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Decalogo apocrifo dello scrittore di successo

di Javier Cercas - 07/09/2006

 
PRIMO. Ricorda che l’unica possibile forma di successo consiste nello scrivere il miglior libro che puoi scrivere, quel libro che, prima di finire di scrivere, non immaginavi neppure che saresti mai arrivato a scrivere. Non cercare nessun’altra forma di successo: che sia essa a cercare te. Se ti raggiunge, non aver paura e comportati come se non fosse capitato niente.
SECONDO. Non scrivere per tua madre. Né per tuo padre. Non scrivere per i tuoi amici. Non scrivere per i tuoi nemici (soprattutto non odiarli: l’odio, come ha detto Michael Corleone, non ti consente di giudicarli). Non ti passi per la testa di scrivere per i critici. Né per gli editori, né per gli agenti, né, ovviamente, per quell’ipotetica astrazione chiamata lettore. E non scrivere neppure per te stesso. Scrivi per un Dio impeccabilmente onnisciente che si rende conto anche di quando cerchi di ingannarlo. E allora se la ride con una sghignazzata orripilante.
TERZO. Non dimenticare che scrivere una frase significa risolvere un problema che verrà riproposto dalla frase seguente. E non dimenticare che scrivere un libro significa la stessa cosa. Diffida della facilità. Non sforzarti né di essere intelligente, né saggio, né arguto, né divertente (santo Dio, non sforzarti né di essere arguto né divertente): che lo sia il libro. Che il libro sia molto meglio di te che sei solo un pover’uomo, come tutti. Quando ti rendi conto che scrivi cercando di far bella figura dèdicati ad altro. Non dimenticare che scrivere vuol dire riscrivere; decifrare, cioè, che cosa c’era dentro di te senza che neppure tu lo sapessi.

QUARTO. Evita come la peste le belle frasi, le belle parole, chi scrive con la maiuscola la parola arte, la parola artista, la parola opera, la parola bellezza, soprattutto la parola bellezza. Rifuggi da tutto ciò che, anche remotamente, si richiama alla letteratura: la letteratura è ciò che neppure remotamente si richiama alla letteratura: si richiama solo alla verità.
QUINTO. Conserva la tua paura (e io lo so che hai una paura terribile) per la vita, e riesumala in qualche modo quando ti senti di scrivere perché venga fuori intera e vera nei tuoi libri che sono ciò che, in realtà, tu sei. Ricorda che questo non è lavoro per vigliacchi, ma ricorda anche che è coraggioso non chi non ha paura, ma chi la sopporta e, quindi, all’attacco e va’ al massimo.
SESTO. Scrivi come se fossi morto e ricordassi o inventassi (fa lo stesso) ciò che è capitato a te o ad altri, proprio come se volessi materializzare un miraggio, proprio come se, contro ogni evidenza, fossi convinto che, nel momento in cui riuscirai a materializzarlo, quanto è accaduto a te o ad altri diventerà più reale del reale, che, in fin dei conti, poi, non è niente. Ricorda, comunque, che non esiste nulla di più importante della letteratura, a a
ccezione della vita.
SETTIMO. Coltiva le tue ossessioni, i tuoi vizi, la tua follia e, con moderazione, la tua prudenza; coltiva le tue perplessità, le tue passioni (quelle alte e quelle basse, soprattutto quelle basse), il tuo irrinunciabile gusto (quello buono e quello cattivo, soprattutto quello cattivo) e non dimenticare di ridere di te stesso con allegra fierezza. Ricorda che i tuoi difetti sono anche i tuoi pregi. Non rifiutare mai un elogio, neppure se sei annebbiato dai fumi dell’alcol, perché - questo non l’ha detto Michael Corleone, ma La Rochefoucauld, però in questo caso va bene ugualmente - chi rifiuta un elogio è perché ne vuole due. E soprattutto, soprattutto per nulla al mondo, non rassegnarti a provare invidia per qualche collega o a parlar male di lui: è un’ammissione d’inferiorità.
OTTAVO. Leggi tutto, rileggi solo le cose più profonde (ma rileggi molto), scrivi quel che ti viene dalle budella - tanto per usare un termine elegante - e pubblica soltanto ciò che non puoi fare a meno di pubblicare. A meno che tu non abbia deciso di suicidarti o perso completamente il rispetto per te stesso o i creditori minaccino di mandarti in galera o al palo della tortura, non avere fretta di pubblicare.
NONO. Se scrivi con un personal computer, dammi retta e premi di tanto in tanto il tasto con l’icona «Salva», e non lesinare nel fare copie di sicurezza: se non altro ti rispamierai la figura dell’imbecille di fronte a te stesso rincorrendo, con una certa dose di masochismo e di vile adulazione, il pensiero d’aver appena perduto per sempre la frase o il paragrafo o la pagina che avrebbe dato senso al tuo lavoro. Se scrivi a mano hai una possibilità in meno di fare l’imbecille, per cui scrivere a mano è preferibile. Questo comandamento è il penultimo, ma dovrebbe essere il secondo.
DECIMO. Ricorda (questo comandamento è l’ultimo, ma dovrebbe essere il primo) di non prendere in considerazione nessun decalogo. Incominciando da questo e finendo con quello che tu stesso scriverai il giorno in cui un giornale deciderà che sei uno scrittore di successo e ti chiederà di scrivere un decalogo dello scrittore di successo.