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La società virtuale*

di Massimo Fini - 25/08/2006


Se fra il XVII e il XVIII secolo l'economia si pone al
centro della vita dell'uomo, sottomettendola alle sue
esigenze, nel XIX è il denaro che si mette al centro dell'economia,
finendo in breve tempo per assoggettarla.
Basti considerare che attualmente tutti i principali fattori
dell'economia cosiddetta «reale» (dalla produzione,
agli investimenti, al risparmio, alla redistribuzione primaria
dei redditi, all'inflazione) dipendono dal tasso di
sconto, cioè dal costo del denaro. Quindi nemmeno più
direttamente dal denaro in se stesso ma dal frutto della
sua gravidanza isterica: l'interesse. Il Dio Quattrino
domina la scena tramite il suo Spirito Santo e, volendo
parafrasare Borges, un Fantasma governa attraverso uno
Spettro1.
La spinta decisiva a questa ascensione del denaro è
stata data dalla banconota, un'invenzione rivoluzionaria
che Adam Smith ed Henry Thornthon paragonarono
alle maggiori innovazioni tecnologiche della Rivoluzione
industriale. E non a torto. Con la banconota infatti il
denaro si emancipa da qualsiasi valore intrinseco, si
pone definitivamente come soggetto a sé, come mercé
totalmente indipendente dalle altre, e inizia inoltre un
processo di progressivo distacco dalla materia che lo
porterà a ricongiungersi, depurato di ogni equivoco, con
la sua natura ideale.
La banconota fa la sua apparizione alla fine del XVII
secolo in contemporanea con la nascita della Banca
d'Inghilterra (1694). Precedenti di moneta cartacea, priva
di valore intrinseco, quindi esclusivamente fiduciaria,
ce n'erano già stati. La lettera di cambio, la cambiale, i
titoli del debito pubblico appartengono a questa categoria.
Inoltre già da tempo i banchieri usavano rilasciare
come controvalore delle monete metalliche e dei preziosi
loro affidati dei certificati di deposito, cioè dei biglietti
che erano trasferibili a terzi. I più noti sono i goldsmiths
note inglesi, più tardi chiamati banker's note.
Ma fra lettere di cambio, titoli del debito pubblico,
certificati di deposito e le banconote, oltre a una differenza
quantitativa (i primi hanno una circolazione comunque
limitata), c'è un sostanziale salto di qualità: la
girata delle lettere di cambio, dei certificati di deposito,
dei titoli può essere rifiutata (nessuno può obbligarmi a
prendere un pezzo di carta al posto, poniamo, di una
bella ghinea d'oro), la banconota no, deve essere accettata
come mezzo di pagamento su tutto il territorio
nazionale. Ha cioè corso legale.
La banconota nacque da un accordo fra la Corona e
la Banca d'Inghilterra: la Banca presta allo Stato moneta
sonante (in oro, in argento), in cambio ha l'autorizzazione
ad emettere dei biglietti con corso legale, le banconote
appunto. Questo sistema si estende, più o meno rapidamente,
a tutti i Paesi europei.
L'introduzione della banconota portò a una vertiginosa
proliferazione dei mezzi di pagamento. Perché se è
vero che la Banca era obbligata a convertire le banconote
in monete metalliche a chiunque ne facesse richiesta,
è altrettanto vero che, giocando sul calcolo delle probabilità,
cioè sul fatto che non è pensabile che tutti i possessori
di biglietti si presentino contemporaneamente
agli sportelli, le banche presero a emettere banconote in
misura di gran lunga superiore alle loro riserve d'oro e
190
d'argento. Sismondi, che pubblica i suoi Principi nel
1819, ha calcolato che nel primo periodo delle Banche
di emissione, quando vigeva la convertibilità, le stesse
misero in circolazione banconote per un ammontare
superiore di due, di tre e persino di dieci e venti volte
il valore delle loro riserve2. Il che va bene finché in un
Paese regna la fiducia, ma appena, per qualsiasi ragione,
tale fiducia si incrina il trucco mostra subito la corda
perché tutti corrono in banca per riprendersi il «denaro
sonante». Infatti poiché la banconota è una moneta
squisitamente e totalmente fiduciaria, se perde la fiducia
perde l'anima, la sua ragion d'essere, palesa drammaticamente
la sua inconsistenza e torna ad essere ciò che
realmente è: carta. C'è inoltre da osservare che il panico,
questa patologia tipica degli animali superiori e particolarmente
acuta nell'uomo, che è in grado di travolgere
anche la più concreta e solida delle materie, quando si
trova davanti qualcosa che si sostanzia esclusivamente in
elementi psicologici, come la moneta fiduciaria, non
incontra alcuna resistenza e si espande a velocità ultrasonica
coprendo, in tempi brevissimi, l'intero sistema
(mentre si ha voglia a perdere fiducia nel valore di una
mucca, questa brava bestia resta ugualmente lì a fare le
cose di sempre: brucare, cacare come dio comanda, dar
latte e, al peggio, bistecche).
Pressoché tutte le principali Banche di emissione andarono
quindi incontro, nei primi decenni della loro
esistenza, a colossali crack le cui conseguenze naturalmente
ricaddero sulla testa dei possessori delle banconote
che videro, spesso da un giorno all'altro, polverizzarsi
il loro capitale. Di ciò abbiamo già dato conto,
sempre attraverso la narrazione di Sismondi, nel secondo
capitolo3. A quel lugubre elenco si possono aggiungere
gli assegnati, la moneta della Rivoluzione francese,
che non erano propriamente banconote ma cartamoneta
emessa direttamente dallo Stato. Incoraggiati dal fatto di
191
— 193
poter moltipllcare a piacimento la ricchezza gli statisti
della Rivoluzione diedero mano a una infinità di emissioni.
Ciò naturalmente causò un deprezzamento degli
assegnati sia in rapporto alle monete straniere che a
quelle nazionali in metallo prezioso. I governanti reagirono
con ulteriori emissioni. Scrive Sismondi: «All'epoca
degli assegnati tutto ciò che poteva essere venduto,
anche oggetti giudicati fino a quel momento non commerciabili,
è diventato oggetto di esportazione. Le scorte
dei commercianti di qualsiasi categoria, perfino quelle
dei librai, sono andate esaurite; persine i mobili vecchi
sono stati spediti all'estero. Il commercio aveva assunto
un ritmo artificioso. Sembrava che la nazione vendesse
molto, ma in effetti queste vendite erano pagate con
della carta di nessun valore e alla fine, dopo aver venduto
tutte le sue ricchezze, essa si trovò in mano 45 miliardi
e 579 milioni di franchi in assegnati che, il 7 settembre
1796, giorno in cui furono soppressi, valevano soltanto
3 soldi e 6 denari per 100 franchi. Tutto il lavoro
accumulato dalle generazioni precedenti... aveva finito
per essere completamente distrutto»4. Si tratta della
prima iperinflazione cartacea moderna. Però, perlomeno,
gli assegnati, nelle emissioni iniziali, fruttavano un
interesse. Pochi invece si erano accorti che la banconota
è un titolo di credito che non dà interesse (a meno che
non sia rimesso nella disponibilità della Banca).
Ma con la banconota siamo appena agli inizi della
moltiplicazione dei pani e dei pesci. E la Banca è al
centro di questo miracolo moderno.
Il sistema bancario si sviluppa nell'800 per sovvenire
alle esigenze delle imprese industriali con anticipazioni
di credito a medio e lungo termine. Un singolo banchiere,
per quanto facoltoso, o anche un gruppo di banchieri,
che possono contare solo sui propri capitali e su quel
li di un ristretto numero di amici e conoscenti, e pure i
vecchi Banchi pubblici, non sono più pari alla bisogna.
Adesso è necessario drenare sistematicamente il denaro
di tutti i cittadini. Nasce la Banca moderna, che raccoglie
il denaro dei risparmiatori pagandovi un certo interesse
e lo presta a un interesse molto maggiore. Naturalmente
la Banca opera sulla fiducia che riesce a conquistarsi.
Ma la fiducia, lo abbiamo visto, è il più labile
degli elementi, per cui anche la storia dei primi periodi
della Banca ordinaria di deposito e credito5 è piena
zeppa di crack che lasciarono sul lastrico più che i banchieri,
i risparmiatori. Per porre freno in qualche modo
a questi fallimenti a catena che rischiavano di azzerare la
fiducia nella banconota se non addirittura nel denaro la
Banca di emissione (o Banca centrale) venne ad assumere
nel tempo il ruolo di prestatore di ultima istanza (lender
of last resort), cioè, in soldoni, di organo di salvataggio
delle Banche ordinarie in crisi. È bene precisare che
i salvataggi, che avvengano con interventi specifici oppure
attraverso il risconto generalizzato col quale si rifinanziano
Banche e banchieri, gravano sulla massa dei
cittadini, anche quelli che con la speculazione bancaria
non hanno nulla a che fare. Nel caso di interventi specifici
la Banca centrale utilizza pur sempre denaro dello
Stato, cioè dei contribuenti, in quello del ricorso al risconto
generalizzato si genera inflazione che colpisce
tutti. Ma il sacrificio, a quanto pare, è necessario, perché,
come scrive Giandomenico Piluso, «argina crisi e
fallimenti che possono compromettere la fiducia nell'uso
degli strumenti monetari e creditizi cartacei»6. The
show must go on.
Questo di salvare Banche, banchieri, finanzieri, speculatori,
professionisti del maneggio del denaro, con i
soldi di tutti, e con l'alibi, peraltro non infondato, che
altrimenti «il sistema va a gambe all'aria», è un fatto che
si ripeterà spesso anche nella storia recente. Del trucchetto
si era accorto, anche qui con largo anticipo, Sismondi
che scrive: «Ciononostante la mania delle ban-
che di prestito... persiste ancora. Tutti i giorni qualche
nuovo speculatore spunta con un progetto gigantesco.
Sarà già una pessima cosa che egli e coloro che hanno
avuto fiducia in lui vadano in rovina; ma se questo speculatore
riesce a coinvolgere nella sua speculazione i
capitalisti più ricchi della nazione probabilmente riuscirà
a far diventare la sua speculazione un affare nazionale;
allora quando la sua carta in circolazione si riverserà
da tutte le parti su di lui per essere convertita in moneta,
il potere legislativo interverrà per salvarlo dal fallimento
»7.
La Banca ordinaria è un grande fabbricante di denaro,
molto di più di quella di emissione che pur ha, istituzionalmente,
questo compito. Come? Attraverso la creazione
di quella che viene comunemente chiamata la quasi
moneta, o moneta scritturale, in grado di sostituire le
banconote: assegni, depositi, trasferimenti di partite fra
clienti della stessa Banca, compensazione fra Banche
tramite apposite stanze (clearing house), bonifici, interessi,
carte di credito. Ma il modo più consueto e più rilevante
con cui la Banca crea denaro è di fare dei prestiti,
di aprire dei crediti, che è poi la sua funzione principale.
Di norma chi riceve il prestito depositerà il denaro nella
Banca che gli ha fatto credito o, più probabilmente,
almeno all'inizio, non lo farà nemmeno uscire: la Banca
si limiterà ad accreditare quella tal cifra sul conto corrente
che il prestatario ha presso di lei. Il denaro resta
quindi, come deposito, nella Banca (o comunque nel
sistema bancario se il deposito viene fatto su un Istituto
di credito diverso) e sarà la base per la concessione di
nuovi prestiti. Ecco quindi innescato un formidabile
moltiplicatore di depositi di credito, cioè di denaro.
Nel far prestiti la Banca ha però un limite che è costituito
dal fondo di riserva che per legge deve tenere
(riserva legale] e che nei Paesi industrializzati è nell'or
dine del 20%, più o meno, dei prestiti concessi. Cioè la
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Banca (il sistema bancario in generale) può aprire crediti,
vale a dire creare denaro, in ragione quadrupla rispetto
a quelle che sono le sue reali disponibilità. Ma da che
cosa è costituito questo fondo di riserva? Noi, in genere,
pensiamo che nella Banca ci sia se non dell'oro (sono
passati quei tempi) perlomeno del denaro, inteso nella
sua accezione comune di banconote, di lire, di dollari, di
marchi, insomma di «fresca». Ma non è così. Ciò che
possiedono le Banche è ciò che abbiamo noi: dei depositi
bancari, cioè della carta su cui sta scritto che la
Banca detiene tot lire (o Bot o obbligazioni o ipoteche
o quant'altro). In questo mare di carta e di segni che
costituisce la ricchezza della Banca il fondo di riserva (a
parte la proprietà di qualche immobile) si distingue perché
è vincolato, cioè quella carta o piuttosto quei segni
debbono restare nella disponibilità della Banca e non
possono essere trasferiti a terzi.
Ma non è solo la Banca che può creare credito e
quindi denaro. Lo può fare lo Stato emettendo titoli (in
Italia i Bot, i Cct, i Btp, eccetera), lo possono fare le
imprese con le azioni e le obbligazioni e, in definitiva, lo
può fare chiunque conceda prestiti. Nel calderone della
quasi moneta vanno quindi messi i pegni, le ipoteche, le
polizze di assicurazione, i fondi di previdenza, i prestiti
dei «cravattati» e infine i ratei, che sono un finanziamento
al consumo che David Bazelon ha spiritosamente
definito «una democratizzazione del credito»8. Tutto
ciò, dall'assegno al rateo, non è moneta in senso stretto,
ma è credito e quindi denaro. Ed è questo tipo di denaro,
creditizio e scritturale, che ha da tempo preso il sopravvento
sulla banconota che sta per diventare un reperto
archeologico.
L'enorme espansione del denaro in tutte le sue forme,
valutaria, creditizia, scritturale, ha dato luogo a un processo
di progressiva finanziarizzazione dell'economia.
Di che si tratta? Quando il denaro si separa dalla mone-
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ta-merce e anche dalla moneta-metallo prezioso perde
ogni contatto con la mercé di cui ora esprime solo simbolicamente
il valore di scambio. Acquista quindi un'esistenza
del tutto autonoma, staccata dalle specifiche
merci e, pur non possedendo più alcun valore intrinseco,
diventa a sua volta mercé in quanto denaro. Il denaro
finanziario è denaro che opera su se stesso, è denaro
che compra altro denaro. Il che non è solo lucroso (e già
da sé basterebbe) ma addirittura inevitabile: tutte le
merci esistenti non sono ormai più in grado di soddisfare
la gigantesca massa di denaro che si è venuta a creare.
E il denaro non potendo comprare, se non in misura
marginale, oggetti, merci, prodotti, servizi, lavoro e, nel
contempo, avendo assoluta necessità di muoversi pena
l'estinzione o comunque la svalorizzazione, si getta allora
avidamente su se stesso. Azioni, obbligazioni, titoli di
Stato, valute e praticamente ogni forma di denaro partecipa
a questo gioco cannibalico il cui luogo deputato
è la Borsa, che Max Weber considerava l'espressione
più tipica della «razionalità pura» (zweckrational). Il
«denaro che compra denaro» si afferma in grande stile
solo quando, dopo i balbettii delle fiere di cambio, nasce
una Borsa in senso moderno. Simmel nota, con una
punta di sgomento, che già nel 1877 alla Borsa di New
York «si vendette 50 volte il ricavato del petrolio estratto
in un anno»9. Ma contro la Borsa poco vale lo sgomento
del pur navigato Simmel e ancor meno successo
ebbero le invettive di coloro che, nel XVIII secolo, la
videro nascere. Savary chiamava gli speculatori di Borsa
«pesti pubbliche» e Mercier «uomini che lavorano contro
i loro concittadini e non ne provano alcun rimorso».
Certo è che se c'è una manifestazione che svela inequivocabilmente
che quello del denaro è un gioco a
somma zero questa è la speculazione finanziaria. Perché
se c'è qualcuno che guadagna alla Borsa di New York è
matematico che in una diversa parte del mondo, non
necessariamente in Borsa, c'è qualcun altro che sta perdendo.
Se a Parigi la Borsa ha quintuplicato il suo valore
in otto anni e a New York l'ha triplicato vuoi dire che
qualcuno, forse nel Primo Mondo, più probabilmente
nel Terzo, si è impoverito in proporzione. Perché a moltiplicare
pani e pesci ci è riuscito uno solo e anche su di
lui è lecito nutrire qualche dubbio. Democrito l'ha detto:
«Nulla si crea e nulla si distrugge». Ma tutto si può
trasferire.
L'ultimo grido nella speculazione finanziaria, e suo
estremo raffinamento o, come direbbe Weber, «purificazione
razionale», sono i prodotti Derivati e i Futures
che ne costituiscono una sottospecie. Il Dictionary of
finance dà questa definizione dei Derivati: «I contratti
Derivati sono uno strumento finanziario il cui valore si
basa su un altro titolo. Per esempio l'opzione è uno
strumento derivato perché il suo valore deriva dal titolo
(azioni, titoli di Borsa, titoli di Stato) sottostante»10.
I Financial Futures sono invece «contratti di acquisto
o di vendita, a una certa data e a un prezzo prefissato,
di attività finanziarie»11. Alla stessa specie appartengono
gli swaps, gli ancor più sofisticati hedges e certe opzioni
dal significativo nome di knock-out di cui lo stesso Soros
ha ammesso che amplificano eccessivamente la volatilità
del mercato finanziario. E ha aggiunto: «Le cosiddette
opzioni knock-out stanno alle opzioni ordinarie nello
stesso modo in cui il crack sta alla cocaina»12. Dopo che
nel 1995 le opzioni knock-out avevano fatto esplodere lo
yen Soros ha dichiarato che forse era meglio bandirle
dal mercato. E all'intervistatore che si meravigliava e gli
chiedeva come mai proprio uno come lui, che di questi
giochetti è maestro e che sulla volatilità del mercato ha
costruito la sua fortuna, proponesse una soluzione così
drastica, Soros ha risposto: «Voglio che i mercati finanziari
sopravvivano»13.
II bello soprattutto dei Futures è che possono avere
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per oggetto qualsiasi cosa, assolutamente qualsiasi cosa
(anche se il future più comune rimane la scommessa sul
rialzo, o il ribasso, degli indici di Borsa). Per esempio
due anni fa negli Stati Uniti si scommetteva forsennatamente
sull'aumento delle separazioni fra coniugi (sulla
base delle relative polizze di assicurazione). Il mercato
dei Derivati ha ormai surclassato quelli tradizionali in
cui si scambiano azioni, obbligazioni, titoli di Stato,
valute (o forse sarebbe meglio dire simboli di azioni, di
obbligazioni, di valute). Adesso si preferisce scambiare
rischi allo stato puro deprivati, in pratica, di ogni ragione
sottostante. In passato infatti i contratti a termine
(cui i Futures appartengono) erano utilizzati dagli operatori
commerciali per rassicurarsi contro il rischio delle
fluttuazioni del corso del denaro (valute, titoli di Stato,
eccetera), ora si saltano le transazioni commerciali e si
contratta direttamente il rischio. Si è creato un mercato
a parte, autonomo, in cui ballano ogni anno valori nominali
per 41 mila miliardi di dollari14.
In realtà Derivati, Futures, hedges, knock-out sono
opzioni su opzioni su opzioni, scommesse su scommesse
su scommesse, speculazioni sulla speculazione e sulla
speculazione delle speculazioni, transazioni su simboli
di simboli di simboli, moltiplicazioni di moltiplicatori in
un avvitamento all'insù, verso il futuro, che teoricamente
non ha limite.
Qualcuno se ne lamenta, addirittura si adonta. Per
esempio Vivianne Forrester, giudiziosa figlia della cultura
francese e dell'Illuminismo, femmina progressista e di
sinistra, nel suo L'orrore economico scrive che si tratta di
un «traffico in cui si compra e si vende ciò che non
esiste»13. Ma questa non è la storia dei mercati finanziari
di oggi, è la storia del denaro di sempre. È il denaro che
non esiste, che è un'idea nella testa, una proiezione nel
futuro, esattamente come i Futures. Se si accetta la razionalità
(o l'irrazionalità) del denaro si deve anche accet-
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tare la razionalità (o l'irrazionalità) del Future che ne è
una diretta e logica conseguenza, che è anzi denaro nella
sua forma perfetta, quasi stilizzata. Perché il denaro è
sempre, dietro i suoi vari mascheramenti, un contratto
sul futuro: quando si scambia denaro si commercia sempre
una particolarissima mercé chiamata futuro.
Un'altra suorina della sinistra francese, Alain Minc,
una sorta di Alberoni o di Darhendorf dell'economia,
piagnucola che «comincia a farsi strada il principio che
non è ricco chi lavora, ma chi lavora col denaro»lé. Ma
anche questo è vero da sempre, dalla comparsa del denaro.
Il primo che ha usato denaro come intermediario
in una compravendita è un signore che ha tratto profitto
lavorando sul denaro. Ha fatto in piccolo ciò che oggi
Soros, o chi per lui, fa in grande stile. E in ogni caso, per
chi, come Minc e tutti i Minc della terra, è un fan della
società monetaria, queste sono lacrime di coccodrillo,
perché il denaro finanziario sta al denaro, per così dire,
commerciale come il missile atomico alla pallottola: una
volta inventata l'una non si può che arrivare all'altro.
Futures, hedges, opzioni e gli altri Derivati vanno ad
aggiungersi all'enorme massa di denaro già in circolazione.
Si calcola che attualmente i depositi transnazionali
ammontino alla sbalorditiva cifra di 8000 miliardi di
dollari. Un deposito è transnazionale quando è in valuta
diversa da quella del Paese in cui la Banca ha sede e
nazionalità. Osserva il Governatore della Banca d'Italia,
Antonio Fazio: «Questi 8000 miliardi di dollari sono più
del prodotto lordo degli Stati Uniti, una volta e mezzo
il valore delle esportazioni mondiali di merci; sono fuori
dal controllo diretto delle Banche centrali e la loro velocità
di circolazione è esaltata dal ricorso ai prodotti
derivati»17.
Resta da capire che cosa sia quest'enorme massa di
denaro finanziario che, strettamente integrato al sistema
economico-industriale, detta le sue leggi da Kuala Lum-
pur a New York a Milano e che, come vedremo più
avanti, ha steso lira e sterlina nel '92 e in dieci anni ha già
provocato quattro crisi, quella del 1987, quella messicana
del '96, quella asiatica del '97, quella russo-giapponese
del '98 che hanno portato il mondo sull'orlo del collasso.
A che cosa corrisponde? Non rappresenta infatti
merci, prodotti, servizi, lavoro, dato che il suo volume è
di gran lunga superiore, in valore nominale, a tutto ciò
che può offrire il mercato e quindi con buona parte di
esso non si può comprar nulla se non altro denaro. E
allora che diavolo è? Nessuno lo sa. Le spiegazioni dei
sostenitori dell'economia monetaria, anche quelle dei
più sottili, non convincono. Per Mathieu il capitale finanziario
è «accumulo di lavoro potenziale»18 e fra le sue
funzioni ci sarebbe quella di essere il luogo dove si scaricano
le perdite del sistema economico. Non le perdite
del capitale esistente (terra, merci, servizi, lavoro già attuato),
ma le perdite di quel capitale potenziale - costituito
dal credito, dalla fiducia, dalla progettualità, dalla
capacità di far lavorare, dal futuro -, che è rappresentato
appunto dal denaro finanziario. Se c'è una crisi di fiducia,
se c'è una perdita di progettualità, dice Mathieu, ci
deve pur essere, per una ragione di ineludibile simmetria,
qualcuno che, in qualche parte del sistema, perde e
perde non ciò che c'è già ma ciò che ci potrebbe essere.
E costui non può essere che il rentier, che detiene capitale
finanziario, cioè ricchezza in forma potenziale.
La funzione del rentier, del finanziere, dello speculatore,
di Soros sarebbe quindi quella di poter perdere il
proprio capitale, perché altrimenti a petto della distruzione
di una progettualità economica non ci sarebbe
alcuna perdita, il che è impossibile in natura. Insomma
il capitale finanziario sta al futuro come il denaro per
così dire corrente, quello che usiamo ogni giorno per
acquistare le sigarette o la bistecca, sta al presente. Alla
distruzione fisica di beni corrisponde la perdita di una
ricchezza attuale, alla distruzione virtuale di una progettualità
corrisponde la perdita di una ricchezza virtuale
che è il capitale finanziario. Spiega Mathieu: «II denaro
è credito, fiducia nel futuro. Ma il futuro è incerto e la
fiducia può anche andar delusa. Dunque, il denaro deve
potersi dissolvere nel nulla. Finché si dissolve nel nulla
una cifra destinata al consumo, ciò era previsto. Ma
quando si trasforma in "consumo" una spesa intesa come
"investimento" questa è una perdita, e ci deve essere
da qualche parte qualcosa che si possa perdere, e si dissolva
in corrispondenza di un tale rovescio. Ora, questo
qualcosa è solo il denaro accumulato»19.
Per quanto ingegnoso, il ragionamento di Mathieu ci
lascia perplessi. Soprattutto perché è basato sulla distinzione
fra denaro destinato al consumo e denaro destinato
all'investimento su cui generazioni di economisti e di
teorici si sono spaccati la testa senza cavarne un ragno
dal buco. Nel momento in cui l'ho in tasca nessuno può
sapere se è denaro destinato al consumo, all'investimento
o a qualcos'altro ancora. Perché il denaro, nella sua
essenza, è uno solo ed è sempre lo stesso: è futuro. Cioè
nulla. La differenza sta solo nel fatto che nel suo accumularsi
come capitale finanziario il denaro mostra, in
modo lampante e più evidente che in altre forme, la
propria inesistenza.
Al fenomeno della finanziarizzazione del denaro si
accompagna quello della sua progressiva smaterializzazione.
Il denaro perde i residui contatti con la materia in
cui si era via via incarnato.
All'inizio il denaro è moneta-mercé. Si tratti di buoi,
di riso, di sale, di pelli è qualcosa di consistente e di
reale che può essere utilizzato anche altrimenti qualora,
per qualsiasi ragione, perda la sua funzione e il suo
valore di denaro. Nei regni dell'alto Senegal e dell'alto
Niger e in Abissinia il sale è servito a lungo da moneta
ma, contemporaneamente, anche come cibo. Sicché un
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no il loro denaro»20. Insomma finché si identifica in una
mercé il denaro ha un'utilità intrinseca e anche una incontestabile
consistenza fisica. Alla mala parata si ha
sempre modo di farne qualche uso.
Le cose cominciano a complicarsi quando nasce la
moneta coniata in metallo prezioso. L'oro e l'argento
sono già una convenzione. Però conservano consistenza
materiale e anche una utilità intrinseca seppur limitata e
di molto inferiore al loro valore di scambio.
Il successivo salto di qualità si ha con l'invenzione
della banconota, moneta cartacea priva di qualsiasi valore
intrinseco anche immaginario. Ma all'inizio la banconota
è immediatamente convertibile in oro o in argento
ed è quindi agganciata a qualcosa di solido e di parzialmente
utile. Inoltre la carta è di per sé priva di valore
ma è pur sempre materia. Eppoi accanto ai biglietti di
carta continuano a circolare, per lungo tempo, le tradizionali
monete in oro e argento.
Il sistema della convertibilità, che tiene il denaro legato
a una mercé (da un certo momento in poi esclusivamente
l'oro), ha operato, sia pur con numerose interruzioni
e via via in modo sempre più indiretto, rarefatto e,
da ultimo, teorico, fin quasi ai nostri giorni. Ne rifacciamo
brevemente la storia.
La convertibilità della banconota, nata nel 1694, rimane
indiscussa per circa un secolo, fino al 1797 quando,
in seguito alle guerre con la Francia rivoluzionaria,
l'Inghilterra la sospende per la prima volta e introduce
il corso forzoso: non solo la banconota deve essere accettata
come se fosse «moneta sonante» (corso legale), ma
non può nemmeno essere convertita. Il sistema viene
accolto da quasi tutti i Paesi europei con l'eccezione, fra
i più importanti, della Francia. È ovvio che la inconvertibilità
da alla Banca di emissione la possibilità di sfortutte
le conseguenze inflazionistiche del caso21.
Questo sistema va avanti, in Inghilterra, fino al 1821.
Anche in questo periodo però non tutto il denaro è
fiduciario perché accanto alle banconote circolano sempre
le più rassicuranti monete metalliche in oro e argento
(poi solo in oro in quei Paesi, come l'Inghilterra, che
hanno adottato il monometallismo).
Nel 1821 l'Inghilterra, passata la buriana delle guerre,
ripristina la convertibilità della moneta. Comincia un
periodo confuso in cui il mondo economico è diviso
fra due scuole di pensiero: gli esponenti della currency
school sostengono che l'emissione di moneta cartacea
deve essere agganciata alle riserve auree della Banca
centrale e il volume delle banconote può superare la
riserva solo entro certe proporzioni prefissate; invece
secondo i seguaci della banking school l'emissione delle
banconote deve essere regolata tenendo conto della
domanda di mezzi di pagamento che viene dalle imprese
e dai commerci, e quindi libera salvo il controllo che la
Banca centrale effettua sull'espansione monetaria manovrando
sullo sconto degli effetti cambiari22.
Finalmente, nel 1844, il governo inglese decide di
seguire la linea della currency school stabilendo che ci
deve essere una proporzione fissa fra banconote in circolazione
e riserva aurea, monete e lingotti (bullion),
oltre la quale non si può andare. È il gold standard. Il
sistema arriva a regime, nel senso che si estende a tutti
i principali Paesi europei e agli Stati Uniti, negli anni 70
dell'Ottocento. Tutte le banconote nazionali sono convertibili
in oro da parte delle rispettive Banche di emissione
(«pagabili a vista al portatore»). Per i pagamenti
internazionali si usa sempre l'oro, ma anche moneta
«forte», che in quel periodo è la sterlina23.
Quello che va dal 1870 al 1914 è il periodo aureo, è
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il caso di dirlo, del gola standard, in cui effettivamente
funzionò secondo le proprie premesse.
Intanto però il volume delle banconote era aumentato
in maniera esponenziale, anche perché gli Stati si davano
a escavare forsennatamente oro (e anche argento per
quelli che erano rimasti bimetallici) o a ramazzarlo
ovunque per rimpinguare le proprie riserve e consentire
così alla Banca centrale di emettere più banconote possibile24.
Se nel 1780 le banconote circolanti nei principali
Paesi europei25 erano pari a 211 milioni di franchioro,
nel 1800 erano già più che raddoppiate (444,3), nel
1870 erano 3431,3, nel 1910 9957. A petto di quest'enorme
massa cartacea c'erano tuttavia rassicuranti
riserve metalliche per 6648 milioni di franchi-oro26.
Però agli inizi del Novecento le banconote non sono
ormai che una piccola parte della moneta cartacea. Nel
frattempo infatti la moneta scritturale (assegni, depositi,
partite di giro, eccetera) ha avuto un'espansione ancor
più impressionante che non si misura, come per le banconote,
in milioni ma in miliardi (di franchi o di sterline
o di dollari). Nel 1860 in Inghilterra la moneta scritturale
è pari a 7,2 miliardi di sterline, nel 1910 è raddoppiata:
14,7 miliardi. Negli Stati Uniti nel 1860 la moneta
scritturale ammonta a 27,8 miliardi di dollari, nel 1910
a 102 miliardi. Nel 1860 la moneta scritturale in Francia
praticamente non esiste, nel 1870 è pari a 0,8 miliardi di
franchi, nel 1910 è già a 16 miliardi27. Il tallone aureo è
ormai ben piccola cosa, al di sopra galleggia un'enorme
massa di denaro fatta di carta e di segni.
Con la prima guerra mondiale il gola standard salta.
Nessuno Stato può più garantire la convertibilità perché
deve gonfiare a dismisura le banconote in circolazione
per sostenere le spese di guerra. Dopo il conflitto si
cercò di ripristinare la base aurea (gli Stati Uniti ristabilirono
la convertibilità già nel 1919, la sterlina tornò
all'oro nel 1926), ma il sistema del gold standard non si
riprese, non ritrovò più gli antichi splendori. Sia perché
con le crisi a cavallo degli anni Trenta Gran Bretagna
(1931) e Stati Uniti (1933) dovettero sospendere precipitosamente
la convertibilità, sia perché anche i Paesi
che rimasero nel cosiddetto «blocco dell'oro» (Francia,
Belgio, Svizzera, Italia, Olanda, Polonia, Cecoslovacchia)
misero in atto misure che in pratica impedivano la
convertibilità al loro interno (Gold bullion standard). A
livello internazionale i pagamenti avvengono ancora in
oro ma anche in sterline e, soprattutto, in dollari che
proprio in questo periodo iniziano la loro ascesa come
moneta di riferimento. Anche se nei vari Paesi la convertibilità
non c'è più, è ormai solo teorica, resiste però il
concetto che ci debba essere un qualche rapporto e
proporzione fra massa cartacea e tallone aureo. Nel frattempo
però sono completamente sparite le monete metalliche
che escono dalla circolazione ed entrano a far
parte della numismatica (qualche esemplare della superba
sovrana inglese, simbolo del mondo che fu, era ancora
usato sporadicamente, con funzione di moneta, negli
anni Venti). Nei Paesi industrializzati il denaro è ormai
solo di carta.
Nel 1936 anche l'Italia, ultima a cedere, abbandona la
convertibilità e finisce così ufficialmente la tormentata
stagione del gold bullion standard. Siamo alle soglie della
seconda guerra mondiale. Nel luglio del 1944, con gli
accordi di Bretton Woods, le potenze che stavano per
uscire vincitrici dalla guerra statuirono un nuovo regime
monetario chiamato gold exchange standard. Le varie
monete nazionali non sono più direttamente convertibili
in oro ma in dollari (di cui le rispettive Banche centrali
devono tenere una certa riserva) mentre i dollari sono
invece convertibili presso la Federai Reserve, la Banca
centrale degli Stati Uniti. Cioè una finzione, le banconote
di ogni Paese, sono garantite da un'altra finzione, il
dollaro, che a sua volta è garantito da una semifinzione:
205
l'oro. Ma insomma laggiù, nei forzieri di Fort Knox, c'è
ancora qualcosa di materialmente solido, di quantitativamente
limitato e di vagamente utile a costituire perlomeno
un punto di riferimento del sistema del denaro.
Un tenuissimo filo tiene ancora legata la massa della
cartamoneta alla mercé.
Naturalmente gli Stati Uniti non riuscirono a resistere
alla tentazione di stampare molti più dollari di quanti ne
consentisse la loro riserva aurea. Ciò portò a frequenti e
ingenti conversioni di dollari in oro che avrebbe completamente
prosciugato la Federai Reserve se gli Usa
durante gli anni '60 non avessero, con vari mezzi e mezzucci,
reso di fatto inconvertibile il dollaro28.
Nell'agosti del 1971 Richard Nixon, con un atto di
chiarezza e di onestà, mise ufficialmente fine al gola
exchange standard. Il dollaro è però rimasto la moneta di
riferimento per i pagamenti internazionali (dollar standard)
il che permette agli Stati Uniti di ripetere il giochetto
di emettere molti più dollari di quanto non più la
loro riserva aurea ma la loro economia consentirebbe e,
poiché questi dollari vanno all'estero, di scaricare la
relativa inflazione sugli altri Paesi. Ma non è di questo
modesto truffone che è il caso di occuparci qui. Quel
che interessa è che dal 1971 il denaro cartaceo e scritturale
si libra sul nulla, liberato da ogni residua ipocrisia.
Ma intanto nel mondo di carta sono avvenute altre e
decisive trasformazioni. Come un tempo la moneta
metallica, anche la banconota è in via di estinzione. Già
ora di denaro «vero», si fa per dire, insomma di circolante,
ce n'è in giro pochissimo, soprattutto in Banca.
Non molti anni fa mi recai all'agenzia 61 dell'IBI (ora
Cariplo) in via Montenapoleone a Milano, un luogo
piuttosto prestigioso, dove tengo i miei quattrini. Avevo
bisogno di cinque milioni sull'unghia e presentai all'incasso
un mio assegno di importo equivalente. Il cassiere
cominciò a fare delle smorfie, disse che per una somma
206
del genere la Banca doveva essere preavvertita almeno
un paio di giorni prima e che, insomma, quel denaro lì
per lì non l'aveva, mi rivolgessi alla sede centrale. Cosa
che feci rimuginando fra me e me che ormai la vecchia,
cara «fresca», almeno in una certa quantità, si può trovare
solo al tavolo del poker che è un luogo se non più
onesto certamente più veritiero delle Banche.
Negli Stati Uniti se, negli alberghi e nei ristoranti,
paghi in moneta invece che con la carta di credito o
perlomeno con un assegno, ti guardano come se fossi un
barbone, uno che non ha nemmeno una Banca che gli
faccia credito. Oggi, secondo il classico manuale del
Samuelson, le banconote coprono appena un decimo
del denaro scritturale in circolazione29. Ma, con buona
probabilità, è una stima per difetto e in ogni caso la
percentuale di banconote rispetto al resto del denaro è
destinata a diminuire ulteriormente fino all'estinzione
perché, come dicono gli esperti, si va verso una cashless
society, una società senza circolante.
Ma non scompare solo la banconota, tutto il denaro
cartaceo tende se non ad eclissarsi perlomeno a imboscarsi
e a rendersi inafferrabile. Chi ha mai visto un Bot
o un'azione in carne e ossa? Tuttavia, per quanto invisibili
ai comuni mortali, Bot, azioni, obbligazioni e le
altre forme di denaro non monetario devono pur esistere
nel fondo di qualche caveau e se non con fattezze ben
definite e sgargianti colori almeno come segni scritti su
carta. Finché le cose stanno così il denaro è ancora legato,
sia pur flebilmente, alla materia. Materia priva di
qualsiasi valore e quasi impalpabile, come la scrittura su
carta, ma pur sempre materia. Però anche quest'ultimo
legame col mondo fisico sta per sciogliersi. E l'ora della
moneta elettronica. Già adesso parte del denaro è formato
da bit e byte, cioè da impuls elettronici. Il denaro che
viaggia su computer, e che vene comprato e venduto
mille volte al giorno, trova un supporto cartaceo e scrit-
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turale solo in un secondo tempo, alla fine delle operazioni,
quando ha già spostato equilibri economici e sociali,
fatto e disfatto fortune.
Ma c'è anche denaro che è già totalmente e solamente
elettronico. Con la plastic card e la ancor più sofisticata
smart-chip-card il cliente di una Banca può spostare valuta
dal proprio «database», che attesta le sue disponibilità
finanziarie, al «database» del suo creditore o, viceversa,
ricevere valuta da altri «database». Le transazioni
vengono registrate su copie magnetiche o magneto-ottiche.
Sono i cosiddetti «conti virtuali»30.
In un avvenire prossimo verrà eliminata anche la firma
sostituita da segnali biomedici distintivi della persona31
e i rapporti con le Banche saranno tenuti attraverso
«workstation intelligenti» in modo da togliere di mezzo
ogni sudaticcio contatto umano o, come si esprime un
autore, «Pelemento frenante» che sta ancora fra i piedi
della finanza virtuale: le persone32. Del resto anche le
Banche sono destinate a scomparire come luogo fisico.
«Il processo di approccio al banking without bank» scrivono
Baio e Ferramonti nel loro Oltre la Banca «è opera
di aziende pioniere che scommettono sulla conversione
dalla carta all'elettronica. Sulla strada di un futuro senza
sportelli già alcune Banche hanno sperimentato forme
che consentono di ridurre al minimo gli spostamenti e le
perdite di tempo. Banque direct della Compagnie bancaire
(Paribas), First direct (Midland Bank), Banco directo
(della spagnola Argentario) sono alcune esperienze
in campo europeo di gestione a distanza del rapporto col
cliente»33.
Ma in questa direzione di definitiva smaterializzazione
del denaro e di coloro che se ne occupano la Borsa,
come sempre, ha preceduto tutti. A Milano non esiste
più un luogo con le «grida», gli agenti di cambio e i
broker che si agitano freneticamente concludendo affari
sulla base di segnali convenzionali e misteriosi, ma pur
sempre umani, annotandoli sui propri taccuini, come
siamo stati abituati a vedere in tanti film, c'è solo un
mega computer collegato con i borsini e le Borse di
tutto il mondo, molte delle quali sono, a loro volta, nient'altro
che dei computer. Questa è oggi Piazza Affari: un
computer. Tutto ciò si chiama Finanza virtuale globale.
Con la moneta elettronica si spezza l'ultimo legame fra
denaro e materia. E, dopo una marcia durata tremila
anni, il denaro si ricongiunge finalmente a se stesso, alla
sua pura essenza, ridiventa idea, spirito disincarnato come
lo era alle sue prime, baluginanti, apparizioni quando
fu partorito dalla mente dell'uomo o, il che fa lo
stesso, dal deretano del Demonio.
Karl Marx ha scritto con profonda intuizione: «II materiale
in cui si esprime questo simbolo [il denaro] non
è affatto indifferente, per quanto diverso esso si presenti
storicamente. Insieme al simbolo, lo sviluppo della società
elabora anche il materiale a essa sempre più corrispondente
»34. A un denaro virtuale non può che corrispondere
una società virtuale.
1 Nel Faust di Goethe la banconota intesa come «spettro» è un kit-motiv
dell'opera.
2 J.C.L.S. de Sismondi, Nuovi principi di economia politica, cit., p. 346.
3 Gap. n, p. 22.
4 J.C.L.S. de Sismondi, Nuovi principi di economia politica, cit., pp. 347-
348.5
Da non confondersi con la Banca centrale che col tempo si precisa come
istituto di emissione e di controllo del credito, senza fini di lucro.
6 G. Piluso, in AA.W., Lo sviluppo economico moderno, a cura di P.A.
Toninelli, Marsilio 1997, p. 165.
7 J.C.L.S. de Sismondi, Nuovi principi di economia politica, cit., p. 323.
8 D.T. Bazelon, L'economia di carta, Edizioni di Comunità 1964, p. 111.
9 G. Simmel, Filosofia del denaro, cit., p. 710. Chissà che faccia farebbe
il buon Simmel se sapesse che oggi in Borsa si scambiano ogni giorno valute
per un ammontare di 1500 miliardi di dollari che rappresentano il quadruplo
delle spese per il greggio estratto in un anno. H.P. Martin-Η. Schumann, La
trappola della globalizzazione, Edition Raetia 1997, p. 52.
10 J. Downes, Oictionary of Έinance, New York 1995.
11 Enciclopedia dell'economia, cit., voce Financial Futures, p. 494.
208 209
PARTE TERZA
IL DENARO COME FINE
E
LA FINE DEL DENARO
12 G. Soros, Soros su Soros, Ponte alle Grazie 1995, p. 127.
13 Ibid., p. 128.
4 H.P. Martin-Η. Schumann, La trappola della globalizzazione, cit., p. 56.
5 V. Forrester, L'orrore economico, cit., p. 105.
6 A. Mine, II denaro pazzo, cit.
7 Relazione del Governatore della Banca d'Italia, 1996.
8 V. Mathieu, Filosofia del denaro, cit., p. 247.
9 Ibid., p. 172 e, più in generale, per l'intero ragionamento di Mathieu,
pp. 171-174 e 247.
20 F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, cit., p. 411.
21 Nel 1810 in Inghilterra, Francia, Germania, Belgio e Olanda circolavano
banconote per un valore pari a 631 milioni di franchi-oro a petto di riserve
metalliche per 130 milioni di franchi. G. Felloni, Profilo di storia economica
dell'Europa, cit., p. 304.
22 G. Piluso, in Lo sviluppo economico moderno, cit., pp. 194-195.
23 Tanto che c'è chi parla di sterling standard perché di fatto il sistema è
diretto e gestito intemazionalmente dalla Banca d'Inghilterra.
24 Nel 1913 le cinque principali economie europee e gli Stati Uniti detenevano
oltre il 70% delle riserve auree mondiali. G. Piluso, Lo sviluppo
economico moderno, cit., p. 198.
25 Nella statistica che segue sono state prese in considerazione Inghilterra,
Francia, Germania, Olanda e Belgio.
26 G. Felloni, Profilo di storia economica dell'Europa, cit., p. 304.
27 Ibid., p. 309.
28 G. Boffito, Enciclopedia Einaudi, cit., pp. 502-503.
29 P.A. Samuelson-W.D. Nordhaus, Economia, Zanichelli 1992, p. 549.
Le banconote sono un decimo del denaro scritturale, ma una porzione molto
minore dell'intero volume del denaro comprendente azioni, obbligazioni, titoli
di Stato, Derivati, ecc.
30 S. Baio-G. Ferramonti, Oltre la Banca la finanza virtuale globale, Spirali
1995, p. 35.
31 Ibid., p. 56; S. Viderman, II denaro, R. Cortina Editore 1997, p. 81.
32 S. Baio-G. Ferramonti, Oltre la Banca la finanza virtuale globale, cit.
p. 75.
33 Ibid., pp. 39-40.
34 K. Marx, // denaro. Genesi e essenza, Editori Riuniti 1990, p. 11, n.3.

*tratto da Il denaro sterco del demonio, Marsilio