Caso Regeni, Gregoretti: “Crisi di metodi investigativi. Regeni scelto per informatica e lingue”
di Mirco Coppola - 07/02/2016
Fonte: L'Opinione pubblica
Malgrado le smentite dell'Aise, l'indiscrezione lanciata nelle scorse ore dal giornalista Marco Gregoretti ha creato molta agitazione nei palazzi del potere. Il caso Regeni, ragazzo scomparso il 25 Gennaio scorso a Il Cairo e trovato morto tre giorni fa, potrebbe sancire il fallimento definitivo delle riforme dei servizi di sicurezza, firmate da Prodi nel 2007 e da Monti nel 2012.
Il dottorando della Cambridge University e cittadino italiano, Giulio Regeni viene trovato morto in una fossa a Il Cairo. Il ventottenne era scomparso dal 25 gennaio scorso in circostanze poco chiare. Il corpo, nudo nelle parti inferiori, mostrava segni di bruciatura e delle mutilazioni alle orecchie, oltre che evidenti segni di percosse e di tortura. Lo studente friulano collaborava come corrispondente de Il Manifesto firmandosi con uno pseudonimo e si era avvicinato alla sinistra egiziana, criticando il neoliberismo del governo sul suo profilo facebook.
La polizia egiziana ha inizialmente parlato di incidente stradale, ma lo status in cui è stato trovato il corpo e le circostanze in cui Regeni era sparito, fanno pensare a tutt’altro rispetto all’ipotesi di un investimento stradale. Regeni, infatti il giorno della scomparsa, il 25 Gennaio, si stava recando alla celebrazione del quinto anniversario di Piazza Tahrir, il nome con cui in Egitto è stata battezzata la rivolta del 2011 legata alle primavere arabe.
LE IPOTESI – Stando alle ipotesi di uno che di Medio Oriente se ne intende, Fausto Biloslavo, i movimenti del ragazzo di Fiumicello avrebbero allarmato gli apparati di sicurezza egiziani: a Regeni oltre che i contatti con gli attivisti di Piazza Tahrir può essere stato fatale il rapporto con il giornalista dello stesso Manifesto, Giuseppe Acconcia, arrestato nel 2011 durante la rivolta di Tahrir. Il friulano potrebbe essere stato coinvolto in una retata anti-terrorismo da agenti troppo zelanti della sicurezza egiziana agli occhi dei quali i legami del dottorando “potrebbero essere diventati indizi di chissà cosa”.
Restano, tuttavia circostanze poco chiare. Quella di un eccesso di zelo da parte egiziana può essere un’ipotesi anche convincente, ma non può bastare. Da parte sua il governo italiano, attraverso le parole del Ministro degli Interni, Angelino Alfano, ha chiesto chiarezza: “vogliamo la verità, Al Sisi collabori” ha dichiarato l’ex guardasigilli a poche ore dal ritrovamento del cadavere. Ma c’è un’altra cosa che in queste ultime ore ha dato diversi grattacapi al Governo, perché del caso si è occupato anche il giornalista investigativo Marco Gregoretti.
Gregoretti, noto per le sue indagini sulle missioni di pace in Somalia, per le quali ha vinto nel 1998 il premio Saint-Vincent, ha affermato con cognizione di causa che il Regeni sarebbe tutt’altro che una vittima di Sisi. Secondo il giornalista il ventottenne di Fiumicello, in provincia di Udine, era stato arruolato nelle fila del controspionaggio italiano all’estero, che fa capo all’Aise. La notizia, che nel caso fosse confermata avrebbe dello sconvolgente, è girata in poche ore in tutto il sistema mediatico, costringendo i servizi italiani, attraverso le colonne di alcuni giornali alla pubblica smentita.
L’INDAGINE INVESTIGATIVA – Contattato dalla nostra testata, Gregoretti ha risposto alle nostre perplessità. In primis il dubbio che un ragazzo di 28 anni possa essere reclutato già da tempo per un’operazione così importante dai nostri apparati di sicurezza. Ma sembra che sia una prassi abbastanza comune: “Conosco operatori di intelligence che furono arruolati a 16/17 anni. Quindi l’età di Regeni, da questo punto di vista, era più che matura, non si trattava di un ‘ragazzo’ e neanche di un ‘ragazzino’: era un uomo di 28 anni. Come ho scritto nel mio blog l’ottimo curriculum di Giulio Regeni sarebbe stato visionato da un servizio di intelligence italiana quando, dopo la riforma dei servizi segreti, venne fatta una campagna di “arruolamento” pubblica. Peraltro non sono riuscito a scoprire con quale forma di contratto Regeni fosse, eventualmente, inquadrato. Consulente? Contractor? Seguendo questa linea, e secondo l’ipotesi che ho ricostruito anche grazie a fonti piuttosto attendibili, il povero Regeni avrebbe indispettito l’intelligence governativa egiziana con una sua attività di apparente sostegno agli oppositori. La tipologia delle mutilazioni riscontrate sul suo corpo richiamerebbe antichi simboli degli squadroni egiziani usati contro ‘le spie’. Andando oltre, io credo che la lotta al terrorismo, a Isis, sia una guerra difficile e piena di tranelli e di insidie: loro combattono la guerra all’orientale. L’occidente non è pronto ad affrontarla e continua a non saper leggere i segnali che dalll’11 settembre 2001 arrivano”.
A tal proposito, l’Egitto di Sisi ha dimostrato di essere fortemente repressivo nei confronti del terrorismo islamico, sia con la campagna libica di inizio 2015 dove ha posto un serio freno all’avanzata dell’Isis nella regione, sia sul fronte interno dove ha censurato duramente le attività dei Fratelli Musulmani, notoriamente vicini all’islamismo politico e dunque al jihadismo. Tenendo per buona la sua ipotesi per quale motivo Regeni era lì a fare attività di spionaggio, per giunta tenendo buoni rapporti con quelli di Tahrir?
Non credo che sia il nostro paese a sostenere i Fratelli Musulmani, che sono tra le origini del problema con l’assassinio di Sadat nel 1981. Anche se, non dimentichiamolo, fu Romano Prodi ad aprire le porte dell’Europa ad Hamas. Io penso che le Primavere arabe in genere siano state un’altra astuzia della guerra all’orientale nella quale l’Occidente ci è cascato in pieno. La lotta al terrorismo è difficilissima. Forse bisognerebbe partire dall’assunto che non sono solo terroristi, ma soldati, organizzati a più livelli, di un esercito ricco, ben strutturato, ramificato capillarmente oramai in tutto il mondo, che combatte una guerra con tattiche e strategie che ci sfuggono. In Europa sono stati contati almeno 1680 jihadisti pronti a colpire. 162 in Italia. La rete logistica di cui hanno bisogno fa almeno triplicare questo numero. In Egitto, come altrove, la nostra intelligence deve cercare questo, deve cercare i supporti “culturali” e politici nascosti di questa realtà
Quanto successo può mettere in crisi i rapporti tutto sommato buoni tra Governo italiano e Al-Sisi, considerando che ciò potrebbe risultare deleterio nell’ottica della lotta al terrorismo sul fronte libico?
Mi auguro di no. E penso che non si incrineranno i rapporti diplomatici. Certo è che le reazioni così forti del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del Presidente del Consiglio Matteo Renzi sono sorprendenti. Mai era successo che l’Italia inviasse con immediata reattività una squadra di investigatori di così altro profilo (Carabinieri, Polizia e unità speciali) a investigare sul territorio di uno Stato sovrano straniero. Nulla del genere successe per Ilaria Alpi, per Maria Grazia Cutuli, per Fabrizio Qattrocchi, per Enzo Baldoni e neanche per il rapimento di Giuliana Sgrena, soltanto per citare alcune dolorose vicende. Credo che bene si sia mosso il ministro dell’Interno con la sua dichiarazione “perfetta” da ogni punto di vista, politico, diplomatico, investigativo e umano: ‘Noi vogliamo solo cercare la verità’ “.
Certo, c’è grande fermento nel governo italiano. Lo scandalo del video pubblicato da Aljazira, che mostra la verità sul pagamento del riscatto di Greta e Vanessa ha fatto saltare via 86 teste negli apparati di intelligence; la situazione è delicata, tanto che il Copasir ha convocato i vertici dell’Aise per la fuga di notizie. Inoltre il fattoquotidiano nella sua versione telematica parla apertamente di faida aperta all’interno delle agenzie di sicurezza. Cosa sta succedendo ai servizi segreti italiani?
Io più che di faida interna, che, peraltro, nel bene e nel male è un “effetto collaterale” di tutti i servizi del mondo, sia per contenuti (filo arabi-filo israeliani) che per banale pecunia (gli agenti della Cia che si sono arricchiti con il traffico della droga in Viet-Nam) parlerei di crisi di metodi investigativi. Secondo me il punto è che di riforma in riforma l’intelligence italiana ha perso poteri, riservatezza, mezzi, fondi e credibilità. La reazione di ieri a quanto ho scritto nel mio blog è un altro inedito. Non era mai successo che un servizio segreto telefonasse alle agenzie di stampa per dettare una smentita. Oltre a confermare che, forse, avevo toccato un nervo scoperto, quei lanci d’agenzia costituiscono a mio avviso un atto antidemocratico clamoroso. I servizi segreti che dettano la linea all’informazione? Mamma mia!!!”
Non crede che il Governo dovrebbe assumersi le responsabilità di quanto stia accadendo nell’ambito della Sicurezza dando le dimissioni o come al solito in Italia non paga mai nessuno?
Beh, in realtà, qualcuno sta pagando: 86 operatori allontanati, tra cui alcuni ruoli apicali, non sono pochi. Io credo che la soluzione non stia nelle dimissioni di qualcuno, ma nella riforma approvata nel 2007 dal governo Prodi e ulteriormente rafforzata dal governo Monti il due agosto 2012 (terribile coincidenza con l’anniversario della strage di Bologna), che ha portato alla creazione di Aise (esteri) e Aisi (interni) con una rivisitazione a mio avviso negativa dei poteri, delle funzioni e dei rapporti con il potere politico. Se non si mette mano a questa partita non cambierà nulla.