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Letta svende il Paese

di Marco della Luna - 05/02/2014


Letta in visita nel Golfo Persico ha detto ai petro-capitalisti locali: venite a investire in Italia, la crisi è finita, il pil è in ripresa. Confindustria, con Squinzi, non è d’accordo, e accusa il governo di inconcludenza e dice che, meglio di cincischiare, sarebbe andare al voto. Molti si scandalizzano delle affermazioni del premier, perché la recessione, la disoccupazione, il calo della domanda interna, il debito pubblico etc. continuano a peggiorare e se l’export un po’ riprende è grazie al traino della ripresa e della domanda estere, nonché al taglio dei salari e dei diritti dei lavoratori. Alcuni mi dicono: Letta è il solito bugiardo ipocrita, nega l’evidenza. Altri mi dicono: no, Letta delira, è pazzo, ha perso il contatto con la realtà, vive in una bolla di sogno europeo.

Agli uni e agli altri io rispondo: vi sbagliate: ai capitalisti del Golfo, potenziali investitori, Letta invero sta dicendo che, adesso, possono venire a investire in Italia perché la crisi è passata, nel senso che ormai l’Italia è stata (da Berlino, da Bruxelles e da Roma), organizzata in modo tale che:

-i costi del debito pubblico saranno scaricati sui risparmiatori, sui lavoratori, sui pensionati, sui redditi e i capitali non delocalizzabili;

-i costi dei buchi delle banche saranno scaricati sui depositanti, sugli obbligazionisti, sugli azionisti (bail-in);

-i costi della competitività saranno scaricati sui salari e sulla previdenza;

- grazie a ciò, il regime manterrà le opportunità di elusione fiscale e di basse imposte per il grande capitale che investe in Italia;

-quindi i petrodollari potranno fare affari d’oro quando la fame di capitali dovuta alle esigenze di finanza pubblica e di sostegno al sistema bancario traballante sotto la prossima revisione della BCE ( Asset Quality Review) imporranno di (s)vendere il meglio degli assets pubblici.

Letta, il regime, non possono dire che il trend economico è pessimo, ma devono affermare che il pil sia in aumento (e a questo fine servirà anche la imminente modificazione del metodo di calcolo del pil), perché se ammettessero che il pil è in calo, allora scatterebbe la clausola di sospensione della riduzione forzata del debito pubblico, contenuta nel Fiscal Compact, quindi il regime non potrebbe eseguire quel prelievo fiscale aggiuntivo di oltre 45 miliardi l’anno, che serve, unitamente ai contributi al MES, al fine di produrre quella crisi di liquidità interna e di recessione, che a sua volta servirà a giustificare la (s)vendita (privatizzazione) urgente degli assets e dei servizi pubblici (reali) al capitale (fittizio) degli investitori stranieri, burattinai del regime italiano (e greco).