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Sul lettino del filosofo Socrate batte Freud?

di Andrea Galli - 14/09/2006

La psicofilosofia sta diventando una moda: invece dello psicoanalista (in crisi d’identità) e dello psichiatra (troppi farmaci!), ecco il consulente che aiuta a fare i conti con idee e valori. Ma sarà efficace?

 

Andreoli: «La visione errata del mondo può creare malessere». Botturi: «I pensatori sono sempre stati guide esistenziali, ma resto perplesso». Natoli: «Attenti a generare dipendenze da modesti guru»

 

«Meglio Platone del Prozac», recitava il titolo del libro del canadese Lou Marinoff, del 1999. Una battuta che ha generato un piccolo bestseller e che resta d'attualità per via di una pratica filosofica che ha fatto passi non piccoli anche in Italia, di cui Marinoff è forse il divulgatore più conosciuto: la consulenza filosofica o psicofilosofia. Si tratta per alcuni di un tentativo di recuperare l'impostazione originaria del filosofare, inteso come qualcosa di utile all'esistenza di individui in carne ed ossa, non solo astrazione accademica. Per altri, più maliziosamente, di un abile tentativo dei filosofi di inserirsi nello spazio lasciato libero da una psicanalisi in crisi d'identità e da una psichiatria spesso ridotta a farmacologia. In pratica chi si rivolge a un consulente filosofico viene aiutato a fare i conti non tanto con la propria «psiche» - àmbito appunto di psicanalisti e psichiatri - ma con la propria filosofia personale. Il presupposto è che ogni persona porta in sé una struttura di idee e valori, una propria weltanschauung che può essere alla base di forme di disagio o di sofferenza. Il consulente non punta a una guarigione, non propone una terapia in senso classico, cerca di condurre il suo assistito, maieuticamente, a prendere consapevolezza del proprio orizzonte concettuale e del nesso fra questo e i suoi problemi. Un'opera di chiarificazione interiore attuata tramite una prestazione professionale a pagamento. Il counseling filosofico è nato a Colonia nel 1981 ad opera del tedesco Gerd Achenbach. Negli anni '90, in Francia, Marc Sautet ha dato il via ai café-philo, discussioni pubbliche presso il Café des Phares di Parigi, un modello esportato poi in vari Paesi. Nel 1994 si è tenuta la prima conferenza internazionale, a Vancouver. Poco dopo, nel 1999, la consulenza filosofica è decollata anche in Italia, con l'apertura dei primi studi professionali e la nascita dell'Associazione Nazionale di Counseling Filosofico (Aicf). L'eredità di Aicf, scio ltasi poco dopo la fondazione, è stata presa sostanzialmente da Phronesis, associazione con sede a Firenze, che si riallaccia direttamente al percorso avviato da Achenbach, teso a distinguere bene la consulenza filosofica (attività appunto filosofica) dalle pratiche psicologiche e psicoterapeutiche. Il pensatore italiano più noto vicino a Phronesis è Umberto Galimberti, già vice-presidente dell'associazione, oggi curatore della collana «Pratiche filosofiche» per l'editrice Apogeo, dedicata a questo filone di ricerca. Ma il campo è ormai vasto e variopinto. Si va dall'Associazione Italiana Psicofilosofi, con sede a Genova, con le sue scuole di specializzazione per addetti ai lavori (prossimo appuntamento una tavola rotonda a fine settembre con Franco Volpi e Antonio Gnoli) al Gruppo Babele, a Pisa, con le sue attività nelle scuole superiori e i suoi corsi di «dialogo socratico». Fino alla Scuola italo-svizzera di Formazione all'Esercizio del Counseling Filosofico e della Nonterapia, patrocinata dall'Università di Varese, al cui nome improbabile corrispondono docenti pittoreschi, come lo scrittore Andrea De Carlo e il monaco buddhista Gotatuwe Sumanoloka Thero. E un approccio esotico: «Tra sciamani e druidi, tra tantrici e alchimisti, tra yogin e templari, tra sufi e sofisti: tutte le grandi correnti misteriosofiche hanno un cuore comune, ma nessuna possiede metodi codificati, ricette preconfezionate. I metodi sono altamente creativi. Nella nostra scuola insegniamo la creatività del metodo, ovvero come re-inventare il proprio modus operandi in un flusso continuo che attinge a un'inesauribile sorgente: il Sé». Ma gli esperti del settore, filosofi e psichiatri, come giudicano questa terza via di cura? Con scettica benevolenza, si direbbe. Per Francesco Botturi, ordinario di filosofia morale alla Cattolica di Milano, «dal punto di vista storico, l'idea che fa da sfondo alla consulenza filosofica non è abusiva, basti pensare all'esempio di Socrate. Non si può negare poi che i pensatori famosi, quelli che magari hanno una presenza costante sui media, ricoprono già per molti, in qualche modo, un ruolo di guida esistenziale. Mi restano però alcune perplessità: la prima è se ci siano le condizioni storiche per ripetere quella che fu l'esperienza degli inizi. Per dirne una, al tempo di Socrate non c'era ancora stato il cristianesimo, che ha profondamente innovato la realtà e il senso dell'interiorità esistenziale, vedi sant'Agostino, rispetto a cui la pura analisi filosofica forse non è più sufficiente. Per questo mi appare problematica la sua trasposizione a livello interpersonale». Anche Salvatore Natoli, professore di filosofia teoretica all'Università di Milano-Bicocca, e che ha da poco dato alle stampe una Guida alla formazione del carattere, è agrodolce sulla questione: «Se la filosofia può servire e a livello individuale, questo accade quando essa fa sì che l'individuo si stacchi da sé e si guardi come da fuori. Quando invece la filosofia si avvicina all'uomo favorendo l'attenzione all'io, ecco che non crea un uomo libero, ma un tossicodipendente di consigli e di parole». Il rischio insomma è quello di «ammiccare ai sentimenti», soprattutto in una società come la nostra che ha sviluppato fino al parossismo la «soggettivazione». «La consulenza può diventare una gestione settaria del bisogno. E rischia di creare modesti guru e piccole dipendenze». Una via verso cui, però, uno psichiatra eclettico come Vittorino Andreoli è ben disposto: «A una filosofia che torni ad avere un volto umano sono più che favorevole e penso possa avere anche un valore terapeutico: una visione errata del mondo può effettivamente essere la radice di un malessere esistenziale. Certo non possiamo parlare di filosofia al singolare, ma di filosofie. E qui viene il passaggio impegnativo: se mi trovo di fronte a un egocentrico, non gli consiglierò di leggere Nietzsche. Così come accade per la musicoterapia: non consiglierò Wagner a un nevrastenico. Si tratta insomma di saper personalizzare l'offerta, il che non è scontato». Già, tanto meno scontato quando - come si legge nel programma del Progetto Phoebus, promosso dalla scuola di counseling italo-svizzera - il dialogo filosofico mira «a raggiungere degli obiettivi a tu per tu con se stessi. Per esempio perdere dei chili avendo successo nel seguire una certa dieta alimentare e riuscendo a praticare quella giusta dose di movimento fisico che si è stabilito di dover fare, ma non solo». Per tutto questo basta un imperativo categorico kantiano o ci vuole altro?