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Il capitalismo tra neoimpero (americano) e declino (economico).

di Carlo Gambescia - 16/08/2006

 

Perché meravigliarsi se oggi capitalisti, imprenditori, manager, finanzieri non sono più quelli di prima? In realtà Tanzi, Cragnotti, Fiorani, Consorte, Ricucci, sono il frutto di una logica sistemica. Rappresentano un capitalismo in declino, entrato nella sua Terza Età. E non che all’estero vada meglio, come ha insegnato, a suo tempo, lo scandalo Enron...
Insomma, anche i padroni non sono più quelli di una volta. Ma diamo la parola alla storia.
Il capitalismo viene da lontano, Certo, c’ è la fase eroica, che va dal XVI al XIX secolo, e che vede al comando pirati come Drake, inventori-imprenditori come Wyatt. Arkwright, banchieri del calibro di Rotschild e Morgan e capitani d’industria come Carnegie, Rockfeller. Figure che interpretano la natura creativa e sanguigna del capitalismo. Ma nel 1914, si apre un periodo crisi e transizione. Magari, emergono uomini ancora capaci come Ford, ma la tendenza generale è verso un capitalismo manageriale e speculativo. Due guerre mondiali, l’abbraccio dello stato, la paura di nuovi crolli (come nel 1929) faranno il resto: il capitalista da sanguigno e attivo diverrà un parassita.
Ricapitolando: fase 1 o eroica (che tocca il culmine nel XIX secolo), dove si affermano i capitani d’industria, le cui attività portano alla formazione di grandi imprese, come le corporations americane; fase 2 o dei diadochi (che si generalizza nella prima metà del secolo XX), dove gli eredi dei grandi imprenditori, passano la mano a manager e proprietari azionisti; la fase 3 o speculativa (che dopo un primo sviluppo negli anni Sessanta giunge solo oggi a completa maturazione), dove i principale azionisti, non confidando nei manager, iniziano, come si dice in gergo, a non mettere tutte le uova nello stesso paniere, diversificando gli investimenti per distribuire i rischi. Nascono così i manager di portafoglio, la cui funzione è assolta da venditori istituzionali e intermediari finanziari (fondi di investimenti, società finanziarie ecc.). Ma anche da finanzieri e imprenditori privi di scrupoli…
Il “gioco” finisce così per riguardare solo chi decide di offrire capitale e chi decide come investirlo. E quel che conta per entrambi, non è più la bandiera o il carisma imprenditoriale, ma la redditività di un capitale investito, che a causa della crescente instabilità dei cambi e del progresso tecnologico, diventa sempre più speculativo.
E’ perciò ovvio che in tale situazione proliferino avventurieri di ogni genere. Il capitalismo sembra tornato alle sue origine piratesche. Ma personaggi come Drake erano intrepidi spadaccini e furbissimi pirati , mentre figure come Tanzi, Cragnotti e Ricucci sono a dir poco patetiche: da capitalismo con i pannoloni, O comunque in disarmo.
Come finirà? Schumpeter riteneva che il capitalismo generasse una forma mentis ipercritica, giovevole al progresso economico (la cosiddetta distruzione creatrice…), ma non a quello sociale. Perché l’ “ipercriticismo”, dopo aver distrutto l’autorità morale delle altre istituzioni, si sarebbe rivolto contro le proprie. Il sistema gli appariva proiettato, già negli anni Quaranta del secolo scorso, verso “l’esaurimento delle risorse morali”. E i continui scandali di oggi, come gli appelli retorici al rispetto delle “regole” , indicano che Schumpeter aveva ragione.
Del resto, come tutte le istituzioni sociali, anche il capitalismo è “mortale” (nonostante possa apparire eterno a coloro che vi sono nati e vissuti). Di conseguenza non si capisce perché, anche il capitalismo, come sistema politico, economico e sociale, non possa subire a sua volta, la stessa sorte di altre grandi istituzioni come l’Impero Romano, giudicato, altrettanto eterno dai suoi contemporanei.
Ecco, allora, che figure, in fondo patetiche, come quelle di Tanzi, Cragnotti e Ricucci, possono ricordare quelle degli ultimi imperatori romani d’Occidente, ad esempio Giulio Nepote e Romolo, detto Augustolo, dediti in modo infantile alle proprie questioni private e ignari di quel che stava accadendo intorno a loro.
Con una differenza: il capitalismo è un sistema economico, mentre l’Impero romano era un sistema politico economico integrato, su basi schiavistiche e autarchiche. E dunque sarebbe interessante studiare le relazioni tra questo capitalismo declinante, e il nascente “Impero americano”, che invece si professa liberista e liberale. Tenendo anche presente che il capitalismo americano, pur essendo entrato in una fase di declino, resta comunque più vigoroso di quello europeo e italiano.
Tuttavia, un sistema economico fondato sulla speculazione borsistica e privo di capi realmente creativi, può favorire la nascita di un grande impero divoratore di risorse ? Se il sistema economico (capitalistico) è entrato nella sua terza età, come si concilierà con la prima età (per alcuni seconda) dell' "Impero americano". Dove troverà il capitalismo nuove risorse morali per tornare a crescere? E gli Stati Uniti dove troveranno le risorse economiche necessarie per imporsi mondo? Il che pone, in seconda battuta, anche un intrigante problema teorico: la sorte degli imperi è decisa dalla logica economica o da quella politica?
Come si può notare, non sono domande prive di interesse.