Ma che notizia è “la rabbia” della parte offesa?
di Enrico Galoppini - 04/01/2016
Fonte: Il Discrimine
Il classico dei classici è la “rabbia palestinese”. L’esercito israeliano o qualche “colono” armato ammazzano dei palestinesi e “la notizia” diventa: “I palestinesi giurano vendetta”. Il grave e sanguinoso antefatto, invece, passa allegramente in cavalleria.
Quando due razzi artigianali vengono sparati dalla Striscia di Gaza, “la notizia” è quella e stop: “Attacco a Israele!”. La reazione israeliana, regolarmente sproporzionata e ben oltre il “10 per 1” dei nazisti, viene presentata dai “media” come comprensibile e giustificata. D’altronde sono sempre i palestinesi a “cominciare”, no?
L’Arabia Saudita, alleata degli Usa e di Israele, fa fuori in un colpo solo quarantasette oppositori, di vario orientamento politico-religioso, e con diverse condanne sul capo. Tra questi, anche l’ayatollah Nimr Baqr al-Nimr, accusato di aver istigato la “primavera” della minoranza sciita araba (e ribadiamo araba, non persiana) del Paese, la quale per giunta è la maggioranza nelle zone in cui vive.
Qual è la notizia per i cosiddetti “organi d’informazione”? La “rabbia sciita”, la “vendetta divina” invocata dall’Iran.
Ma che modo è mai questo d’informare le persone? Non avrebbero diritto di capire meglio come stanno le cose? Perché sempre questo trattamento da decerebrati?
Se l’Iran, o qualche altro “Stato canaglia”, avesse eliminato in un’unica soluzione quasi cinquanta oppositori, e tra questi anche individui sul cui conto non è ascrivibile alcuna condotta violenta, avremmo assistito al solito stracciarsi di vesti dei paladini dei “diritti umani violati”, della “libertà di parola” eccetera, con fiaccolate silenziose, “maratone oratorie” dei Radicali e gigantografie dei “martiri” appese sui municipi di mezza Italia. Il Colosseo sarebbe stato illuminato a giorno e l’ambasciatore del Paese-mostro si sarebbe visto recapitare una convocazione per spiegazioni urgenti.
A cosa serva tutto questo rigirare la frittata è presto detto. Intanto a spacciare la vittima per carnefice, anche solo potenziale e dunque giustamente represso. A ciò si aggiunga il non secondario effetto di rafforzare nella mente della gente l’idea che gli arabi, ed i musulmani in genere, sono perennemente “arrabbiati” e “vendicativi”. Mica come noi, che appena ti fanno fuori un familiare ti vengono davanti col microfono per estorcerti, in diretta, il perdono. Un perdono a caldo puramente scenografico, non meditato ed elaborato, e dunque un modo come un altro per non prendere atto che la normale reazione umana quando si viene gravemente offesi è la rabbia unita al desiderio di vendetta.
Saranno, queste, reazioni “animalesche” e “disumane” per il moderno modo d’intendere… ma l’alternativa qual è? Farsi fare di tutto senza battere ciglio, ma non perché si è assurti alla santità, bensì perché si ha paura. Paura di ogni cosa: dalla reazione dell’assassino (!) al biasimo mediatico e delle pecore che belano allo stesso modo.
Ma se i palestinesi sono ancora lì “tra i piedi” lo devono anche alla loro “rabbia”, perché se si fossero adeguati al moralmente corretto occidentale avrebbero da mo’ tolto il disturbo, arrivando forse persino a scusarsi per aver intralciato la marcia del Bene e del Progresso.
Ben venga quindi la collera, e pure la vendetta, segni di una reattività non ancora sopita ed addomesticata, però stiamo attenti a tutti i travisamenti e le strumentalizzazioni che ne fanno i media intruppati, i quali trasformano in “fatto grave” quello che semmai è solo la normale e comprensibile reazione a ciò che piuttosto dovrebbe fare notizia ed essere universalmente deprecato.