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L’Argentina sceglie il default

di Alvise Pozzi - 01/08/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


È evidente che il ministro “marxista” dell’economia Axel Kicillof tra due mali abbia scelto il minore. Infatti, questo default soft non spaventa il governo che è assente da anni dai mercati internazionali e non ha significative esposizioni verso paesi terzi. I prezzi dei titoli sono rimasti relativamente alti, anche se sarà difficile nel prossimo futuro attirare investimenti esteri

Kirchner


Dopo tredici anni l’Argentina è di nuovo in default. Nessun accordo è stato trovato con gli hedge fund di Elliot Capital e Aurelius Capital, che non avevano aderito alla ristrutturazione del debito pretendendo il rimborso integrale dei titoli. Eppure a differenza di quel disastroso dicembre del 2001, questa volta è diverso e meno drammatico di quanto possa apparire.

Il governo di Buenos Aires nega il default perché tecnicamente esso si verifica quando mancano i fondi per pagare i creditori dei titoli di Stato mentre, in questo caso, i fondi ci sono ma sono stati bloccati da una sentenza del giudice americano Thomas Griesa.  Questa è una pessima notizia per i cittadini titolari di bond (tra cui 400mila italiani) che avevano aderito nel 2005 al concambio e che non riceveranno gli interessi pattuiti, ma anche per gli stessi fondi d’investimento che non otterranno il pagamento che la Corte di New York aveva loro garantito. 

Se il default del 2001, provocato dalla concomitanza di diversi fattori – la scellerata parità di cambio pesos – dollaro, il grande indebitamento estero contratto durante il governo Menem e la concomitante crisi finanziaria Russa e Brasiliana – era sfociato in rivolte di strada, corsa agli sportelli, disoccupazione di massa, inflazione galoppante, portando la metà della popolazione sulla soglia della povertà e alla conseguente caduta del governo; questa volta le conseguenze reali sul paese sono molto più blande.

Dopo aver risalito la china della Grande Depressione, l’Argentina nel 2005 riuscì a pagare gran parte dei titoli emessi e, nel 2010 grazie a una seconda ristrutturazione del debito, si accordò con il 93% dei possessori, per risarcirli entro il 30 luglio corrente. In quell’occasione, per attirare maggiori investitori, i titoli furono emessi a New York ed è qui che entra in gioco Thomas Griesa. Il giudice, utilizzando la legislazione americana, ha dato ragione ai due fondi d’investimento che non accettarono la ristrutturazione e – poiché nessun pagamento può essere eseguito se prima non sono risarciti i titolari dei titoli originali – ha bloccato i fondi argentini transitanti dalla Bank of New York Mellon.

L’Argentina, che aveva i 29 miliardi di dollari per saldare coloro che avevano accettato il concambio, si è ritrovata ricattata e con le spalle al muro: accettare di pagare prima gli hedge fund le sarebbe costato solo 1,5 miliardi di dollari ma, a quel punto, a causa della clausola Rufo (Rights Upon Future Options) – che dà la possibilità a coloro che hanno accettato la rinegoziazione di ottenere rimborsi maggiori in caso che il governo paghi chi non ha accettato lo SWAP – sarebbe stata costretta a dover sborsare la cifra monstre di 500 miliardi di dollari.

Il ricatto finanziario sulla sovranità nazionale – certamente provocato da blande politiche fiscali e da un eccesso di debito contratto con l’estero – si manifesta come sempre più sfacciato e aggressivo.

Elliott Capital è uno specialista di queste operazioni: compra titoli di stato in default a prezzi irrisori per poi agire per vie legali con lo scopo di ottenere rimborsi e costringere gli Stati alla mediazione. Il fondo, che aveva comprato titoli per 49 milioni di dollari, ora ne dovrebbe incassare 830. Un guadagno netto del 1600%.

È evidente che il ministro “marxista” dell’economia Axel Kicillof tra due mali abbia scelto il minore. Infatti, questo default soft non spaventa il governo che è assente da anni dai mercati internazionali e non ha significative esposizioni verso paesi terzi. I prezzi dei titoli sono rimasti relativamente alti, anche se sarà difficile nel prossimo futuro attirare investimenti esteri. 

“Vogliono di più e lo vogliono subito” – ha detto il ministro al termine della riunione – “Non possiamo firmare accordi sotto estorsione”.  La Standard & Poor’s ha già tagliato il ranking del Paese da CCC- a Selective Default, ma il ministro rassicura gli argentini sulla tenuta delle casse dello Stato e strizza l’occhio alla Banca di Sviluppo per il Finanziamento Congiunto dei BRICS, annunciata a Durban. Potrebbero essere loro a soppiantare gli istituti di credito americani nell’immediato futuro.