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Ingannare le donne è l’arte di un vero uomo?

di Francesco Lamendola - 17/12/2013




 

È indice di virilità, per un uomo, conoscere a fondo e praticare l’arte di ingannare le donne, di lusingarle, di illuderle, per ottenerne i favori e fare sì che gli si concedano?

Domanda insidiosa: non solo moltissimi uomini, ma anche – pur se raramente oserebbero dirlo apertamente – moltissime donne, ritengono di sì: uomini che puntano non alla qualità, ma alla quantità dei loro “successi” amorosi e donne che, con buona pace di quasi un secolo di cultura femminista, nondimeno continuano a sognare il loro principe azzurro nelle vesti di un maschio che sia “stronzo” (cioè, nel linguaggio proprio dei giovani, “duro, egoista, senza scrupoli”), ma che le faccia sentire, nel medesimo tempo, desiderate alla follia.

Moltissimi uomini non capirebbero, e sarebbero pronti a dileggiare, un uomo che non dica mai bugie alle donne, che non cerchi di apparire, con esse, diverso da come è realmente; un uomo che si presenti con sincerità, che non lusinghi la loro vanità con melliflue parole e che non le elettrizzi con audaci, ma fasulle dichiarazioni d’amore; che abbia per loro il medesimo rispetto che ciascun essere umano, sia uomo che donna, vorrebbe per se stesso. D’altra parte, moltissime donne, pur dicendo di ammirare un uomo del genere e pur affermando che si riterrebbero fortunate se lo incontrassero e che, anzi, non chiederebbero nulla di meglio alla vita, di fatto, dovendo scegliere fra lui e il classico maschio cialtrone, falso e bugiardo, sceglierebbero quest’ultimo, per poco che apparisse loro fisicamente più attraente o, semplicemente, che sapesse divertirle di più, che fosse capace di riscaldare i loro sensi, di farle sentire uniche al mondo (e sia pure per il tempo strettamente necessario a conquistarle ed espugnarle), che le facesse davvero sognare.

E proprio questa è una delle principali ragioni per cui i rapporti fra uomo e donna sono così squilibrati, nevrotici, aggressivi, altalenanti: c’è pochissima sincerità da entrambe le parti; chi mente per abitudine, per principio, per strategia, spesso, alla fine, è premiato dal successo; mentre chi è sincero, leale, sensibile ai sentimenti dell’altro e alla sua eventuale sofferenza, va incontro a una tacita commiserazione, passa per sciocco o per noioso, non vede riconosciute le sue buone qualità, ma, al contrario, finisce per accorgersi che non c’è posto per lui o che, nel migliore dei casi, gli viene tributata una ammirazione platonica, non priva di una punta d’ironia.

Si dice che in guerra e in amore tutto è permesso; e questo è il risultato di un tale filosofia: l’uomo e la donna non si rispettano, cercano di ingannarsi, danno per scontato che mentire sia lecito, che sia normale, che sia perfino meritorio: perché si tratta di approfittarsi dell’altro, prima che l’altro faccia esattamente la stessa cosa. In un mondo dove la sincerità non paga, dove sembra che viga una lotta senza quartiere di tutti contro tutti, chi rispetta le regole diventa un fesso, un perdente, un originale, se non addirittura un povero mentecatto.

Ma torniamo a considerare la cosa dal punto di vista del maschio. L’uomo che colleziona trofei femminili, si sa, è ammirato, invidiato, imitato dagli altri maschi, nonché desiderato, magari segretamente, ma non per questo meno intensamente, da un grandissimo numero di donne: donne le quali considerano “interessante” un uomo che ha posseduto molte donne, che ha giocato con molti cuori femminili; le quali vedono come eccitante e coinvolgente la prospettiva di essere da lui corteggiate, o, quanto meno, di attirare la sua attenzione: perché, in tal modo, è come se esse si sentissero rassicurate circa il fatto di poter piacere. Strano, ma vero: la donna non si sente lusingata dal fatto di essere desiderata da uomini di qualità, di spessore, di valore, ma dal fatto di essere desiderata da uomini che hanno fatto molte conquiste femminili, che hanno ottenuto la resa di molte cittadelle femminili, magari ritenute inaccessibili. Che un tale uomo possa anche essere fisicamente poco attraente, che possa essere intellettualmente inconsistente e moralmente discutibile, o addirittura meritevole di sfiducia e di poca o nessuna stima, tutto ciò passa in secondo piano: è il suo successo con le donne che lo rende appetibile, per non dire irresistibile.

Ora, la domanda è: un tale uomo merita tutta questa ammirazione, in quanto perfetto modello di virtù maschili? Merita di essere considerato realmente e tipicamente virile?

Ciò che rende desiderabile e felice l’incontro tra un uomo e una donna è una segreta alchimia di emozioni, la cui formula non è riducibile ad alcuno schema teorico: anche perché - è cosa perfino ovvia - ogni singolo uomo e ogni singola donna possiedono una propria strada verso l’eros e hanno, più o meno confusamente, più o meno nitidamente, una propria idea e una propria aspettativa di ciò che rappresenta la “felicità”. Un uomo dalla psicologia contorta ha bisogno non di una buona e brava compagna, ma di una donna capace di impersonare, per lui, la risposta “giusta” alle sue oscure, inconfessabili tensioni; e, viceversa, una donna dalla psicologia contorta non sarà soddisfatta dall’incontro con un uomo leale, trasparente, affidabile, e neppure – cosa sommamente ironica – con uomo che la ami davvero, che la stimi e che desideri il suo bene, ma cercherà, magari senza rendersene conto, un uomo scaltro, manipolatore, forse anche brutale, capace, però, di farla sentire appagata, e sia pure per un solo istante, da scontare poi con lunghi periodi di sofferenza, amarezza e depressione.

Un uomo normale, nel senso di equilibrato, nonché sostenuto da una retta coscienza e da una discreta consapevolezza di sé, ossia da una discreta capacità di leggere nella propria anima e di riconoscere i propri sentimenti – si dirà che tale è l’a, b, c dell’amore: ma quante persone sono del tutto analfabete in questo campo, e non lo sanno! – non cercherà altro che una donna tendenzialmente equilibrata, “sana” nel significato migliore del termine: generosa, aperta, capace di donarsi, ma senza masochismo, senza imprudenze patologiche; perché una cosa è sapersi donare, e una cosa è buttarsi allo sbaraglio in qualunque relazione, anche la più sbagliata, anche la più distruttiva, anche la più carica di pericolo, di dolore e di folle gelosia.

Diciamo che cercare, magari inconsciamente, una donna che presenti un lieve grado di insicurezza, oppure, al contrario, un lieve grado di egoismo, può ancora essere considerato “normale” per un uomo sano: perché, nel campo dei sentimenti, ognuno teme la monotonia e la noia che ne consegue, ed è attratto da un pizzico di imprevisto, di avventura, diciamo pure di difficoltà. Specialmente le persone dallo spirito forte hanno bisogno di  misurarsi con una personalità non totalmente docile ai loro desideri, con una personalità che – talvolta – le metta alla prova, le costringa a tendersi come un arco, per vedere sin dove arrivano le loro forze. Ma quando un uomo cerca, sistematicamente, delle donne dalle quali riceverà solo ferite e dispiaceri, allora vuol dire che, in quell’uomo, ci sono delle cose che non funzionano: dei nodi irrisolti, delle contraddizioni mai affrontate, delle debolezze che  egli non ha osato mai guardare in faccia. E lo stesso vale per la donna.

Quanto al fatto che molti uomini considerino cosa normale l’inganno in amore, e che molte donne siano non già respinte, ma attratte da un simile tipo maschile, la cosa richiede un discorso più articolato. In pare si tratta, secondo noi, dell’imbarbarimento dei rapporti fra i sessi, che si è verificato con l’avvento della modernità: alla lotta di classe ha fatto seguito la lotta dei sessi; e, in questa lotta senza quartiere, non parte avvantaggiato chi è leale e sincero, ma chi è abile nel mentire: e i fatti, esteriormente, sembrano dar ragione alla filosofia dell’egoismo.

In parte, però, si tratta anche di una questione che ha a che fare con la diversità strutturale tra la psicologia maschile e quella femminile. Se l’uomo si femminilizza - come tende a verificarsi nella società moderna, per tutta una serie di fattori che abbiamo già più volte considerato -, allora egli è portato a sviluppare quegli aspetti del carattere che più assomigliano a quelli della donna: perché, una volta padrone della psicologia femminile, egli saprà insinuarsi più abilmente nella fortezza “nemica” e farla cadere in suo potere, quando lo voglia. È chiaro che una vittoria, o una serie di vittorie, ottenute in questo modo, hanno pochissimo valore dal punto di vista di una sana psicologia maschile: per cui si assiste al paradosso di donne belle e intelligenti che si arrendono a uomini che non valgono nulla, ma che conoscono l’arte di ingannarle, anche quando si tratta di una commedia piuttosto grossolana; mentre quelle stesse donne, che parlano volentieri della loro “dignità”, della loro “libertà” e della parità dei loro “diritti”, rifiutano di concedersi a uomini virili, franchi, leali, i quali non cercano di abbindolarle, non assecondano le loro piccole debolezze (come quella di voler essere continuamente lodate e lusingate), ma si presentano con rude franchezza, incuranti di piacere a tutti i costi e desiderosi, semmai, di piacere per quello che sono, così come sono. Bisogna perciò ammettere - e questo discorso è particolarmente sgradito alla cultura femminista – che nella donna, sempre, anche nelle donne migliori, vi è quanto meno una tendenza a cedere alla lusinga, a prestare benevolo orecchio all’adulazione, a lasciarsi così ingannare da seduttori da strapazzo, purché sufficientemente abili e intraprendenti; e a sprecare preziose occasioni di incontro felice con uomini schietti e incapaci di menzogna, che le rispettano nel profondo, anche se non accarezzano volentieri il loro narcisismo. In altre parole, bisogna ammettere che, nella psicologia femminile, vi è un elemento di masochismo inconscio piuttosto pronunciato e largamente diffuso, che porta molte donne a scegliere “male” i loro amanti e i loro compagni di vita, almeno dal punto di vista della loro felicità; che le spinge verso quegli uomini che le ingannano, che le tradiscono, che non le rispettano, ma che danno loro l’illusione di essere eccezionalmente desiderate, di essere uniche al mondo.

Come uscire da questa contraddizione? Eloquenti sulla psicologia del seduttore da strapazzo sono i famosi versi dell’«Ars amatoria» di Ovidio (I, vv. 611-614; 631-646; traduzione da: Giovanna Garbarino, «Electa. Letteratura, testi, cultura latina», vol. 2, Milano, Paravia, 2005, p. 178):

 

«Devi recitare la parte dell’innamorato e parlare come uno che spasima;

con ogni mezzo devi ottenere che lei creda questo.

E non è difficile: ogni donna pensa di meritare l’amore;

sia pur bruttissima, ognuna si crede piacente. […]

Prometti senza timori: le promesse attraggono le donne;

e di ciò che prometti chiama a testimoni tutti gli dèi che vuoi.

Giove dall’alto ride degli spergiuri degli amanti

e ordina ai venti eolii di disperderli a vuoto.

Giove era solito giurare il falso sullo Stige

a Giunone; ora è propizio a chi segue il suo esempio.

Conviene che esistano gli dèi; e dunque, se conviene, crediamo

che esistono; diamo agli antichi focolari incensi e vino.

Non trattiene gli dèi una profonda quiete, simile al sonno;

vivete senza colpa, il nume è presente.

Restituite i depositi, rispettate con scrupolo i patti;

evitate la frode, abbiate le mani esenti da crimini.

Raggirate impunemente, se siete saggi, solo le donne.

In quest’unico caso c’è da vergognarsi di più se si è leali;

ingannate loro, che ingannano; in gran parte sono una razza

empia: cadano dunque nei lacci che hanno teso.»

 

Ovidio vive e scrive i suoi versi in un’epoca di particolare decadenza spirituale e morale, tanto è vero che non si perita di cadere nella blasfemia gratuita, allorché chiama gli dèi (nei quali, in fondo, non crede) a testimoni e a modelli di comportamento fedifrago; ma anche noi viviamo in un’epoca di trapasso e di profonda decadenza spirituale e di relativismo etico. Quindi la nostra situazione culturale e spirituale somiglia a quella della tarda antichità, quando si creò un vuoto morale e religioso, tra il paganesimo morente e il cristianesimo ancora in fase di consolidamento interno.

Se vogliamo uscire dalla crisi che ci attanaglia, e che è, prima di tutto, una crisi di ordine spirituale, dobbiamo anche trovare la forza di ricucire lo strappo verificatosi nei rapporto tra uomo e donna; e non potremo farlo, se l’uomo non si riapproprierà del ruolo virile e la donna di quello femminile. Il loro incontro felice nasce da una corretta dialettica degli opposti, giammai da una dialettica dei simili: l’uomo effeminato e la donna mascolina non hanno nulla da darsi reciprocamente, se non la rispettiva confusione interiore, la disarmonia e l’intimo dissidio che li lacerano e li spingono tendenzialmente verso il proprio sesso, anziché verso l’altro. Un uomo e una donna siffatti possono forse diventare buoni amici, ma non completarsi l’un l’altra, né costruire insieme un progetto di vita aperto al futuro, all’amore dei figli, alla scommessa di mettersi in gioco sino in fondo, senza riserve.