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Heidegger anti-web: le cose ci sfuggono se sono troppo vicine

di Giovanni Reale - 08/09/2014

Fonte: Corriere della Sera


Viviamo in un’epoca nella quale siamo immersi in una vera tempesta di novità, fra le quali è ben difficile districarsi in modo adeguato. E questo succede soprattutto per il fatto che le novità tecnologiche vengono, per lo più, presentate mettendo in evidenza i loro aspetti positivi con i grandi vantaggi che comportano, senza indicare i loro effetti collaterali negativi. Nelle medicine, troviamo sempre un foglietto illustrativo, che, oltre ai vantaggi del farmaco, illustra anche i danni che può provocare. E per quanto riguarda le varie scoperte tecnologiche, questo sarebbe altrettanto necessario, anche se scomodo e sgradito, sia ai proponenti le novità, sia ai fruitori, ai quali interessano solo i vantaggi che se ne possono trarre.
Noi non vogliamo certo escludere gli enormi vantaggi della tecnica e considerarla il più grande dei mali dell’uomo di oggi, come fanno alcuni che hanno individuato le drammatiche conseguenze che la tecnologia comporta. Vogliamo però ricordare una regola di base che si dovrebbe sempre seguire, ossia che le scoperte tecnologiche andrebbero utilizzate in modo critico, in «giusta misura», e mai in modo predominante.

Uno dei primi studiosi che ha messo in guardia dai pericoli che comportano i nuovi strumenti di comunicazione multimediali è stato proprio uno degli inventori di internet, Clifford Stoll, nel suo celebre libro Confessioni di un eretico high-tech (Garzanti 2001), in cui scrive: «Ho dedicato la mia vita alla scienza e alla tecnologia, ciononostante mi considero uno scettico — la mia perplessità non ha tuttavia origine da un disgusto per l’informatica, ma dall’amore che nutro per i computer. Rimango stupito di fronte alle previsioni iperboliche che li circondano, a certe assurde predizioni che creano eccessi di aspettative e in fin dei conti una perdita di credibilità».
Ed è proprio quello che ora si sta verificando a proposito del grande progetto di Google. Dagli «archivi di dati» si vorrebbe passare ad «archivi di conoscenze», e rendere possibile apprendere notizie selezionate e centrate sulle necessità di chi è interessato a singole conoscenze. Si potrebbero, quindi, avere direttamente dai computer informazioni precise, non solo generali ma anche particolari e private. Entro pochi anni ci potrebbe essere offerta perfino una cartella di posta smart , in grado di selezionare le mail più importanti che via via riceviamo, con il vantaggio di farci trovare tutto ciò che ci interessa, e di sollevarci definitivamente dal sovraccarico delle informazioni che riceviamo. Saranno, di conseguenza, le macchine a fare tutto ciò che in passato faceva l’uomo direttamente, liberandolo sempre di più dalle antiche fatiche.
Ma ecco quali sono gli effetti collaterali negativi, che si accompagnano ai vantaggi offerti dalla tecnologia.
Il filosofo francese Paul Virilio dice che ogni rivoluzione politica è certamente un dramma, ma che la rivoluzione dell’informatica costituisce una «tragedia della conoscenza», ossia genera «una confusione babelica dei saperi individuali e collettivi». L’automatizzazione delle conoscenze e dei saperi, infatti, si sostituisce alla diretta «interazione fra le cose e l’intelligenza degli uomini» e, quindi, elimina i linguaggi delle vive parole e delle cose, e provoca una «dimenticanza della realtà» nel suo spessore ontologico, sostituendola con il virtuale.
Una dimenticanza non solo delle cose, ma anche degli altri uomini.
Già nel 1939 Karl Jaspers parlava del diffondersi di una «responsabilità anonima», che i mezzi di comunicazione multimediali stanno oggi portando alle estreme conseguenze, confermando quello che il filosofo prevedeva: «Noi stessi viviamo in questo mondo della responsabilità anonima, che grazie alla propria arte di organizzazione ha poi portato a un mondo della reciproca estraneità. Chi è il vicino con cui viviamo?». Hans-Georg Gadamer, a sua volta, scriveva: «Già decenni fa si è parlato della atomic age , allorché si era portata in primo piano la liberazione dell’energia atomica e in particolare la minaccia della guerra nucleare. Nel frattempo si comincia a parlare di una computer age , nella convinzione non infondata che l’intero stile di vita fra gli uomini stia cambiando radicalmente. Quando un tocco di bottone rende raggiungibile il vicino, questo sprofonda in una lontananza irraggiungibile ».
Martin Heidegger sosteneva addirittura la tesi che l’eliminazione della «lontananza» con la «vicinanza di tutto», come avviene appunto con i mezzi di comunicazione multimediale, viene a coincidere con l’assenza, ossia con l’assenza delle cose reali, e scriveva: «Tutto si confonde nell’uniforme senza-distacco. Come? Questo compattarsi nel senza-distacco non è forse ancora più inquietante di un frantumarsi di tutto?». E ancora: «Tutto ciò che è reale si stringe nell’uniforme senza-distacco. La vicinanza e la lontananza di ciò che è presente rimangono assenti ».
Herbert Georg Wells nel suo ultimo libro del 1945, dal titolo emblematico Mind at the End of its Tether (che può tradursi con «La mente alla fine della sua corsa»), faceva straordinarie previsioni: «Descrivere la forma delle cose a venire ci è diventato impossibile, perché le scienze hanno preso su di noi un vantaggio di cento anni, e questo scarto aumenterà sempre di più»: tutto ciò sta verificandosi in modo impressionante con la crescita accelerata delle tecnologie degli strumenti di comunicazione multimediali. E concludeva profeticamente: «La specie umana è a fine corsa, non è più in grado di adattarsi abbastanza velocemente a delle condizioni che mutano più rapidamente che mai».
Richiamando le osservazioni di questi grandi pensatori, non intendiamo certo negare l’importanza enorme della tecnologia contemporanea, e metterne in evidenza solo il negativo; ma, come dicevamo, vogliamo mettere in rilievo la grande regola dei Greci, oggi quanto mai necessaria, che l’uomo impari a fare uso in «giusta misura» delle sue creazioni, e a non diventarne schiavo, come in molti casi sta succedendo.