Il ruolo saudita nel conflitto in Siria
di Aleksandr Kuznetsov - 28/02/2016
Fonte: Aurora sito
Il Ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha avvertito l’Arabia Saudita il 16 febbraio a non dispiegare truppe in Siria. “Coloro che operano in Siria, senza l’autorizazione del governo sovrano della Siria violano il diritto internazionale”, ha detto in una conferenza stampa al Parlamento europeo di Bruxelles. La capacità dell’Arabia Saudita di effettuare un’offensiva militare in Siria è discutibile. Fino all’intervento nello Yemen, l’esercito saudita prese parte ad un solo grande conflitto. Le forze armate saudite si unirono alla coalizione degli Stati Uniti per liberare il Quwayt dall’Iraq (operazioniDesert Shield e Desert Storm nel 1990-1991). Poco dopo l’occupazione del Quwayt nella Guerra del Golfo, il principe saudita Bandar bin Sultan fu scelto come comandante delle forze arabe e condivise formalmente una posizione di pari responsabilità con il Generale Norman Schwarzkopf dell’US Army, comandante delle forze della coalizione che cacciarono le truppe irachene. Il comandante saudita si occupò principalmente di concludere costosi ordini di armamenti per 4 miliardi di dollari. Fu dimesso da ministro della Difesa da re Fahd che ordinò un’indagine sulle sue dubbie attività La seconda operazione su larga scala è l’invasione dello Yemen lanciata nel marzo 2015. Dove le vittime civili sono 2500. L’infrastruttura economica del Paese è devastata. L’avanzata abbastanza modesta. Lo scorso luglio, i miliziani filo-sauditi occupavano Aden, la capitale dello Yemen del sud. La coalizione saudita non riuscì a prendere Taiz, dove la popolazione locale era ostile agli huthi. Se i sauditi avessero conosciuto meglio la storia della regione, non avrebbero deciso così facilmente d’invadere lo Yemen, tenendo conto delle sconfitte militari subite da Portogallo nel XVI secolo, Turchia nel XVII e XIX secolo e Gran Bretagna nel XX secolo. L’avvio di un’operazione saudita in Siria è destinata a fare la stessa fine dello Yemen. Alcuna esperienza in combattimento e assenza di strategia militare sono solo metà del problema. Le grandi guerre richiedono grandi fondi. Il regno attraversa momenti difficili, con i prezzi del petrolio che scendono. Con l’avvio della primavera araba nel 2011, Re Abdullah bin Abdulaziz al-Saud lanciò un programma sociale da 72 miliardi di dollari comprendente pensioni, alloggi a buon prezzo, 90 mila nuovi posti di lavoro (prevalentemente statali e nelle agenzie della sicurezza) e lo sviluppo delle aree arretrate del Paese. Voleva tenersi leale la popolazione ed impedire proteste antigovernative. La dipendenza dai proventi del petrolio è confermata dal deficit di bilancio del 2016 pari a 87 miliardi di dollari. I programmi sociali sono in pericolo ora, così come l’aiuto ai Paesi arabi satelliti per unirli nello sforzo di contrastare l’Iran. Secondo dati informali, gli aiuti esteri a supporto degli “amici” ammontano a 30 miliardi, inclusi prestiti a condizioni favorevoli al governo militare dell’Egitto, crediti al Pakistan, sussidi alle monarchie di Bahrayn e Giordania per mantenere al potere questi governi fragili, denaro per corrompere sceicchi tribali yemeniti e aiuti ai terroristi in Siria e Iraq. È vero, il regno vanta riserve significative (660 miliardi di dollari). Al ritmo attuale, le riserve si esauriranno in 8-10 anni. Cosa succederà allora?
Incapace di reggersi in piedi da sola, a dicembre Riyadh annunciava la formazione di una coalizione antiterrorismo di 34 Stati. Il termine “antiterrorismo” è piuttosto fuorviante. Tale fragile alleanza non è stata creata per combattereal-Qaida e Stato islamico. L’iniziativa è contro l’Iran, il principale avversario geopolitico dell’Arabia Saudita. Inoltre, Riyadh non riesce a trovare altri partner militarmente efficienti. Quando la guerra nello Yemen è iniziata, Pakistan ed Egitto si sono rifiutati di parteciparvi. Il Pakistan affronta troppi problemi interni, soprattutto nell’irrequieto Nord-Ovest. Inoltre, Islamabad non vuole rovinare i rapporti con l’Iran. L’Egitto è occupato a combattere i terroristi nel Sinai e la diffusione della loro influenza in Libia. Le monarchie di Giordania e Marocco non hanno rifiutato di prendere parte alla coalizione, ma vogliono aiuti finanziari mostrando poco interesse a mandare i sudditi quale carne da cannone in Siria. Le potenzialità militari di Paesi piuttosto singolari nella lista degli alleati, come Sudan, Somalia e Isole Comore, sono troppo insignificanti per essere menzionate. L’operazione militare annunciata in Siria sembra un bluff. È vero, Riyadh ha grande influenza sull’opposizione armata in Siria. Il regno ha amici e alleati tra i gruppi che compongono il campo antigovernativo: dal relativamente moderato fronte dei rivoluzionari a Jabhat al-Nusra(nonostante quest’ultimo sia definito organizzazione terroristica e ai sauditi sia vietato aderirvi). Senza il sostegno dell’Arabia Sauditai Jabhat al-Nusra non avrebbe occupato Idlib lo scorso maggio. Allo stesso tempo, l’avanzata dell’esercito regolare siriano ha notevolmente indebolito l’opposizione armata. I terroristi subiscono una sconfitta dopo l’altra. Nessuno dell’opposizione parla più di avanzate. La missione è aggrapparsi ancor più. Le sconfitte militari indeboliscono la posizione dell’opposizione nei negoziati. Date le circostanze, non c’è altro che la minaccia d’intervento militare diretto. Il tempo mostrerà se funziona.Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora