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Qualcuno prova a spezzare l’egemonia degli Usa

di Demostenes Floros* - 01/08/2014

Fonte: temi.repubblica


RUBRICA GEOPOLITICA DEL CAMBIO Dalla banca dei Brics alle mosse della Russia nei dossier Ucraina e South Stream, il fronte degli insofferenti allo strapotere di Washington (e del dollaro) diventa più attivo.




[Carta di Laura Canali tratta da Limes 4/14 L'Ucraina tra noi e Putin]

Il Sole 24 ore ha pubblicato lo scorso19 luglio un articolo dal titolo eloquente: “L’egemonia perduta dell’America”.


Questa la tesi dell’autore: “Quando un aereo di linea civile viene abbattuto nei cieli d’Europa su una zona di guerra al confine tra Russia e Ucraina” - avverando la “profezia” del leader liberal-democratico russo, V. Zhirinovskij - “mentre le forze militari israeliane danno vita all’ennesima invasione di Gaza” - poco dopo che era stata ventilata l’ipotesi dello sfruttamento del giacimento di gas nelle acque palestinesi da parte di Gazprom - “a settimane dalla proclamazione di un nuovo “califfato” tra Siria e Iraq, c’è solo un monito che possiamo raccogliere: l’ordine internazionale sta collassando”.


Se così fosse, perché il petrolio non ha incorporato il grave rischio geopolitico in atto, aumentando di costo? A luglio, i prezzi del Brent e del Wti sono diminuiti di 4 dollari circa, passando rispettivamente da quasi 11.85 dollari al barile ($/b) a 107.37$/b e da 104.77 a 100.64$/b.


L’offerta, robusta anche in virtù dello shale americano, e la domanda globale 2014 - in aumento di 1.1 milioni di barili al giorno (92.4 milioni quella giornaliera) secondo l’Opec - non ci aiutano nel formulare una risposta certa, nonostante i principali indici delle commodities abbiano segnato aumenti tra il 7% ed il 10% dall’inizio dell’anno. Forse, se i mercati internazionali - che non sono neutrali ed esprimono un determinato rapporto di forze tra poteri in competizione - incorporassero il rischio geopolitico, favorirebbero la transizione a un nuovo ordine mondiale, che invece alcuni temono.


A luglio, si sono inoltre verificati due eventi di politica internazionale alquanto significativi.


Il 1° riguarda il nuovo stadio di cooperazione raggiunto tra i Brics nell’ambito di una visione multipolare dei rapporti di forza.


Il 2° attiene all’innalzamento del livello delle sanzioni imposte dagli Usapoi anche dall’Ue - alla Federazione Russa, incolpata delle presunte mosse secessionistiche in Ucraina. Federazione che vuole proseguire nella costruzione del gasdotto South Stream.


La creazione, da parte dei Brics, di una banca volta a finanziare progetti infrastrutturali e di un fondo per la stabilizzazione mira a diminuire il ruolo e l’influenza di organismi internazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e il dollaro (utilizzato per l’85% degli scambi internazionali).


I Brics - espressione del 40% della popolazione terrestre e del 20% del pil nominale globale - posseggono il 75% delle riserve di valuta estera mentre il valore complessivo delle loro esportazioni ammonta a 4.8 trilioni di dollari.


L’Italia della desertificazione manifatturiera, dove pare sopravvivere solo quel tessuto industriale che ha rapporti con specifici mercati internazionali e dove “il rischio di più intense pressioni al ribasso sui prezzi, [deriva] dagli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata” (Bollettino economico della Banca d’Italia, luglio 2014, pag. 38), è interessata a tutto ciò?


Urge una presa di posizione, tanto più a fronte della candidatura del ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, come alto rappresentante agli Affari esteri dell’Ue.


Secondo il Financial Times del 14 luglio, la missione del numero uno della Farnesina a Kiev e a Mosca - dove Mogherini ha condiviso con il suo omologo russo Sergey Lavrov e con il presidente ucraino Petro Poroshenko il contenuto dell’agenda italiana per il cessate il fuoco bilaterale in Ucraina - avrebbe scatenato l’ira di Polonia, paesi baltici e Regno Unito.


L’Italia non affidi tale obiettivo alla sola mediazione della Germania, probabilmente pronta a utilizzare il caso degli agenti del Bnd assoldati dalla Cia per smarcarsi.


L’8 luglio, sulla scia del "sì" austriaco, Gazprom ha ottenuto anche l’appoggio della Slovenia alla costruzione del gasdotto South Stream, mentre il premier ungherese Viktor Orbán ha chiarito che “non possiamo dipendere dall’Ucraina per le nostre forniture energetiche”.


Il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo lo scorso 3 luglio secondo il quale, da uno studio della Federal reserve, si evince che “il boom del fracking ha portato a un abbassamento dei prezzi del gas naturale, ma sta avendo un impatto relativamente piccolo sul manifatturiero statunitense, nell’ordine del 2/3% di incremento dell’attività dell’intero settore”. Anche l’impatto sull’occupazione, una delle ragioni addotte da coloro i quali promuovono la tecnica del fracking in Europa, è stato limitato.


Ben prima dell’ultimo innalzamento del livello delle sanzioni - le quali rischiano di portare la Federazione Russa a guardare sempre più ad est, verso la Cina - era intervenuto Christian Noyer, governatore della Banca di Francia e membro del Consiglio di governo della Bce. Forse scottato dalla multa da 10 miliardi di dollari imposta dagli americani a Bnp-Paribas (ufficialmente per aver eseguito - via la filiale di Ginevra - transazioni in dollari con paesi terzi contro i quali gli Stati Uniti hanno degli embarghi), Noyer aveva fatto la seguente dichiarazione:


“Le imprese avrebbero il massimo interesse nel fare il maggior numero di transazioni in altre valute”. Ancora: “Il commercio tra Cina ed Europa fatelo in euro, in renminbi, smettetelo di farlo in dollari. Questo è un avvenimento che lascerà dei segni”. Concetto poi ribadito anche dal ceo di Total, Christophe de Margerie.


Ritorsioni sulla vicenda delle portaelicotteri Mistral vendute alla Russia a parte, non è dato sapere che cosa intendesse Noyer per “segni”. Ancora una volta, l’attenzione si concentra su Vladimir Putin: continuerà a non intervenire direttamente in Ucraina?


Pare proprio che per il presidente russo, dal lontano incidente del Kursk (2000) alla tragedia della metropolitana di Mosca (incidente casuale o provocato?), il tempo non sia passato.


*Demostenes Floros è un analista geopolitico ed economico. Insegna presso il Master di 1° Livello in "Relazioni Internazionali di impresa: Italia-Russia" (Modulo: Energia) dell’Università di Bologna".