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Il Capitale nel XXI secolo

di Nicolas Fabiano - 14/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Il Capitale nel XXI secolo è un inchiesta che si dipana per oltre due secoli sulla ricchezza di venti paesi (tra cui l’Italia). Dal punto di vista del metodo già questo è molto innovativo e si distacca dai celebri studi di grandi economisti del passato, quali Kuznets perché Piketty adotta un metodo longitudinale, storico e non di cross-section

  

Dopo la pubblicazione de “Il Capitale nel XXI secolo” corposo libro di quasi mille pagine ( edito in Italia da Bompiani) l’autore Thomas Piketty è praticamente stato salutato dalla stampa di tutto il mondo come una star. Il libro è notevole perché utilizza metodi di analisi innovativi e rigorosi. Per quanto riguarda i contenuti ( condivisibili in questa fase storica) è abbastanza stupido leggerli come “ rivoluzionari ”. O meglio: diamo a Piketty quello che è di Piketty. Naturalmente i soliti politicanti e governanti d’Oltralpe ( per i quali l’economista francese ha dato l’endorsement appoggiando Hollande alle presidenziali francesi) si sono subito prodigati nei titoli. Repubblica e Corriere recensiscono il libro di Piketty come rivoluzionario per i contenuti del libro e perché ha portato il dibattito sulla disparità tra ricchi e poveri. Si, premettendo che buona parte degli economisti più recenti compresi premi nobel quali Stiglitz e Amartya Sen hanno incentrato i loro recenti studi sulle diseguaglianze andando al fondo del problema e cioè all’eterno non-dibattito sulla globalizzazione e sull’attuale sistema internazionale dei pagamenti

Ma andiamo con ordine. Il Capitale nel XXI secolo è un inchiesta che si dipana per oltre due secoli sulla ricchezza di venti paesi (tra cui l’Italia). Dal punto di vista del metodo già questo è molto innovativo e si distacca dai celebri studi di grandi economisti del passato, quali Kuznets perché Piketty adotta un metodo longitudinale, storico e non di cross-section, vale a dire di analisi comparata in uno stesso istante di realtà diverse. Analizzare la crescita e le disuguaglianze vuol dire analizzare anche i motivi- distanti da paese a paese- per cui si ha o non si ha crescita e disuguaglianza. I risultati di Piketty confermano in qualche modo quello che scrittori come Balzac e Jane Austen hanno descritto nel corso dell’ottocento: vale a dire la ricchezza patrimoniale, determinata attraverso la rendita, negli ultimi vent’anni si è alzata moltissimo, rappresentando oggi giorno l’80% della ricchezza totale di un paese. Questo comporta un divario tra ricchi e poveri destinato a crescere ancora di più negli anni futuri, perché chi nasce con le rendite, difficilmente vedrà il proprio capitale assottigliarsi. Viceversa chi nasce povero rimarrà povero. Questa ineguaglianza che dovrebbe generare lacerazioni tra diverse classi sociali ( è questo il morivo per cui Piketty è stato sostanzialmente paragonato a Marx dall’Economist) dipende e qui conta molto l’analisi storica, dalla differenza tra quanto rende il capitale e quanto la crescita economica, conteggiata nel PIL. Per cui chi vive del solo stipendio da lavoro sarà sempre tartassato da imposte dirette, mentre chi vive di rendita specie in un periodo storico, il nostro, di bassa crescita economica manterrà sempre posizioni preminenti. Tra l’altro è una piccolissima minoranza nel mondo che detiene la maggior parte dei patrimoni, controllando di fatto la maggioranza mondiale che vive appunto del proprio reddito

I periodi storici di vivace crescita come il dopoguerra viceversa aumentano la ricchezza prodotta dal lavoro, ma come Piketty giustamente ci suggerisce, sono innescati da processi storici che presuppongono guerre, carestie e quant’altro. Quello su cui Piketty s’interroga di meno forse per via di una leggera tendenza a ideologie internazionaliste, è il ruolo della globalizzazione in tutto ciò. Appurato che il problema è una fase della storia dove i capitali non sono protetti per via della globalizzazione, è chiaro che la conseguenza sarà quella di offrire da parte dello stato di turno redditività fiscali molto basse per quei capitali. Altrimenti emigrano, e lo possono fare. Favorire il capitale attraverso il crollo del regime di Bretton Woods, attraverso la globalizzazione e la maggiore velocità di transazione degli scambi ha comportato quello che Piketty tende a sottolineare. E quello che si riprodurrà se non si metterà un limite a tutto ciò sarà un benessere famigliare legato ai beni ereditati e un scarso successo determinato dal proprio lavoro