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Grillo annaspa e legittima Renzi

di Federico Zamboni - 17/06/2014

Fonte: Il Ribelle

grillorenzi


Non ne fa più una giusta, Beppe Grillo. Vedi quest’ultimissima sortita che è apparsa ieri sul suo blog e che ha per titolo «Legge elettorale: Renzi, batti un colpo». In pratica, un invito al presidente del Consiglio a confrontarsi, quantomeno su questo specifico tema, anche col M5S. Spiegazione del cambio di atteggiamento: «Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del Pd».

Una corbelleria che sconfina nella mistificazione. Nelle odierne società occidentali c’è un’abissale differenza tra l’esito delle urne e una legittimazione autenticamente democratica. Una differenza che lo stesso Grillo non può ignorare (altrimenti ne parli a voce con Massimo Fini oppure si legga, o rilegga, qualcuno degli innumerevoli interventi scritti da Chomsky al riguardo) e che deriva da decenni e decenni di manipolazione mediatica.



Mediatica, beninteso, nel senso più ampio del termine, che va molto al di là dei tipici organi di informazione e che non si limita certo ai singoli messaggi, estendendosi invece ai modelli mentali, ivi inclusi quelli inconsci. Modelli cognitivi con cui si addestrano i cittadini a percepire e a interpretare la realtà in base a schemi prefissati, che guarda caso sono quelli funzionali agli scopi di chi detiene il potere.

Nei confronti di Renzi, dunque, i giudizi non devono cambiare di una virgola, in forza dei risultati delle Europee. I motivi di estraneità, di avversione, di totale rifiuto come interlocutore politico, rimangono inalterati e, semmai, escono rafforzati dal fatto che egli stesso si è rafforzato, grazie all’ottusità di chi ha votato in massa il Pd. L’aspetto decisivo, per identificarlo come una creatura dell’establishment, sta nei suoi programmi politici, riducendo a una colpa accessoria l’assenza di un’investitura elettorale prima dell’ascesa a Palazzo Chigi. Simmetricamente, perciò, non può essere il recentissimo exploit ad accreditarlo in termini diversi.

Benché resti giusto stigmatizzare l’artificiosità della sua nomina a capo del governo, così come quella dei suoi predecessori Enrico Letta e Mario Monti, bisogna stare attenti a non farlo da ingenui. Un conto è denunciare le forzature di Napolitano & C., ma tutt’altro è credere-illudersi-illudere che la chiave di volta risieda nelle procedure: il vero problema è che l’establishment concepisce il voto come una controfirma “popolare” delle proprie decisioni, per cui lo utilizza sempre in modo strumentale. Quando il clima è favorevole vi ricorre volentieri, esaltandone la supposta sovranità; quando viceversa teme il prevalere del malcontento – che manifestandosi in modo troppo massiccio potrebbe diventare inequivocabile e mettere a rischio la pantomima parlamentare – dilaziona la resa dei conti quanto più possibile. Nella speranza, purtroppo non infondata, che la tempesta si quieti e si ripristini, più o meno, il consueto tran-tran.

Tornando a Grillo, questo suo goffo tentativo di dialogare con Renzi è l’ennesima mossa sbagliata. Rozza nella forma e contraddittoria nella sostanza. Se fino a ieri hai campato di aut-aut, dal tonante «Arrendetevi, siete circondati» del 2013 all’iperbolico «Vinceremo col 100 per cento» del 2014, non è che oggi puoi cambiare radicalmente approccio e fare finta di nulla, come se si trattasse di un dettaglio secondario.

La questione del rapporto con gli altri partiti è cruciale: poiché essi, nel loro insieme, costituiscono il paravento “democratico” di un potere che è all’opposto oligarchico, e di matrice economico-finanziaria, ogni forma di dialogo, in vista di decisioni condivise, equivale di per sé a un riconoscimento della loro ipotetica buona fede. In altre parole, implica una legittimazione.

Una scelta che non riguarda la tattica, ma la strategia.