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Basta con il PIL

di Fabrizio Maggi - 07/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente

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Gli atomi obbediscono a leggi naturali senza avere la possibilità di esercitare scelte, non sono guidati da intenzioni ma rispondono a criteri meccanicistici immutabili nel tempo. Gli esseri umani adottano strategie comportamentali e sono in grado di imparare dalla propria esperienza; mutano inclinazione nel corso del tempo e relazionandosi con gli altri. Strutturare una corrispondenza univoca tra i numeri e la felicità umana è una follia. E’ soprattutto il criterio di massimizzazione dell’utilità, procrastinabile all’infinito in presenza di nuovi bisogni indotti dal progresso tecnologico, a rappresentare una violazione delle leggi fondamentali della biologia: gli organismi, in particolare quelli dei mammiferi, non massimizzano le variabili con le quali entrano in contatto; nel mondo biologico, il troppo e il troppo poco sono ugualmente dannosi. Il riduzionismo plutocentrico è un problema culturale, non un tratto distintivo della natura umana. Peccato che a governare oggi non ci sia Robert Kennedy ma Angela Merkel.

  

“ll PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”
Robert Kennedy, 1968

Joseph Stiglitz ha ricordato qualche giorno fa un vecchio adagio che recita: “Se i fatti non si conformano alla tua teoria, cambia la teoria”. Tenere in vita la teoria quando i fatti la confutano e incastrarli con forza al suo interno però è molto più semplice. Il nuovo sistema di calcolo europeo Esa 2010 ha introdotto nel conteggio del prodotto interno lordo l’inserimento dei proventi di attività illegali come la vendita di droga, la prostituzione e il contrabbando ma anche delle spese per ricerca e sviluppo e per armamenti. Tradotto in soldoni, se il PIL non cresce basta gonfiare i parametri di riferimento per vederlo nuovamente lievitare. Grazie alla novità, quello italiano del 2013 subisce un balzo in avanti del 3,8%. Siamo a posto così.

Il PIL rappresenta il valore dei beni e dei servizi prodotti in un paese da parte di residenti e non, in un arco di tempo, e destinati al consumo dell’acquirente finale, agli investimenti privati e pubblici, alla spesa pubblica e alle esportazioni nette. Quando Simon Kuznets ha elaborato l’indicatore denominato come PIL negli anni ’30, lo ha fatto nella assoluta consapevolezza che si trattasse di una forzata semplificazione, mettendo in guardia i suoi coevi da “illusioni e conseguenti abusi” dovuti al fatto che non si teneva conto “della distribuzione personale del reddito e di una varietà di costi che vanno riconosciuti”. Kuznets era conscio del rischio che il PIL ci conducesse a una cecità ostinata e all’ esasperazione di conflitti per l’attribuzione delle risorse: “La preziosa capacità della mente umana di semplificare una situazione complessa in una descrizione concisa diventa pericolosa quando la situazione non è verificata secondo criteri stabiliti in modo ben definito. In particolare, quando abbiamo a che fare con misure quantitative, la determinatezza del risultato viene a suggerire, in modo spesso fuorviante, che anche nell’oggetto misurato ci sia un’analoga precisione e semplicità. Le misure del reddito nazionale sono soggette a questo tipo di illusione (…) soprattutto perché hanno a che fare con materie che sono al centro del conflitto fra gruppi sociali opposti, dove l’efficacia di un’argomentazione viene spesso a dipendere dal ricorso a una semplificazione eccessiva.”(http://www.nber.org/chapters/c2258). Parole al vento.

Il PIL non ha niente a che vedere con la misura del benessere di un Paese, è solo uno degli indicatori della sua economia e non è certo l’unico. Il mercato costituisce solo una parte della nostra vita ed è capace di attribuire un prezzo ad ogni bene ma non un valore ai beni. Come sottolineato dal famoso paradosso di Easterlin del 1974, nell’arco di tutta la vita la felicità delle persone non è correlata alle variazioni di reddito o di ricchezza. L’economista nel suo studio mostra che la felicità aumenta di pari passo con il reddito solo fino ad un certo punto, oltrepassato il quale comincia a diminuire. La misura del benessere non può essere un problema meramente tecnico: riflette i valori e le preferenze di una società e degli individui che la compongono. Nelle scienze sociali, così come nell’esistenza umana, non esiste la neutralità. Gli atomi obbediscono a leggi naturali senza avere la possibilità di esercitare scelte, non sono guidati da intenzioni ma rispondono a criteri meccanicistici immutabili nel tempo. Gli esseri umani adottano strategie comportamentali e sono in grado di imparare dalla propria esperienza; mutano inclinazione nel corso del tempo e relazionandosi con gli altri. Strutturare una corrispondenza univoca tra i numeri e la felicità umana è una follia. E’ soprattutto il criterio di massimizzazione dell’utilità, procrastinabile all’infinito in presenza di nuovi bisogni indotti dal progresso tecnologico, a rappresentare una violazione delle leggi fondamentali della biologia: gli organismi, in particolare quelli dei mammiferi, non massimizzano le variabili con le quali entrano in contatto; nel mondo biologico, il troppo e il troppo poco sono ugualmente dannosi. Il riduzionismo plutocentrico è un problema culturale, non un tratto distintivo della natura umana. Peccato che a governare oggi non ci sia Robert Kennedy ma Angela Merkel.

http://www.benessereinternolordo.net/joomla/index.php?Itemid=1&id=8&option=com_content&task=view

http://www.lafucina.it/2014/09/30/stiglitz-euro/

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/22/istat-con-economia-illegale-pil-2013-piu-alto-di-59-miliardi-debito-a-1279/1129029/