, non hanno fatto che acuire le drammatiche condizioni sociali ed economiche delle popolazioni occidentali sulle quali è stato successivamente riversato il problema della Crisi.

Potevano essere anni di riformismo, di cambiamenti, di radicali stravolgimenti di un modello che, anziché confrontarsi con la produzione, l’evoluzione, la giustizia sociale, ha preferito continuare a replicare se stesso con modalità ancora più arroganti e dispotiche, cancellando qualsiasi forma democratica e levandosi il velo del politicamente corretto che ne aveva contraddistinto le apparenze fino al crollo dei mercati finanziari. Allo stesso tempo è mancata la spinta imprenditoriale, creativa, temeraria che nelle passate crisi apriva nuovi scenari industriali ed economici, un po’ per la paura di fare il fatidico “passo più lungo della gamba”, un po’ per il mancato supporto del sistema bancario che si è chiuso in se stesso e un po’ per mancanza di fantasia. Potevano aprirsi nuovi scenari, nuovi orizzonti  e invece siamo rimasti fermi in un pantano da cui non sappiamo uscire.

Il caso Husqvarna è paradigmatico di questo disastro industriale. Husqvarna è un marchio svedese legato a diverse attività produttive: motoseghe, elettrodomestici, macchine per cucire, motociclette. Quest’ultimo settore è stato ceduto dalla casa madre ai fratelli Castiglioni, allora proprietari di Cagiva, Ducati ed MV Agusta, altri nomi storici del motociclismo, e da questi, nel 2007, a BMW che a sua volta nel gennaio del 2013 ha ceduto la casa motociclistica agli austriaci di Pierer Industrie AG, il cui amministratore delegato ricopre lo stesso ruolo anche all’interno di KTM, ovvero il principale concorrente di Husqvarna. Poco tempo dopo questo nuovo passaggio di proprietà, il 18 aprile 2013, Pierer Industrie Ag ha concordato la cassa integrazione per circa 200 dei 240 lavoratori a causa della cessazione parziale dell’attività e il 3 maggio ha comunicato ai sindacati e ai vertici politici locali la chiusura definitiva dello stabilimento varesino a causa delle perdite milionarie che dal 2008 in poi sono aumentate vertiginosamente. A novembre la catena produttiva smetterà di funzionare definitivamente. Impiegati in azienda resteranno solo i magazzinieri e le maestranze dei depositi da smaltire e ricollocare in Austria. Ciò significa che oltre al danno ci sarà la beffa di vedere trasferiti anche i progetti, i brevetti, gli studi e le conoscenze contenuti nei computer che verranno delocalizzati altrove.

Il 22 maggio del 2013, nel corso di un incontro tra le parti al Ministero dello Sviluppo Economico: “l’Azienda ha illustrato le ragioni sottostanti all’annuncio di cessazione dell’attività. Nello specifico, l’Azienda ha motivato tale scelta anche riferendo le difficoltà di sovrapproduzione del mercato di riferimento correlate altresì ad errori di carattere strategico della precedente proprietà. L’Azienda ha pertanto confermato la scelta ufficializzata di chiusura della produzione.”

Gli “errori di carattere strategico” commessi da BMW hanno portato Husqvarna a perdere una quota di fatturato pari al 27,81% nel periodo compreso tra il 2009 e il 2011 con un risultato netto inferiore del 15,16% e una consistente diminuzione del capitale sociale pur rimanendo, secondo dati presi da iCribis, con un range di fatturato superiore ai 30 milioni di euro.

Come è possibile, allora, che tra il 2009 e il 2012 siano stati spesi 55 milioni di euro in consulenze, prevalentemente effettuate da personale BMW? E come è possibile che queste “consulenze tecniche” prestate dagli efficienti tedeschi, non abbiano apportato alcun miglioramento gestionale all’interno dell’azienda ma, al contrario, abbiano generato una passività di 30 milioni di euro?

Dai dati riportati dall’Associazione Sindacale Autonoma – ASA si evince che l’incidenza dei costi dei materiali sui ricavi sono stati pari a:

  • 2012: 89,13%
  • 2011: 80,12%
  • 2010: 93,28%
  • 2009: 75,28%

Mentre per quanto riguarda i costi dei servizi sui ricavi, i numeri dicono:

  • 2012: 50,31%
  • 2011: 75,31%
  • 2010: 48,18%
  • 2009: 31,99%

A ciò si aggiunge l’incidenza del costo del personale sui ricavi che, malgrado la mobilità per 39 persone (tra 2009 e 2010), peggiora dopo la ristrutturazione”:

  • 2012: 28,84%
  • 2011: 33,51%
  • 2010: 25,48%
  • 2009: 22,08%

A ciò dobbiamo aggiungere i danni all’indotto che rischiano di mettere in ginocchio un’intera provincia e non solo: secondo uno studio svolto in primavera, sono 58 le aziende varesine coinvolte dalla chiusura di Husqvarna, 103 in Lombardia e 68 in Emilia Romagna, con un danno alla filiera facilmente preventivabile.

Questo sfascio è avvenuto nel totale silenzio di sindacati e politica, che si sono accorti del disastro solo quando i buoi erano già scappati dal recinto, nonostante la riduzione del personale avvenuta nel 2009 e gli investimenti immobiliari fatti da BMW sul territorio avessero dovuto accendere una lampadina d’allarme. O forse proprio per questo si è preferito guardare dall’altra parte e fare finta di niente? Del resto, gli stessi tedeschi non hanno fatto che adeguarsi alle peggiori abitudini italiane. Fatto sta che la battaglia sindacale si è ridotta ai soliti scioperi e presidi, a qualche manifestazione di piazza e svariati tentativi di aggregare persone famose alla propria causa. Il risultato è che Pierer Industrie ha fatto ciò che voleva e ora continuerà a produrre moto Husqvarna altrove, lasciando sulle spalle dello Stato, e quindi dei contribuenti, duecento operai in cerca di futuro.

Ma siamo proprio sicuri che non ci fossero strumenti alternativi o giuridici in grado di cambiare il corso degli eventi? Noi pensiamo di sì e ci avvaliamo dell’aiuto della Costituzione Italiana, così spesso citata in ogni dove ma sempre dimenticando quelle parti di Giustizia Sociale che non fondano le proprie origini nella cultura progressista e marxista.

L’artico 42 dice infatti che: “la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale.” Ovvero lo Stato acquisisce mediante provvedimento legislativo la proprietà di determinate industrie private con lo scopo di tutelare gli interessi nazionali o con finalità sociali di sostegno all’occupazione. Non è il caso Husqvarna? Non è il caso di un’azienda rovinata e spolpata da una proprietà straniera, svenduta a una proprietà straniera e da una proprietà straniera chiusa e trasferita in altre sedi oltre confine? Del resto lo abbiamo visto proprio all’inizio di questa Crisi un esempio di nazionalizzazione atta a salvaguardare il patrimonio economico di un’azienda, ovvero quando gli Stati Uniti d’America acquisirono per intero il capitale delle due banche che diedero principio al collasso recessivo, ovvero Fannie Mae e Freddy Mac, che nel frattempo sono state risanate e re-immesse sul mercato, restituendo al Governo Federale tutti i prestiti ricevuti e, nel caso di Fannie Mae, chiudendo l’esercizio del 2012 con un utile di 60 miliardi di dollari.

Anzichè attendere l’intervento divino della grazia concessa, aspettare italicamente che le cose si sistemino da sole, sperare in infiniti e improduttivi aiuti statali, invocare ammortizzatori sociali in grado di alleviare la pena ma non di curarla, gli americani, in quei casi specifici, hanno aggredito le difficoltà, si sono dati da fare e ne sono venuti fuori.

L’unica soluzione che può salvare lo stabilimento che fu di Husqvarna e quindi centinaia di posti di lavoro, di capacità, di conoscenze è la nazionalizzazione. E successivamente la socializzazione, restituendo agli operai e agli impiegati la proprietà di un’azienda che potrà tornare sul mercato a giocarsi le sue carte di eccellenze produttive.  Sempre avvalendoci dell’aiuto della Costituzione Italiana, ricordiamo il quasi inedito Articolo 46, che dice: “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro, in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”. Non si chiede la carità o una pioggia di soldi a fondo perso, anche se con la corruzione che c’è in Italia nessuna garanzia di trasparenza sarebbe assicurata, ma semplicemente un aiuto di Stato temporaneo che possa salvare lavoratori e famiglie da un futuro incerto. Sarebbe anche l’occasione per dimostrare che ci sono strade alternative e virtuose all’assistenzialismo parassita che ci ha condotto in questo baratro e per dimostrare che la politica è ancora viva e pensa ai problemi dei suoi cittadini.

Nello stesso territorio varesino, a pochi chilometri di distanza dai siti Husqvarna, c’è l’esempio di MV Agusta che dovrebbe far riflettere su cosa realmente si possa fare. L’azienda di Samarate, che in passato dominava il motomondiale con campioni del calibro Surtees, Hailwood e Agostini, nel 2012 ha registrato dati di vendita in totale controtendenza con la crisi che ha bloccato l’Italia, grazie soprattutto alle esportazioni che contano per l’80% nel fatturato aziendale e che hanno permesso una crescita doppia rispetto all’anno precedente e una previsione del 20-30% in più per gli anni che vengono.

Restare fermi di fronte al disfacimento della nostra economia, incolpando gli eventi e la sfortuna, non è affrontare la Crisi. È solo un alibi per mettere a tacere la cattiva coscienza di ignavi e fannulloni. La Crisi si affronta con la volontà di uscirne fuori e la creatività che genera soluzioni coraggiose e di rottura con il nostro presente ammuffito e moribondo.

 

 ______________________________

Alcune fonti:

Intervista a Giovanni Castiglioni di MV Agusta

 

Si dice che questa dote fosse di 20 milioni di euro
Si parla di decine di milioni di euro, oltre alle moto invendute e ai ricambi. Io questa dote l’avrei destinata alla ristrutturazione del personale, effettivamente in eccesso, investendo nel prodotto nei primi tre anni e riprendendo il personale successivamente. Purtroppo quando BMW è entrata in trattativa con Pierer non sono potuto intervenire, il loro obiettivo era di cedere la società il prima possibile. Certo, il problema è che rimangono a casa 200 e passa famiglie… Dovevo prenderla io Husqvarna? Forse sì, ma è una scelta che avrei fatto col cuore più che con la testa, perché avrei distolto l’attenzione da MV.

L’anno è appena cominciato. La Bmw ha fretta di liberarsi di Husqvarna, la considera una «zavorra» sui conti di Monaco dopo il fallito rilancio. Il motivo è scritto nei bilanci: nel 2011 l’Ebit (l’utile prima delle tasse e degli interessi) della divisione moto di Monaco cala del 36% «a causa dei costi delle misure di ristrutturazione in Husqvarna» si legge nei documenti.

 

Fu infatti la Cagiva dei fratelli Castiglioni, Claudio e Gianfranco, ad acquistare il marchio Husqvarna nel 1987. Lo stesso anno nel quale venne rilevata anche la Ducati che navigava in cattive acque. La Cagiva aveva appena vinto due campionati del mondo di motocross, nel 1985 e 1986, e avrebbe poi conquistato anche la Paris Dakar nel 1990 e 1994. Dal nulla la Cagiva creò la nuova gamma di moto Husqvarna, che da molto tempo era inesistente. In questo periodo le Husky nate sotto la proprietà Cagiva, e successivamente MV Agusta, hanno saputo conquistare venti titoli mondiali nell’enduro, tre nel motocross e due nel supermotard. Tanto che nel 2007 la BMW, che voleva allargare la sua azione, comperò da MV la Husqvarna per una cifra prossima ai cento milioni di euro.

La recessione italiana non è stata certo l’unica difficoltà per Husqvarna, anche se è chiaro che dalla debolezza del mercato interno derivano gran parte dei problemi. 

La produzione nazionale è scesa a 400mila unità, il 70% in meno rispetto al picco del 1980 ma l’accelerazione del calo c’è stata negli ultimi anni, a fronte anche di un mercato interno in caduta libera.