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La Crimea come Sarajevo o Danzica? Ecco come potrebbe (non) finire

di Firma Roberto-MottaRoberto Motta Sosa - 11/03/2014

Fonte: milanopost

sosa 01Milano 5 Marzo –  La “piccola guerra di Crimea” scoppiata tra giovedì 27 e venerdì 28 febbraio ricorda molto da vicino le crisi che immediatamente prima dei due passati conflitti mondiali si trovarono ad affrontare le potenze dell’epoca. Nel caso del 1914 fu soprattutto il meccanismo perverso dei blocchi di alleanze contrapposti (Triplice Intesa contro Triplice Alleanza) a trascinare l’Europa nel conflitto. Nel 1939 fu invece la volontà hitleriana di spingere ai limiti il balletto diplomatico con Gran Bretagna e Francia, nel tentativo di superare l’ennesima crisi europea attraverso il ricatto psicologico. Secondo Hitler infatti Parigi e Londra, dopo il 1918, non avevano (più) nessuna intenzione di entrare in un nuovo conflitto. Gli eventi gli diedero ragione quando ordinò la rimilitarizzazione della regione tedesca della Renania, in spregio ai vincoli del Trattato di Versailles, senza che Parigi intervenisse (nonostante avesse truppe pronte al confine). sosa 02Da quel momento l’ebbe vinta in occasione dell’Anschluss (agevolato dall’accondiscendenza di Mussolini,  -marzo 1938), nella questione dei Sudeti (la cui crisi fu risolta con l’appeasement della conferenza di Monaco, 1938), poi con l’occupazione dei restanti territori della ex Cecoslovacchia (la Slovacchia, formalmente indipendente, divenne di fatto niente più che un satellite del Reich). Nell’agosto 1939 (l’ultima estate di pace) tentò un ennesimo azzardo, che si sarebbe dimostrato però essere l’ultimo che inglesi e francesi fossero in grado di potere e volere concedere. Anche allora Hitler ritenne che Francia e Gran Bretagna avrebbero abbaiato senza tuttavia mordere. Del resto, riteneva il Fuhrer, Danzica era una città tedesca, abitata da tedeschi, che gli eventi della Grande Guerra, avevano solo temporaneamente staccato dal grande Reich tedesco. Grosso modo come oggi Mosca ritiene che la Crimea sia un territorio russo abitato da russi e di fatto incluso nella grande “madre Russia”. A Danzica, nonostante i generali tedeschi scoraggiassero Hitler perché ne temevano i piani espansionistici, che a loro dire avrebbero alla fine portato ad una nuova guerra mondiale, si decise per l’ennesima volta di usare la forza. Il giochetto di localizzare, nel tempo e nello spazio, la crisi puntando sull’azzardo psicologico nei confronti degli inglesi e dei francesi però non riuscì più. Londra e Parigi decisero, forse anche malincuore (soprattutto i francesi), di andare a vedere le carte che Hitler, in quell’ennesima partita al tavolo dell’Europa, vantava di avere in mano. Il risultato furono cinque anni di guerra conclusa con lo sganciamento su Hiroshima e Nagasaki delle prime due bombe nucleari della storia umana. Oggi, che il quadro pare più o meno essere lo stesso, soprattutto se si considera che non esistono più gli equilibri di Yalta che durante la Guerra Fredda assicuravano la pace, la domanda che ci si dovrebbe chiedere è: come finirà in Ucraina? Due paiono, al momento, essere le vie. La prima, la peggiore, è quella che vedrebbe Mosca scatenare una guerra contro l’Ucraina con il risultato di chiamare in causa gli Stati Uniti e NATO (ieri, ad esempio, la Polonia ha chiesto la convocazione di una riunione dell’Alleanza Atlantica appellandosi all’art. 4 che prevede consultazioni tra gli alleati qualora uno Stato membro si senta minacciato). Molto probabilmente sarebbe l’inizio di un nuovo confronto mondiale tra le potenze. sosa 03Nel secondo caso Mosca e Washington potrebbero invece trovare un compromesso su cui accordarsi, rinunciando ad alcune delle proprie pretese. Washington (e di conseguenza il governo di Kiev) potrebbe riconoscere la secessione della Crimea e i diritti russi sulla base di Sebastopoli. Dal canto suo Mosca potrebbe riconoscere la nuova leadership ucraina (magari affiancata dai partiti filo russi in un nuovo governo di coalizione nazionale) in cambio dell’immunità nei confronti del presidente deposto Viktor Janukovich e soprattutto di rassicurazioni circa gli investimenti finanziari e i gasdotti che attraverso il territorio ucraino trasportano il gas delle sue imprese di Stato. Come garanzia per l’esecuzione di tali accordi potrebbe essere creato un organismo transnazionale russo-ucraino in cui Kiev e Mosca siano entrambi rappresentati e nel quale prendere in maniera concorde ogni decisione rispetto alla politica energetica che interessa governo russo e ucraino. Non da ultima, bisognerebbe affrontare la questione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO, uno scenario di cui Mosca non vuole nemmeno sentire accennare. Anche per questo lo sforzo diplomatico per trovare il giusto compromesso non sarebbe indifferente. Ma citando un’espressione già usata da uno che di pace nel mondo ne sapeva più di noi: “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Era il 24 agosto 1939. sosa 04Quella persona era papa Pio XII. Le potenze mondiali non l’avrebbero ascoltato, perché ritenennero di potere risolvere tutto in un lampo, con la blitkzrieg. Quel “lampo” fu invece solo il primo segnale di una tempesta che avrebbe spazzato via tutto. L’offensiva russa iniziata in sordina giovedì scorso all’alba pare tuttavia essersi concessa una pausa di riposo. Un riposo voluto da Putin o imposto dalle proteste della comunità internazionale? Risposta non facile. Il leader del Cremlino mantiene infatti ancora saldamente l’iniziativa sia militare che diplomatica. Nonostante abbia infatti occupato militarmente la Crimea e possa mostrare al mondo che molti militari dell’esercito ucraino (oltre che poliziotti) in Crimea hanno defezionato giurando fedeltà alla Russia, nello stesso tempo ha lanciato messaggi sibillini con i quali ha fatto capire che l’uso della forza potrebbe essere l’ultima ratio, nel caso in cui l’Ucraina dovesse muovere contro la minoranza e le forze russe. Tradotto, sembra che Putin abbia rinunciato, almeno per il momento,  a sferrare la tanto temuta offensiva finale contro Kiev, rilevando piuttosto l’intenzione di lasciare aperto uno spiraglio per le trattative. sosa 05Trattative che ovviamente ora la Russia è in grado di condurre da una posizione di forza. Martedì (4 marzo) il ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu, ordinava alle truppe di ritirarsi dal confine ucraino entro il 7 marzo. I media titolavano enfaticamente che “Mosca faceva un passo indietro”. A ben guardare la decisione russa è in realtà viziata da profonda ambiguità. Lo stato di allerta delle forze russe ordinato da Putin il 26 febbraio scorso era previsto dovesse cessare il 3 marzo. Di fatto, dunque, l’ordine di Shoigu è un prolungarsi della mobilitazione delle Forze Armate russe schierate a ridosso dell’Ucraina. Mosca rinfodera la sciabola, ma tiene ben impugnata l’elsa, pronta ad estrarla alla prima occasione in cui fosse necessario. Già nel fine settimana scorso sono stati diversi i vertici in cui la diplomazia ha valutato gli aspetti della crisi ucraina. La comunità internazionale (ovvero Washington) sembra avere deciso di volere isolare la Russia che, per ora, ha incassato solo l’appoggio ufficiale della Cina (sia Mosca che Pechino sono uniti nell’ “alleanza di Shanghai”, sorta di contro NATO russo-cinese). sosa 06La stessa Yulia Timoshenko, la “pasionaria” della protesta di piazza Maidan, si è recata a Mosca per negoziare senza tuttavia, come riferiscono i media, avere raggiunto un accordo. Ora, che Mosca ha fatto il beau geste di fermare la sua potente macchina da guerra, la parola passa al nuovo governo di Kiev, cui spetta (ri)aprire il tavolo dei negoziati. Pare di capire che in ogni caso la nuova leadership ucraina debba, forse, prepararsi a mettere in conto la perdita della Crimea (o almeno accettare un referendum sulla sua indipendenza, o su una ancora più marcata autonomia) e, nell’ipotesi più estrema, anche della sua parte orientale. Lunedì infatti i media confermavano la presenza di blindati russi nella città ucraina sudorientale di Kharkiv (Karkov). I prossimi giorni potrebbero essere dunque cruciali per l’esito della crisi russo-ucraina, da cui dipendono la pace e la stabilità dell’Europa.