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Siamo nell'era dell'antropocene

di greenreport - 06/09/2006

Siamo nell´era dell´antropocene, senza inserire la contabilità ambientale nei bilanci nazionali, la politica non ha le informazioni necessarie per governare secondo il principio di sostenibilità
Il festival della scienza in corso in questi giorni a Norwich, nel Regno Unito, è giunto a conclusioni apocalittiche: il surriscaldamento della terra, cioè l’effetto serra, giungerà nel giro di una ventina d’anni a un punto irreversibile, con pochissimi anni a disposizione per invertire una tendenza creata dall’uomo. Gianfranco Bologna, direttore scientifico di Wwf Italia, ha accettato di riflettere insieme a noi su cosa aspetta la terra e sul rapporto tra l’irreversibilità del surriscaldamento terrestre e la corsa infinita alla crescita, da parte di governanti e grandi gruppi economici.

«I grandi programmi di ricerca sul cambiamento globale sono cominciati fin dagli anni 80, con l’obiettivo di comprendere quali siano le caratteristiche della dinamiche naturali e contestualmente di comprendere il ruolo dell’intervento umano – spiega Gianfranco Bologna - Ci sono scienziati che lavorano giorno e notte e ormai da anni ci hanno detto e scritto e dimostrato che l’intervento indotto dall’uomo ha modificato i sistemi naturali, in un modo paragonabile a una forza geologica, mettendo il sistema terra in condizione di operare in una situazione che da quando c’è l’uomo sulla terra non si è mai verificata».

Quindi lei è convinto della responsabilità dell’uomo e della necessità di intervenire al più presto. Ma siamo ancora in tempo?
«Il premio nobel 1995 per la chimica Paul Crutzen, grande studioso dei clorofluorocarburi, è arrivato a proporre alla comunità scientifica di definire Antropocene il periodo geologico iniziato con la rivoluzione industriale, evidenziando così le responsabilità nette e precise dell’intervento umano. Questo stato che non ha analogie con i precedenti stati, può avere effetti soglia, cioè livelli sorpassati i quali la variabilità degli eventi e dei mutamenti non è più prevedibile. Ancora non si è in grado di dire con certezza quale è il livello soglia che potrebbe provocare l’accelerazione della caoticità del sistema climatico. E questo è profondamente preoccupante. Per esempio in molti sostengono che una di queste soglie potrebbe essere il superamento dell’incremento di 2 gradi centigradi rispetto alla temperatura media terrestre del periodo pre-industriale. Attualmente siamo a +0,7 gradi».

E’ davvero cambiata così tanto la terra in questi ultimi duecento anni?
«Si, e c’è una forte correlazione tra l’incremento della temperatura e la concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Proprio in questi giorni sono stati resi noti i risultati dell’ultimo studio effettuato sulle bolle d’aria dei carotaggi dei ghiacci dell’Antartide: siamo arrivati fino a 800mila anni fa. L’atmosfera di quell’epoca ci dimostra che non c’è mai stata una concentrazione di anidride carbonica come oggi, che abbiamo 380 parti per milione di volume. L’oscillazione è sempre stata tra 180 e 330. Così come la concentrazione di metano che negli ultimi duecento anni è passata da 750 parti per miliardo, a 1780 parti per miliardo».

La preoccupazione quindi è giustificata.
«Si, ma fortunatamente oggi siamo consapevoli del fatto che l’incremento dell’effetto serra provoca un disequilibrio della dinamica energetica del sistema terra, con la conseguente estremizzazione degli eventi climatici e metereologici, perché bisogna essere onesti: non ci sono fenomeni nuovi, uragani, tsunami e catastrofi in genere ci sono sempre state, ma oggi vengono profondamente accentuate dalla mano dell’uomo. Anche perché nessuno si ricorda che qualsiasi cambiamento climatico significativo precedente non ha mai avuto luogo in una situazione in cui la terra aveva 6 miliardi di esseri umani, che nel 2050 saranno secondo la variante media 9,1 miliardi».

Lei dice siamo tutti consapevoli… mi sembra che invece a livello mondiale chi ha più poteri voglia ignorare il futuro che attende il suo pianeta.
«Diciamo che in questo mondo dove il principio di equità non viene rispettato, e con questa dinamica energetica impazzita, anche la massa di buone intenzioni rischia di diventare senza senso. Anche se, magari per una sensibilità verso il mantenimento della propria esistenza, alcuni grandi gruppi stanno cominciando a capire che si deve cambiare, che si deve crescere in termini di efficienza e di risparmio energetico. E’ vero che nella dimensione globale stiamo in realtà parlando di avanguardie, ma in alcuni casi queste avanguardie sono significative: se si guarda alle lobbies più importanti, quelle petrolifere, troviamo accanto a multinazionali culturalmente arretrate come la Texaco e o la Exxon mobile, anche situazioni come quelle della Shell e della British Petroleum che non solo hanno cominciato a investire nelle rinnovabili, ma nel caso della Bp sono arrivati anche a cambiare il proprio nome, in “oltre il petrolio”, consapevoli che l’era del petrolio sta ormai volgendo al termine».

Ma la crescita resta un dogma.
«Nessuna delle grandi company è contro la crescita, ma anche i governi dei più variegati colori politici la inseguono. Questo è un gravissimo errore e il punto non è essere favorevoli o no alla crescita, ma capire che la crescita non è solo quantità. Ed ecco allora che se nelle contabilità nazionali non si inseriscono elementi che mettono in conto anche la natura, il politico medio non ha informazione di base sufficienti per decidere cosa è meglio fare e cosa no. L’informazione è alla base di tutto: basta pensare al paradosso clamoroso della dimensione in cui siamo: a livello mondiale ancora oggi non sappiamo quante risorse fossili ci sono ancora, con le multinazionali che cambiano i dati a seconda delle situazioni e nessuno sa dire con certezza per esempio quando avverrà il picco del petrolio».