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Le vere cause dell’immigrazione

di Helena Norberg-Hodge - 11/09/2018

Le vere cause dell’immigrazione

Fonte: AAM Terranuova

Una delle questioni che più dividono oggi, in Italia e nel mondo industrializzato, è quella dell'immigrazione.

Guardare solo ai «sintomi» contingenti può indurre a puntare il dito contro i colpevoli sbagliati, perpetuando il conflitto. Andare, invece, alle cause profonde del fenomeno consente di individuare una via da seguire foriera di benefici per tutti.

Ho lavorato e vissuto per oltre quarant’anni nel Nord e nel Sud del mondo e ho maturato la convinzione che il processo di globalizzazione economica, il cosiddetto «libero commercio», sia responsabile dello sradicamento di milioni di persone; sta inoltre generando livelli sempre maggiori di paura, diffidenza e ostilità. Sono anche convinta che ridimensionare la portata globale delle nostre economie arrivando a una loro localizzazione possa fornire una soluzione sistemica ai problemi. Nel mondo, la globalizzazione sta rendendo le persone sempre più insicure, sia economicamente che psicologicamente.

Nel Nord il lavoro è minacciato dai trattati per il libero commercio che permettono alle multinazionali di muoversi ovunque ci siano salari bassi e standard ambientali minimi; l’altra minaccia è data dalla tecnologia che sostituisce gli esseri umani. Nel Sud del mondo, il tentativo di costruire economie orientate all’export sta eliminando i mezzi di sussistenza tradizionali, soprattutto in agricoltura; milioni di contadini vengono cacciati dalle loro terre e spinti verso gli slum, i ghetti delle periferie urbane. Sia nel Nord che nel Sud, la pubblicità, i media e il sistema scolastico distruggono l’autostima delle persone, la consapevolezza di sé e la diversità culturale, imponendo una monocultura del consumo il cui messaggio è: così come sei non è abbastanza.

I governi hanno finanziato e sostenuto questo processo, credendo che attrarre e far insediare le multinazionali fosse il solo modo per creare occupazione. In conseguenza dei trattati sottoscritti con le multinazionali, ora i governi sono costretti a competere tra loro per offrire sussidi maggiori e tasse più basse. E il flusso continuo di denaro verso aziende e società ha lasciato quegli stessi governi senza risorse sufficienti per soddisfare i fabbisogni dei cittadini.

Se i costi ambientali della globalizzazione (cambiamenti climatici, desertificazioni, inondazioni) continueranno a salire, dovremo attenderci numeri ancora maggiori di profughi, che destabilizzeranno ulteriormente gli Stati che agiranno con umanità. Anziché dare la colpa agli immigrati che cercano una vita migliore, dobbiamo trasformare regole e sistemi colpevoli di quanto sta accadendo. E il modo strategicamente più efficace è quello di iniziare immediatamente a riformulare e decentralizzare le attività economiche, mettendo in grado comunità ed economie locali di soddisfare principalmente i loro stessi bisogni. Ciò significa sostituire la globalizzazione con un’economia localizzata. Dovunque ci siano cibo e finanza locale, energie rinnovabili decentralizzate, economia su piccola scala, le comunità rafforzano i loro legami, utilizzano meno risorse e trasformano la competizione in cooperazione.

La localizzazione non è isolazionismo: si costruisce sul rispetto profondo per la diversità culturale e sulla tolleranza; richiede collaborazione internazionale e solidarietà per fermare l’avanzata e la tirannia delle multinazionali, che cercano profitto e crescita imponendo la monocultura consumista. C’è chi sostiene che un Nord «localizzato» volterebbe le spalle all’umanità impoverita del Sud, che ha bisogno dei nostri mercati per riscattarsi dalla miseria. La realtà dimostra invece che favorire la localizzazione incoraggia le persone di Nord e Sud a diversificare le economie diventando autosufficienti. Al Sud, localizzare migliorerebbe le condizioni di vita e permetterebbe di preservare i mezzi di sussistenza nelle aree rurali, dove vive la maggior parte della gente. Aiuterebbe anche a frenare l’esodo verso le aree urbane, allentando la pressione insostenibile sulle città; infine, rallenterebbe il flusso di profughi verso i paesi del Nord. La localizzazione è un potente moltiplicatore di soluzioni e favorisce il benessere umano e del pianeta. È la vera «economia della felicità».