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L'Occidente sta perdendo l'Afghanistan...

di Pino Buongiorno - 05/10/2006

 


Dimostrazione pro talebani in Waziristan, al confine fra Afghanistan e Pakistan.
Attentati, imboscate, attacchi kamikaze... Nell'ex roccaforte di Al Qaeda l'attività dei guerriglieri è cresciuta a ritmi esponenziali. Lo riconosce pure il Pentagono, che ha inviato nuovi reparti d'assalto.


 
I cacciatori di teste sono arrivati all'improvviso. Una settimana dopo aver contribuito in maniera sostanziale all'uccisione presso Baquba di Abu Musab al-Zarqawi, 400 soldati americani, inglesi, australiani, polacchi e canadesi della Delta force, dei Navy seals, delle Sas, dei commando Grom e della Joint task force Two hanno avuto l'ordine di lasciare le basi irachene di Balad e di Baghdad e di trasferirsi immediatamente in Afghanistan.
La loro nuova missione, nelle aree tribali pashtun, a cavallo tra Afghanistan e Pakistan, è dare la caccia ai tre terroristi più ricercati al mondo: Osama Bin Laden, il suo numero due Ayman al-Zawahiri e il mullah Omar, l'emiro guercio dei talebani.

È la prima volta che succede dal 2003, dall'invasione dell'Iraq, ed è un'indicazione precisa. Nel momento in cui, a fine luglio, la Nato si accinge a raddoppiare il suo contingente fino a portarlo a 18 mila soldati, e a prendere il comando delle operazioni nelle province meridionali dell'Afghanistan, l'élite militare della coalizione di 36 paesi diventa l'avanguardia della guerra al terrorismo islamico. Tre anni andati persi.
I capi di Al Qaeda, i talebani e l'ultimo alleato Gulbuddin Hekmatyar, l'immarcescibile leader del partito Hiz-i-Islami, hanno avuto tutto il tempo di riorganizzarsi e tornare a imporre la sharia, la dura legge islamica, nell'intero Waziristan, trasformato nel primo califfato di Bin Laden post 11 settembre.

«Si sbaglia a considerare il movimento di insurrezione come esclusivamente talebano. È un movimento di massa contro la presenza degli stranieri» ritiene Mohammed Gul, un mullah religioso e anche un jangvi, un condottiero, in un'intervista esclusiva realizzata per conto di Panorama da un inviato dell'agenzia Adn Kronos International in una località montagnosa vicino a Qalat, capitale della provincia di Zabol.
Il comandante Gul sostiene di avere ai suoi ordini 1.500 uomini che operano fra Zabol e Helmand, il perno dell'offensiva contro il governo centrale guidato da Hamid Karzai e la coalizione internazionale che lo appoggia.

Propaganda? Forse l'esagerazione nelle parole dell'ex studente delle scuole coraniche c'è, ma non più di tanto. In una recente audizione al senato americano lo stesso direttore dei servizi segreti del Pentagono ha dovuto riconoscere l'aumento esponenziale delle attività guerrigliere e terroristiche in Afghanistan, con tattiche importate dall'Iraq, come le bombe suicide (il quadruplo rispetto a un anno fa) e le cariche esplosive (Ied), che sono raddoppiate.
Per capire quel che sta succedendo in Afghanistan da maggio in poi bastano poche cifre: oltre 1.000 morti, tra le forze leali al governo e i talebani, un diplomatico canadese trucidato e una quarantina di soldati, per lo più americani (ma c'è anche una vittima italiana), uccisi in imboscate.

Sul fronte opposto, quello dei 22 mila soldati americani, c'è un dato che la dice lunga sulle crescenti preoccupazioni dei generali del Pentagono: negli ultimi tre mesi ci sono state ben 340 incursioni dei bombardieri, contro le 160 del ben più pubblicizzato conflitto iracheno.
L'offensiva guidata dai talebani si può considerare tecnicamente di tipo preventivo contro il dispiegamento della Nato. Ma l'obiettivo è anche di carattere mediatico: gli agguati e gli attentati sono mirati a spaventare le opinioni pubbliche di quei paesi che dovranno mandare più soldati in Afghanistan (Italia, Spagna, Germania, Paesi Bassi).

È triste ammetterlo, ma oggi il presidente Karzai non può considerarsi nemmeno «il sindaco di Kabul», come per tanto tempo si è detto del suo potere reale. La violenta sommossa di fine maggio nelle strade della capitale afghana, dopo un incidente provocato da un mezzo militare americano, ha dimostrato che il consenso popolare scema di giorno in giorno tra faide interetniche (i pashtun del sud contro i tajiki del nord) e accuse di corruzione ai governatori provinciali e ai capi della polizia locale, nominati da Karzai. Il deputato Obeidullah, che rappresenta la regione a ovest di Farah, confida a Panorama il suo pessimismo: «Un anno fa nessuno avrebbe offerto ospitalità ai talebani. Oggi la gente li sta aiutando».


Gli scontri fra dimostranti afghani e truppe della coalizione il 29 maggio a Kabul, che hanno provocato parecchie vittime
Le ragioni le spiega con un esempio il mullah Gul. «È colpa degli americani» punta il dito. «Recentemente hanno bombardato un villaggio vicino a Kandahar e hanno ucciso una ventina di contadini con le loro famiglie. Non c'era un solo talebano in quelle case di fango. La popolazione si è ribellata. E lo stesso esercito nazionale afghano è uscito distrutto da quell'incidente, con parecchi soldati che hanno disertato».
Errori e danni collaterali certamente i generali del Pentagono ne hanno fatti tanti da quando, nel novembre 2001, l'odioso regime del mullah Omar si è disciolto. L'uso sproporzionato della macchina bellica è stato criticato perfino dal prudente Karzai e da molti osservatori delle organizzazioni umanitarie dell'Onu. Ma anche il presidente afghano e i suoi alleati, da George W. Bush a Tony Blair, hanno portato a casa ben pochi risultati sul fronte della ricostruzione.

«Nemmeno una centrale elettrica è stata costruita, tant'è vero che ancora oggi solo un terzo di Kabul ha la luce» sostiene lo studioso pachistano Ahmed Rashid, autore del best-seller Talebani. «Quando non hai elettricità, non hai industrie e quindi non crei posti di lavoro, ma non riesci neppure a investire nell'agricoltura.
Risultato: i contadini (17 per cento della popolazione) hanno ripreso a coltivare papavero da oppio. L'agenzia Onu antidroga ha stimato che il loro introito annuo si aggira intorno ai 60 milioni di dollari, su un business complessivo di 2,8 miliardi di dollari. L'eroina genera corruzione, economia illegale e violenza».

Il mullah Omar, Bin Laden e Hekmatyar hanno saputo sfruttare questi clamorosi insuccessi con l'aiuto di alcune potenze straniere che tentano di riproporre, in quest'estate 2006, la versione aggiornata del Great game per il controllo dell'Asia centrale. I talebani godono di nuovi appoggi logistici in Pakistan.
Un intero quartiere di Quetta si è trasformato in un santuario dei capi del movimento religioso puritano e delle loro famiglie. Anche l'indottrinamento e il reclutamento dei volontari destinati alla jihad afghana avvengono più o meno ufficialmente nelle madrasse di Karachi, Lahore, Peshawar e Quetta.

Lo stesso addestramento dei futuri mujaheddin si svolge in campi occultati del Balochistan, sotto la supervisione dei comandanti di Al Qaeda, alcuni dei quali richiamati dall'Iraq nelle ultime settimane.
Il governo pachistano e i suoi potenti servizi segreti Isi favoriscono in questo momento la resurrezione dei talebani, per rispondere alla crescente influenza politico-economica dell'India all'interno del governo Karzai. Secondo il presidente Pervez Musharraf, i consolati indiani di Kandahar e di Jalalabad sono diventati «covi di spie di Nuova Delhi, che fomentano la rivolta degli indipendentisti nel Balochistan».

L'altro grande protagonista della destabilizzazione dell'Afghanistan è l'Iran. I servizi segreti della Nato hanno raccolto precise indicazioni sulle infiltrazioni degli agenti di influenza di Teheran nella città di confine di Herat, dove operano i 400 soldati italiani del gruppo provinciale di ricostruzione, nella stessa Kabul e perfino nella zona di Bamyan.
Qui i pasdaran si sono assicurati, a suon di migliaia di dollari, la sottomissione dei potenti signori della guerra locali e di alcuni boss della droga, che, un giorno, potrebbero essere utili in caso di attacco aereo americano contro le installazioni nucleari in Iran.

«La Nato non fallirà in Afghanistan» ha promesso solennemente il generale James Jones, il comandante supremo delle forze alleate in Europa, alludendo anche ai ruoli ambigui della Russia e della Cina, più che mai interessate a scacciare le truppe americane dalle basi aeree nell'Asia centrale.
«La vostra estate sarà calda» gli ha risposto il mullah Omar in un messaggio per l'ultima edizione della rivista ufficiale dei mujaheddin afghani, Le avanguardie del Kharasan, distribuita sui siti jihadisti. Una volta il gran capo dei talebani, per far conoscere i suoi editti, si affidava ai volantini scritti a mano e distribuiti di notte nei villaggi più sperduti dell'Hindu Kush. Oggi si serve del «comitato media» di Al Qaeda. È anche questo un segno dei tempi.